Breve storia del futuro

Attali, Jacques (2006). Breve storia del futuro (Une brève histoire de l’avenir). Roma: Fazi. 2007.

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Se dovessi periodizzare la mia vita di lettore, limitatamente alla saggistica (o dovrei dire piuttosto alla non-fiction, che mi sembra un termine più comprensivo), e in particolare a quella di autore non italiano (quella di autore italiano, con alti e bassi, direi che è una costante) dovrei fare riferimento a 3 periodi:

  • un periodo tedesco, grosso modo il primo, in cui ho letto soprattutto autori che scrivevamo in quella lingua (e che io ho letto in italiano, non conoscendola abbastanza): Marx ed Engels in primo luogo (avevo cominciato a leggere le opere complete, e prima di stancarmi ho fatto in tempo a leggerne parecchie, epistolario compreso), marxisti assortiti (con una preferenza per la scuola di Francoforte), ma anche Max Weber e un po’ di sociologi tedeschi, e poi i filosofi e sociologi del diritto (Hans Kelsen in testa)
  • un periodo francese: intanto i marxisti francesi (Althusser e Balibar in primis), e poi l’ubriacatura dei post-moderni e dei loro paraggi (Lyotard, Foucault, Deleuze e Guattari, Derrida …), anche questi letti in italiano
  • un periodo anglofono, in cui si conciliano i miei “nuovi” interessi e la voglia, se possibile, di leggere in originale.

Tutta questa premessa per dire che non sono più abituato a leggere i francesi e che dunque il modo “francese” di affrontare i problemi mi spiazza un po’, rispetto alle mie abitudini e alle mie aspettative. Anche se Attali è un francese anomalo, che rifugge dalle complessità linguistiche e semantiche caratteristiche di altri autori (ad esempio, di Bourdieu).

Questa “breve storia del futuro” è in realtà due libri in uno, il che giustifica il paradosso del titolo. La prima metà del libro ricostruisce la storia dell’umanità, dalle origini all’oggi, con una particolare attenzione alla fase “capitalistica” e “mercantile” sulla base di una “teoria” che tutto abbraccia. E già questo mi pare anacronistico, tardo-ottocentesco (alla Comte o alla Spencer, per capirsi). Il punto di partenza mi sembra essere quello della tripartizione funzionale delle civiltà indo-europee di Georges Dumézil (un autore affascinante ma reazionario!): scelta sorprendente per un autore socialista e con una forte ammirazione per Karl Marx.

Attali conta 9 “forme mercantili” (che individua con Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e Los Angeles) ed esclude che ne possa sorgere una decima. Di mio, sono sempre diffidente verso questo tipo di previsioni e mi torna immediatamente la citazione attribuita a Niels Bohr (o a Piet Hein): “Prediction is very difficult, especially about the future”.

Quello che fa Attali nella seconda metà del libro è esplorare 3 “ondate” del futuro: l’iperimpero, l’iperconflitto e l’iperdemocrazia. E qui ho 3 problemi:

  • il primo è che non si capisce bene se (ed eventualmente come) i 3 scenari siano alternativi o da intendersi come una sequenza di fasi
  • il secondo è che le condizioni dell’avverarsi dei primi due è piuttosto convincente (a partire dall’estrapolazione di tendenze già esistenti e individuabili) ancorché agghiacciante, il realizzarsi del terzo mi sembra molto più legato a un wishful thinking dell’autore; soprattutto se consideriamo che la seconda ondata si conclude con una specie di Armageddon (“Tutte le armi di cui abbiamo parlato in precedenza verranno allora utilizzate. L’umanità, che dagli anni Sessanta dispone di mezzi nucleari tali da suicidarsi, li utilizzerà. Non ci sarà nessuno per scrivere la Storia, che è sempre la ragione del più forte. Non ci sarà niente di impossibile: la tragedia dell’uomo è che, quando può fare qualcosa, finisce sempre per farla.” [p. 202])
  • il terzo, per me il più importante, che quelli cui perviene Attali sono gli esiti inevitabili quando si procede per estrapolazione di tendenze esistenti: nell’estrapolazione si tende a dimenticare che stiamo parlando di sistemi complessi, che possiedono la caratteristica della resilienza (cioè, sostanzialmente, della capacità di autoripararsi dopo uno shock). In questo limite, anche se in misura minore, ricadono anche estrapolazioni che pure sono basate esplicitamente sulla dinamica dei sistemi, come quelle relative ai limiti dello sviluppo (nel rapporto originario e nei suoi aggiornamenti).

