Lem, Stanislaw (1959). L’indagine del tenente Gregory. Torino: Bollati Boringhieri. 2007.

Perché tradurre dopo 48 anni un romanzo di Stanislaw Lem (Lem è un grandissimo scrittore di fantascienza polacco: basti per tutti Solaris, un bellissimo di film di Tarkovsky e un discreto remake di Soderbergh)? Perché spacciarlo per “l’appassionante giallo di un maestro della fantascienza”?
Non è un giallo. Non è appassionante. È ben scritto e angoscioso. Ma non si capisce dove vuol andare a parare. Penso che sia un racconto filosofico, ma un po’ la filosofia mi sfugge. Il passaggio più rivelatore (ma non per questo perspicuo) mi sembra questo:
– Ma se cosl non fosse? Se non ci fosse nulla da imitare? Se il mondo non fosse un rompicapo da risolvere, ma solo un calderone in cui nuotano alla rinfusa pezzi sparsi che, di tanto in tanto e per puro caso, si aggregano in un insieme? Se tutto ciò che esiste è frammentario, incompleto e abortito, gli eventi possono anche essere la fine di qualcosa senza il suo inizio, o la sua parte centrale, o solo il suo principio, o solo la sua fine … mentre noi continuiamo a suddividerli, selezionarli e ricostruirli finché ci pare di avere messo insieme un amore completo, un tradimento completo o una sconfitta completa … mentre in realtà siamo solo frammenti casuali. Le nostre facce e i nostri destini sono un puro frutto della statistica, siamo la risultante dei moti browniani, gli uomini sono abbozzi incompiuti, progetti buttati giù e lasciati a metà. Perfezione, completezza, eccellenza non sono che rare eccezioni dovute all’inaudita, incredibile sovrabbondanza dell’esistente! L’immensità del mondo, la sua incalcolabile molteplicità regolano la banalità quotidiana colmando in apparenza brecce e lacune, mentre la mente, per sopravvivere, scopre e associa frammenti sparsi. Usiamo la religione e la filosofia come un collante con cui aggregare e tenere insieme frattaglie statistiche sparse, per conferire loro un senso unitario e farle suonare all’unisono come una campana celebrante la nostra gloria! E invece sotto a tutto questo non c’è che il famoso calderone … L’ordine matematico del mondo è la nostra preghiera alla piramide del caos. Siamo circondati da brandelli di vita privi di significato, che noi etichettiamo come «eccezionali» perché non vogliamo vedere! Di vero non c’è che la statistica. L’uomo razionale è l’uomo statistico. Prendiamo un bambino: sarà bello o brutto? Gli piacerà la musica? Si ammalerà di cancro? Tutto viene deciso da un lancio di dadi. La statistica presiede al nostro concepimento, è lei a sorteggiare il coagulo dei geni da cui si svilupperà il nostro corpo, lei a estrarre a sorte la morte di cui moriremo. Ma se è la normale incidenza statistica a decidere l’incontro con la donna che amerò e la durata della mia vita, perché non potrebbe decidere anche della mia immortalità? Non può essere che, di tanto in tanto, per puro caso, a qualcuno tocchi in sorte l’immortalità, come ad altri toccano in sorte la bellezza o l’infermità? Se non esistono processi prestabiliti, se disperazione, bellezza, gioia e bruttezza sono frutti della statistica … allora anche il nostro sapere è fatto di statistica: esiste solo il gioco cieco, un’eterna combinazione di schemi fortuiti. L’infinito numero delle Cose deride la nostra passione per l’Ordine. Cercate e troverete: purché abbiate cercato con il dovuto fervore, finirete sempre col trovare: la statistica non esclude nulla, la statistica rende tutto possibile, tutt’al più si tratterà di cose più o meno probabili. La storia, invece, è il realizzarsi dei moti browniani, la danza statistica di particelle che non cessano di sognare un altro mondo terreno …
– Forse anche Dio esiste solo di tanto in tanto? – disse sottovoce l’ispettore capo. Chino in avanti, la faccia nascosta, ascoltava quello che Gregory tirava fuori a fatica senza osare guardarlo.
