Lettera aperta di Ivan Della Mea a Fausto Bertinotti

Caro Bertinotti,

mi tornerebbe meglio «caro Fausto» non foss’altro che per gli anni di affetto e di stima reciproci.

Tiremm innanz.

Ti ho ascoltato martedì 24 corrente mese e anno a «Otto e mezzo». Te la sfangavi col Mieli direttore del Corrierone. Le tue argomentazioni sui diversi temi … partito democratico, ruolo della sinistra e delle sinistre in un quadro sia nazionale sia europeo … lì per lì mi sono apparse piuttosto convincenti e ho apprezzato la cura e il garbo con i quali hai espresso il tuo pensiero sempre come dirigente politico e mai, com’era giusto che fosse, come Presidente della Camera. In particolare mi ha colpito la tua determinazione nel chiarire come fosse assolutamente prioritario ritrovare e rimettere in gioco quella voglia di politica che fu sostanza e linfa vitale di tutta la storia del movimento operaio italiano e dunque cosa sia delle masse operaie (e contadine aggiungo di mio) sia delle organizzazioni partitiche e sindacali e sociali e cooperativistiche e culturali (mi è caro il tuo riferimento preciso all’Arci) che da quella voglia trassero la loro ragion d’essere: con giusta ragione hai insistito sull’urgenza siccome impegno ideale politico e culturale e dunque anche etico di adoperarti perché tutto ciò informasse una sinistra da costruire sulle macerie, dico io, di tante troppe tutte forse le sinistre già alienate se non addirittura obliterate e obliate.

Tutto bene madama la marchesa? A botta calda sì, caro Fausto e fors’anche perché riconosco a me stesso una sublime ignoranza politica con la quale faccio aggio assai più sul dubbio che non sulla certezza.

Giust’appunto il dubbio.

Io ho vissuto sia come lavoratore e come artigiano di canzoni, sia come scrittore e sia come dirigente dell’Arcicorvettocheincormistà e sia oggi come presidente dell’Istituto Ernesto de Martino «per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario» … io quella voglia di cui sopra l’ho vissuta per cinquant’anni e a quell’etica mi sono formato pensando e credendo che tutti insieme si crescesse come cittadini portatori e propugnatori di senso civico, di solidarietà, di fratellanza, capaci di coniugare i saperi delle scienze con la pratica quotidiana della conoscenza e di dare quindi alla parola compagno sia il senso primo dei rivoluzionari francesi sia quello dei partigiani vietnamiti per i quali significa «ti conosco». Non è stato così Fausto. Mai è stato così. La ragione di partito, preciso, delle sue strutture dirigenti, ha costantemente mortificato l’etica dei valori, quelli che tu hai richiamato martedì sera, con la pratica di una concezione nient’affatto democratica e per tristissimo contrapposto affatto centralistico-verticistica: quelle masse che tu hai richiamato sono state espropriate della propria anima o se preferisci del proprio sacro e il processo di progressiva depauperazione è stato volutamente perpetrato fino all’infamia dell’azzeramento delle strutture di base che sono stati luoghi dell’incontro fisico e intellettuale e morale: le sezioni, le tante sezioni del nostro dire e fare, del nostro incontrarsi e scontrarsi e del nostro rapportarsi col e nel sociale ma, alla buon’ora e sempre, del nostro quotidiano imparare a conoscerci. Noi, noi classe noi massa noi icché ti pare, noi siamo stati l’etica della sinistra, quella che è stata distrutta nel nome della ragione di partito sempre più coincidente con la ragione di potere, spesso, sempre quasi, molto personale. E questo, caro Fausto, fu a mio avviso l’errore più grave che non abbiamo saputo o voluto vedere «l’errore del mio, del tuo potere / e di ogni potere un po’ personale / per oggi è tutto / avanti Michele». Avanti, Fausto.

Ivan Della Mea

[da il manifesto del 26 luglio 2007]

12 Risposte to “Lettera aperta di Ivan Della Mea a Fausto Bertinotti”

  1. Jacopo Belbo Says:

    Dei molti fantasmi che popolano la mia vita il post ne ha evocati due:

    “Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta)…”

    [P.P. Pasolini, 1975]

    “Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
    Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
    Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
    No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.
    E ora? Anche ora ci si sente come in due: da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito.
    Due miserie in un corpo solo.”
    [G.Gaber, 1992]

  2. borislimpopo Says:

