La pallina spacca-vetri

Come molti della mia generazione, ho vissuto un’infanzia deprivata (anche depravata, secondo le teorie di Freud: ma questa è tutta un’altra storia). Avevamo molto meno cargo dei bambini di adesso, come direbbe Yali, l’aborigeno della Nuova Guinea che compare nel Prologo di Guns, Germs, and Steel di Jared Diamond:

“Why is that that you white people developed so much cargo and brought it to New Guinea, but we black people had little cargo of our own?”

Era in parte una questione di economia – checché si possa pensare nell’attuale situazione, negli anni Cinquanta la ricchezza nazionale e il reddito pro capite erano molto più bassi di quelli di oggi: basta guardare le belle statistiche storiche pubblicate dall’Istat per i 150 anni dell’unità d’Italia per rendersene conto – e in parte una questione di tecnologia – molte delle cose che oggi diamo per scontato, a partire dall’onnipresente web, non esistevano ancora. Ma ormai sappiamo bene che economia e tecnologia sono strettamente legate tra loro, e che questo legame è una parte importante della risposta che possiamo dare a Yali: a una domanda simile fattagli da un capo Masai, Eric Beinhocker (del cui libro The Origin of Wealth abbiamo parlato qui) risponde introducendo il concetto e l’unità di misura dello SKU (stock-keeping unit, “articolo gestito a magazzino”).

Ma, al solito, sto divagando. Vorrei parlare di un cargo particolare che è mancato alla mia infanzia: penso che il suo nome ufficiale sia pallina rimbalzina, o almeno è con questo nome con cui l’ho trovata qui sul web e il lungo numero che potete vedere nella URL del link è il suo codice EAN (4002129106324) che ne identifica univocamente lo SKU.

Pallina rimbalzina marmorizzata

lapalla.it

A un certo punto sono comparse nella mia vita: non ricordo quando mi è capitato di vederne una e di giocarci, ma ricordo benissimo il fascino che esercitava su di me, semplicissima ma straordinariamente interessante. Per fortuna ho una sorella piccola (nata nel 1967) e due figli (1983 e 1985), circostanze che mi hanno consentito di giocare con la pallina rimbalzina (che nel mio lessico familiare si chiama pallina spacca-vetri) senza offrire su un piatto d’argento un indizio in più per chi ritene che la mia età mentale sia ferma a 8 anni.

Soltanto oggi, però, ho imparato perché la mia infanzia è stata deprivata della pallina spacca-vetri: per il semplice motivo che il polimero di cui è fatta non era stato inventato. La storia l’ho trovata qui:

The bouncy science of toy superballs

[T]he ball was invented surprisingly late in our history. It wasn’t until 1965 that materials science could come up with a cheap way to get maximum bounce. As many parents suspect, the missing ingredient was something infernal: sulfur. Scientist Norman Stingley was playing around with polybutadiene, a substance made up of long strings of carbon atoms. The strings tangled together, letting polybutadiene retain its shape without shattering, but the whole concoction needed something more. Stingley added a little heat and sulfur, and something diabolical happened.

Vulcanization, heating substances with sulphur, had been used before to make tires and raincoats. In the polybutadiene the process did what it always does, used the sulphur atoms to connect one string to the next at random points. Instead of a long string of tangled chains, which could be untangled, or at least pulled apart, the the substance became one big network of long strings tied together. It could be deformed, with force, but it would always snap back to where it started. What emerged was a hunk of material that was incredibly elastic. Happy with his discovery, Stingley named it Zectron, formed it into little lumps, marketed it with the Wham-O Manufacturing Company, and encouraged children around the world to hurl it around with reckless abandon.

Il segreto della pallina spacca-vetri è il suo coefficiente di restituzione. Per noi comuni mortali il coefficiente di restituzione è una misura di rimbalzevolezza: se lasciando cadere una pallina da un metro (senza imprimere un impulso verso il basso, e trascurando quisquilie come l’attrito eccetera) e la pallina rimbalza fino a raggiungere un’altezza massima di 50 cm, allora il coefficiente di restituzione è di 0,5 (50/100). Nerd, geek, fisici, mau puntati e re barbarici possono andare a vedere qui o qui. Il coefficiente di restituzione della pallina spacca-vetri è 0,9. Abbastanza per infinite possibilità di divertimento per noi bambini di 8 anni.