Resta comunque un libro che vale la pena di leggere.

Un’ultima notazione merita la sciatteria dell’edizione italiana (è un limite in cui l’editore Fazi cade spesso!): a pagina 51 Luca Pacioli (di Sansepolcro e operante a Siena, Venezia e Milano) diventa genovese; a pagina 112 è particolarmente permeabile ai flussi migratori clandestini la frontiera italo-libanese (italo-libica, suppongo!); a pagina 135 compare inaspettato il “drittofilo della Storia” (forse era un rettifilo? per il De Mauro online il drittofilo è un modo di tagliare i tessuti!: “filo della trama di un tessuto, anche in usi agg. e avv.: una stoffa d.; confezione d.: quella in cui la verticale del modello segue il filo della trama in modo da ottenere un appiombo perfetto; tagliare un tessuto d., in d.: seguendo il filo della trama”).

Concludo con 2 citazioni che mi sembrano interessanti, oltre che per i contenuti, come testimonianza del modo di procedere delle previsioni di Attali (e della sciatteria della traduzione).

Durante questi prossimi vent’anni, verosimilmente, l’Unione europea non sarà niente di più che un semplice spazio economico comune, allargato all’ex Jugoslavia, alla Bulgaria, alla Romania, alla Moldavia e all’Ucraina. Anche se la sua moneta rischia di essere sempre più utilizzata nel mondo, molto probabilmente l’Unione non riuscirà a dotarsi di istituzioni politiche, sociali e militari integrate: saranno necessarie serie minacce alla sua sicurezza, percepite solo in seguito, con l’irruzione della seconda ondata del futuro, di cui si parlerà oltre. Per mancanza di una modernizzazione del sistema di insegnamento superiore, della capacità di suscitare l’innovazione e di accogliere gli stranieri, l’Unione non riuscirà mai a radunare una nuova classe creativa né a richiamare i propri ricercatori e i propri imprenditori partiti oltreoceano. Per mancanza di un sufficiente dinamismo demografico, il ricambio generazionale non sarà più garantito, in particolare in Spagna, Portogallo, Italia, Grecia e Germania. Prolungando l’attuale tendenza, nel 2025 l’Unione rappresenterà soltanto il 15 per cento del PIL mondiale contro il 20 per cento di oggi. Il PIL per abitante europeo non sarà più della metà di quello americano, rispetto al 60 per cento e oltre di oggi. Cosa che si tradurrà anche con [sic!] un indebolimento della qualità dei servizi pubblici, dai trasporti all’educazione, dalla salute alla sicurezza. [pp. 94-95]

Attori d’avanguardia che chiamerò i “transumani” animeranno – animano già – “imprese relazionali” in cui il profitto non sarà nient’altro che un obbligo e non una finalità. Tutti i transumani saranno altruisti, cittadini del pianeta, nomadi e sedentari allo stesso tempo, uguali nei diritti e nei doveri verso i propri vicini, ospitali e rispettosi del mondo. Insieme, faranno nascere istituzioni planetarie e orienteranno le imprese industriali in una nuova direzione. Queste ultime svilupperanno, per il benessere di ciascun individuo, “beni essenziali” (il più importante sarà il “buon tempo”), e per il benessere di tutti un “bene comune” (la cui dimensione principale sarà l’ “intelligenza collettiva”).
Poi, anche al di là di un nuovo equilibrio mondiale tra mercato e democrazia, tra servizi pubblici e imprese, i transumani faranno sorgere un nuovo ordine di abbondanza, da cui il mercato sarà a poco a poco escluso a vantaggio dell’economia relazionale. [p. 207]

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2 Risposte to “Breve storia del futuro”

  1. morgaine Says:

    I traduttori delle piccole case editrici sono pagati pochissimo e se vogliono campare del loro lavoro sono costretti a macinare pagine e pagine senza avere tempo di rileggere e scovare gli errori. Gli editor, che questi errori dovrebbero trovare e magari dare qualche consiglio stilistico, quasi non esistono e comunque, se ci sono, non se la passano meglio. D’altro canto un piccolo editore di saggi ha successo se vende 2-3 mila copie e con che li paga i traduttori?


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