    La buona notizia è che le lucciole sono tornate. Sono forse più di prima. Nel terrore che possano scomparire un’altra volta (ma erano davvero poi sparite?), non mi azzardo più a catturarle in un bicchiere come facevo da bambino…
    E i comunisti? Gaber ci fa capire che “comunista” è una di quelle parole-valigia dentro cui stanno tanti significati. La disillusione è stata forte (penso alle autobiografie di Ingrao e della Rossanda), ma non per noi che non abbiamo mai visto un faro nell’Unione Sovietica (e tutto considerato nemmeno nella Cina o in Cuba). Per noi è piuttosto il disorientamento: cambiare la vita, essere tutti più felici – d’accordo, ma come? Molti (e mi ci metto anch’io) non hanno smesso di farsi domande. E forse è meglio di quando avevamo troppe certezze. Quello che manca – e qui torniamo a Della Mea – sono i luoghi dove discutere. Ce li siamo lasciati togliere , e adesso dobbiamo reinventarceli. E riappropriarci della politica, ormai capace soltanto di guardare il proprio ombelico (il programma di Veltroni ne è un esempio, come scriveva ieri Fabozzi su il manifesto: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Luglio-2007/art1.html)

  3. Jacopo Belbo Says:

    Ma è possibile riprendersi i luoghi, gli spazi? E quali spazi?
    Guardali i bar, le piazze, i giardini delle nostre città. Se non ci fossero gli immigrati, davvero linfa vitale per le metropoli e i loro dormitori, sarebbero vuoti e asettici (alcuni un po’ zozzi, al limite). E più sono vuoti e asettici – semplici luoghi di passaggio (“non luoghi” direbbero quelli colti) – più sentiamo che la città è sicura.
    E la gente Boris? La politica può riprendersi la gente, le persone? Il contrario – cioè che la gente si riprenda la politica – mi sembra ancora più complesso. Non dico io e te che leggiamo, andiamo al cinema, ci informiamo (o almeno ci proviamo) con noi potrebbe anche bastare poco….Ma gli altri dove sono? Nelle palestre, dall’estetista, allo stadio, oppure, davanti alla televisione a guardare l’ultimo quiz a premi o nel mega-super-iper centro commerciale. Perchè l’Italia è questo. Non chiudiamo gli occhi (per troppo tempo altri li hanno tenuti chiusi).
    Come puoi convincere queste persone a riprendersi la politica?
    Il più piccolo dei figli dei miei vicini di casa ha diciotto anni e non sa chi è il Ministro dell’Interno, non sa nemmeno che in Italia c’è una Camera dei Deputati e un Senato. Eppure frequenta una scuola superiore che tra le materie d’insegnamento prevede anche Diritto. Sorride caruccio (perché è un bravo ragazzo, rispettoso) e mi dice “No, a me della politica non me ne frega niente. Non ci capisco e non ci voglio capi’ ”, “ E quando andrai a votare?”, “Boh, non lo so se a vota’ ci vado”.
    Ok potrebbe essere un caso di cretinaggine.
    Ma guarda le indagini dello IARD (http://www.istitutoiard.it/intro.asp) sui giovani: solo il 13% degli intervistati dà fiducia agli uomini politici. Il 35% pensa che si debba “lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene”. L’impegno politico vero e proprio coinvolge una piccola fetta di giovani (solo il 4% che, a volte, temo siano quelli che vanno simpaticamente in giro rasati a zero con svastiche e croci celtiche tatuate sul collo).
    Ce la possiamo fare davvero? Si può recuperare il vuoto che divide i politici di sinistra dalla gente? Si può recuperare la distanza che separa gli attici dei Parioli dalle periferie di Roma, Milano, Napoli? Si deciderà la sinistra a scendere di nuovo nelle strade? Riuscirà a parlare ai ragazzi che frequentano gli istituti tecnici e non solo a quelli dei licei elitari? Nelle manifestazioni organizzate dalla sinistra (?) vedremo ancora sfilare i figli degli operai e non solo quelli dei notai?
    Mi piace crederci, mi piace pensare che le lucciole che vediamo (e sono ancora uno spettacolo meraviglioso) non siano uno strano esperimento genetico ben riuscito, ma rimbocchiamoci le maniche perché non sarà facile……