Stamattina, mentre discutevo della scoperta che avevo appena fatto con mio figlio, mi ha ricordato che nella primavera del 1998 avevamo visto insieme Flubber – Un professore tra le nuvole, un filmetto abbastanza idiota ma con un divertente Robin Williams e una sostanza molto simile allo Zectron.

Flubber è a sua volta il remake di Un professore tra le nuvole (The Absent Minded Professor) del 1961, un film della Disney che ricordo di aver visto da bambino al cinema. Su YouTube c’è la versione originale integrale:

Ma a questo punto mi è venuto in mente un altro film, visto da bambino in televisione, di cui ricordavo vagamente la trama: un professore scopre una sostanza che respinge le palle da baseball dal legno. Grazie al web, l’ho subito trovato (fatico anche ora a trattenere il mio entusiasmo quasi sensuale per la scoperta!): si chiama Quando torna primavera (It Happens Every Spring), è del 1949 ed è stato candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura. ecco la trama da wikipedia:

Vernon Simpson è un timido professore di chimica che non osa chiedere la mano della figlia del rettore perché perennemente al verde. Un giorno però, grazie a un maldestro tiro di baseball, scopre una sostanza che respinge il legno, diventerà un campione di baseball, ma saprà ritirarsi per sposare la ragazza che ama.

Anche in questo caso, YouTube permette di vedere l’originale. Ve lo consiglio (ma ricordatevi il fair use).

David Mitchell – The Thousand Autumns of Jacob de Zoet

Mitchell, David (2010). The Thousand Autumns of Jacob de Zoet. New York: Random House. 2010.

The Thousand Autumns of Jacob de Zoet

amazon.com

Secondo Wikipedia, David Mitchell è nato a Southport (Merseyside), è cresciuto a Malvern (Worcestershire), ha studiato all’università del Kent, ha vissuto per un anno in Sicilia, nel 1994 si è trasferito a Hiroshima in Giappone. Attualmente vive a Clonakilty, sulla costa meridionale dell’Irlanda, con la moglie Keiko e due figli. E questo mi fa piacere, perché mi piace sentirmi un po’ vicino, anche geograficamente, agli autori che leggo: a Hiroshima non sono mai stato (in Giappone sono stato soltanto a Tokyo), ma a Clonakilty sì, nel 1980, anche se soltanto di passaggio andando da Cork verso Killarney via Skibbereen. Bel posticino senza tempo, tra l’oceano e il nulla.

Clonakilty

wikipedia.org

Se la sua biografia spiega in maniera eccellente da dove gli venga l’accurata conoscenza del Giappone e della sua storia, le notizie sui Paesi Bassi dell’epoca (Jakob de Zoet, lo dice il nome, è olandese) devono essere il risultato di attività di ricerca. Sia come sia, il romanzo è un esempio affascinante di romanzo storico reinterpretato in chiave contemporanea, e fa venire in mente – come ho già scritto altroveThe Crimson Petal and the White di Michel Faber.

Il romanzo racconta, in realtà, più storie distinte, sullo sfondo del tentativo (ormai quasi disperato) del Giappone Edo di confinare a un’isoletta di fronte a Nagasaki i contatti commerciali con gli occidentali e di un cambiamento epocale degli equilibri europei, colti nel passaggio dall’egemonia olandese a quella britannica sotto i colpi della rivoluzione francese e dell’avventura napoleonica: Jacob de Zoet è convinto di perseguire una missione di moralizzazione per conto e con l’appoggio dei suoi superiori e viene crudelmente punito; persegue una storia d’amore impossibile; seguiamo una storia di ignoranza e crudeltà nella società tradizionale giapponese (con buona pace dell’illusione della superiorità e dell’integrità di quella società feudale). Ma alla fine la vicenda conta relativamente poco (e forse qualche lungaggine e qualche diversione troppo insistita sono tra i difetti del romanzo, o forse tra i suoi eccessi: in questo sito sono elencati 125 personaggi in ordine di apparizione, ma lo stesso estensore ammette di averne trascurati un’altra trentina che compaiono una sola volta!) rispetto alla prepotenza con cui si impongono i due indiscussi protagonisti, Jacob e Orito. Ma forse è proprio questo l’eterno dilemma del romanzo storico: il difficile equilibrio tra la tela di fondo e i protagonisti in primo piano.