– Forse – rispose Gregory con indifferenza. – Ma le interruzioni nella sua esistenza si protraggono piuttosto a lungo.
Si alzò, si avvicinò alla parete e fissò senza vederla una delle fotografie.
– Forse anche noi … – cominciò, esitando – anche noi esistiamo solo in modo sporadico. Nel senso che a volte esistiamo con minore intensità, certe altre ci dissolviamo e non ci siamo quasi per niente. Poi, reintegrando con uno scatto improvviso il brulichio scompaginato della memoria torniamo a esistere per lo spazio di un giorno …
martedì, 19 febbraio 2008 alle 23:39
Il remake di Soderbergh – neanche lontanamente paragonabile a Solaris di Tarkosky – ha diluito e annacquato il tema davvero angosciante del romanzo grazie anche al mascellone di Clooney.
mercoledì, 18 giugno 2008 alle 0:09
Mmmmh… Stanislaw Lem,
forse più un critico che un autore di fantascienza, senz’altro scienziato e filosofo in molti dei suoi scritti.
Di Lem segnalo l’interessante “Micromondi”, una serie di analisi e critiche sulla fantascienza come genere letterario.
Un breve estratto dal capitolo “Congiunzioni metafantastiche”:
“La fantascienza dunque appare tanto più ancorata al pregiudizio riduzionista quando opera come se il suo povero repertorio di strutture narrative (desunte in gran parte dalla letteratura poliziesco avventurosa) bastasse davvero alla formulazione di problemi d’ogni luogo, tempo e grado di complessità, per tutto lo smisurato universo e per l’intero spettro di situazioni che la civiltà umana si troverà mai ad affrontare. In effetti la fantascienza dà un nome ai suoi problemi (alieni, intelligenza meccanica, sfruttamento strumentale dei valori, ecc.), senza mai conformare ad essi le strutture narrative di cui fa uso.
Da quanto abbiamo detto appare chiaro che, al di là di ogni recriminazione contro le pagine attuali della fantascienza, la questione che più brucia è proprio quella delle occasioni sistematicamente perdute. Dobbiamo riconoscere che una delle debolezze che più sensibilmente affligge questo genere narrativo sta nell’assenza di una critica positiva, consapevole, capace di reggersi sulle proprie gambe, né nichilistica né apologetica perché impegnata non solo nel merito della fantascienza stessa, ma anche in quello dei superiori rapporti tra cultura e letteratura, rapporti dai quali dipende il destino di entrambe.”
Un altro breve estratto, dal capitolo “Strategie fantascientifiche: Arkadij e Boris Strugackij”:
“La stragrande maggioranza delle opere di fantascienza può stare qui a dimostrazione di come non si tratta il tema dell’invasione. Tanto più grande è, allora, la nostra soddisfazione nell’imbatterci in un’opera che affronta con successo questo ostacolo. In Picnic sul ciglio della strada, Arkadij e Boris Strugackij hanno impiegato la strategia del mistero con risultati eccellenti, riuscendo insieme a spingersi oltre i canoni stabiliti da Wells e più ancora, oltre la stessa tradizione della fantascienza. …
… Ci troviamo dunque di fronte ad una inaudita perturbazione delle connessioni causali. L’effetto narrativo è notevole: niente in comune con fantasmagorie tipo «apparizioni», dato che non accade alcunché di soprannaturale, e tuttavia ci troviamo di fronte ad un enigma «davvero più terrificante del mistero di un morto resuscitato» (come dice Peelman). Se qualcuno si ostinasse a cercare ipotesi razionali in grado di spiegare tali effetti, si potrebbe pensare alle conseguenze di una perturbazione locale di talune costanti fisiche responsabili di una data distribuzione delle probabilità all’interno di processi statistici.”
Da “Picnic sul ciglio della strada”, nel 1979, Andrej Tarkovskij trasse il film Stalker.
Complimenti per il blog.
martedì, 4 marzo 2014 alle 22:10
[…] Lem – soprattutto dopo la delusione di L’indagine del tenente Gregory, che ho recensito qui – se non fosse stato per quel che ne ha scritto .mau. qui. Non che .mau. si debba ritenere […]