  4. luigi balocchi Says:

    no. non è più possibile riprendersi niente. Le città, le metropoli, il miraggio del denaro, han distrutto tutto. per quanto riguarda gli immigrati, beh, il loro unico metro di giudizio è la ricchezza, lo strafottersi di merci, l’ingozzarsi di consumo. Da parte loro, nessuna novità. Ammirano chi è ricco. voglion diventare come lui. peggio di lui. fra trent’anni avremo un berlusca nero! purtroppo la realtà è questa. lo sviluppo industriale ci ha fottuti. ha costretto la maggior parte di noi a vivere in riva alla città infinita. in formicai disumani. dove è chiaro che l’unica alternativa al nulla è il mega centro commerciale, la televisione, lo svacco di cocaina, la banda dei bulli. E il bello è che nessuno, a sinistra, ha mai capito che la città, la metropoli, l’hanno voluta, creata, fatta crescere i padroni, quelli coi danée. E l’han fatto per concentrare in poco spazio milioni di idioti da spremere e sfruttare. L’alternativa? non so. sarebbe bello distruggere le città! impossibile, ora. Ecco. forse prendere una vecchia cascina. Coltivare. Crescer cavalli. E al primo assicuratore, al primo broker, al primo politicante del cazzo, mettergli sotto il naso una doppietta. E dirgli: “Va foeura di ball! Che se no te spari!” ossia, tornare a fare come i nostri di tanti anni fa. Qui in lombardia, come giù in lucania.

    • borislimpopo Says:

      Non posso dire di essere d’accordo.

    • morgaine Says:

      ma non è vero per niente.
      Le città si formano anche per l’accorrere di tante persone verso un centro dove c’è lavoro, vita, interscambio e perché non vogliono stare isolate in campagna a parlare con le pecore e con i cavalli.
      Certo il padrone ne trae vantaggio, ma ne trae vantaggio culturale anche l’inurbato che se solo riesce a uscire trova un bar, una piazza, un cinema, qualcosa di più della televisione.
      Lo sviluppo industriale e le grandi fabbriche sono state all’origine dell’organizzazione di lavoratori in cooperative di mutuo soccorso, sindacati e partiti.
      Certo oggi ci sono anche tante altre forze in gioco da considerare in un’analisi seria, ma la doppietta proprio no!

  5. luigi balocchi Says:

    Il lavoro nelle fabbriche, l’inurbamento, non l’han creato dei filantropi! l’han creato i padroni! mio padre ha lavorato per un fracco d’anni in smalteria. in cambio della sua libertà gli han cioccato il salario! certo, mio padre ha lottato. ha fatto migliaia di chilometri di lotta. ma ciò non cambia il fatto che è stato sequestrato per otto ore, più il cottimo, in una ratèra di merda. a parlar con il forno. a rugare caolino. a beccarsi la silicosi. certo! le fabbriche han dato modo ai lavoratori di organizzarsi. E che avrebbero potuto fare, sti infelici? beccarsela in culo e pure ringraziare? han cercato di difendersi. senza poi cambiare un cazzo visto le facce di merda dei capitalisti che fanno e disfano come c’han voglia. la città, la metropoli, è il risultato di questo modello di sviluppo. Anche Ivan, poor omm, lo sapeva. e se veramente qualcosa di nuovo dovrà in questo mondo di merda cambiare, si dovrà per forza iniziare battendosi a viso aperto contro tutte le logiche dello sviluppo, del feticcio dello sviluppo! di cui l’inurbamento è drammatica conseguenza. per quanto riguarda la doppietta, ovvio che la metafora è a effetto.

  6. Massimo De Dominicis Says:

    Ivan non c’è più e noi stamo qui a piangerci addosso. Non ci dobbiamo però rassegnare, come non si rassegnava Lui, ognuno, nel proprio ambiente, può portare una testimonianza, un ricordo, una speranza. Internet ci può veramente aiutare, visto che l’informazione di massa è ormai monopolizzata ed i pochi tentativi di critica di qualche quotidiano sono letti da una sparuta elite. Proviamo a cantare le canzoni di Ivan Della Mea non per fare a Lui un omaggio postumo, ma per rileggere le sue parole e riflettere su ciò che la nostra società avrebbe potuto essere e non è. Cantiamole ai più giovani, cantiamole ai qualunquisti, cantiamole ai delusi, cantiamole ai “leghisti” che dovrebbero imparare da Ivan la tolleranza e la vera democrazia.

  7. RENATO VENERUCCI Says:

    CE POCO DA COMMENTARE E’ STATO UN GRANDE COMPAGNO….CHE A’ SAPUTO LASCIARE UN SEGNO TANGIBILE IN QUESTA SOCIETA DI LUPI

  8. RENATO VENERUCCI Says:

    E MORTO UN GRANDE CHE HA SAPUTO FAR SEGUIRE I FATTI ALLE PAROLE

  9. RENATO VENERUCCI Says:

    E MORTO UN GRANDE CHE HA SAPUTO FAR SEGUIRE I FATTI ALLE PAROLE COME POCHI GRAZZIE IVAN


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