Nello scrivere questa recensione, mi sono imbattuto (la serendipità, ancora una volta; ma la serendipità è la santa patrona del web) in un sito bellissimo che non conoscevo: si chiama the complete review e si autodefinisce “A Literary Saloon & Site of Review. Trying to meet all your book preview and review needs. ”

In pratica è un sito di meta-recensioni, che per ogni opera offre una scheda informativa, un elenco e alcuni estratti delle recensioni pubblicate sull’opera, una recensione dei curatori del sito stesso e una pluralità di risorse e link.

La recensione del romanzo di David Mitchell è qui.

Tra gli estratti di recensione presentati, quello con cui mi trovo più in linea è quello di Dave Eggers su The New York Times Book Review (strano, dirà qualcuno di voi, perché non mi era piaciuto A Heartbreaking Work of a Staggering Genius e non ho più letto nulla di suo). La recensione la trovate qui, ma consentitemi di citarne la conclusione:

[T]his is a book about many things: about the vagaries and mysteries of cross-cultural love; about faith versus science; about the relative merits of a closed society versus one open to ideas and development (and the attendant risks and corruptions); about the purity of isolation (human and societal) versus the messy glory of contact, pluralism and global trade. It captures Japan at a crucial time in its history, on the cusp of opening its borders and becoming a world power, and catches Holland as its own colonial prominence is waning.
If the book sounds dense, that’s because it is. It’s a novel of ideas, of longing, of good and evil and those who fall somewhere in between. And are there even nods to the story of Persephone, also born of privilege, also found plucking exotic fruit, also abducted — whose removal from the world causes the world’s seasons? Maybe, maybe not. There are no easy answers or facile connections in “The Thousand Autumns of Jacob de Zoet.” In fact, it’s not an easy book, period. Its pacing can be challenging, and its idiosyncrasies are many. But it offers innumerable rewards for the patient reader and confirms Mitchell as one of the more fascinating and fearless­writers alive.

* * *

Fine della recensione. Di seguito le mie annotazioni, che non siete obbligati a leggere. Riferimenti numerici all’edizione kindle.

It is a gift from your ancestors and a loan from your descendants. [367]

Respect, he thinks, cannot be commanded from on high. [845]

“‘South of Gibraltar,’” quotes Captain Lacy, “‘all men are bachelors.’” [1271]

“A tidy metaphor does not make a wrong thing right.” [2614]

“Loyalty looks simple,” Grote tells him, “but it ain’t.” [2686]

“Not constitutional laws. I mean real laws: laws of the non si fa.” [2880]

“[…] What privileges I enjoy, I earned.” [2893]

“Joke is secret language”—she frowns—“inside words.” [3024]

Creation never ceased on the sixth evening, it occurs to the young man. Creation unfolds around us, despite us, and through us, at the speed of days and nights, and we like to call it “love.” [3102]

Expensive habit is honesty. Loyalty ain’t a simple matter. [4067]

“The present is a battleground”—Yoshida straightens his spine as best he can—“where rival what-ifs compete to become the future ‘what is.’ [4824]

Science, like a general, is identifying its enemies: received wisdom and untested assumption; superstition and quackery; the tyrants’ fear of educated commoners; and, most pernicious of all, man’s fondness for fooling himself. [4961]

To implant belief, Orito thinks, is to dominate the believers. [5738]

“What better spy than one above suspicion?” [6361]

[…] lawful wedlock, awful bedlock […] [7891]

Ten percent of profits—let us call it the ‘brokerage fee’—is a sight better than a hundred percent of nothing. [8261]

“[…] We suffer from a shortage of hard facts.”
“It’s our shortage of arms,” says Arie Grote, “what worries me. […]” [8499]

The men prefer cash to posterity [•…] [8947]

[…] “we have just enough religion to make us hate, but not enough to make us love. […]” [8975]

‘Our friends show us what we can do; our enemies teach us what we must do.’ [10049: citazione di Goethe]

“[…] ‘Knowledge exists only when it is given ….’” Like love […] [10710]