Soratte

Vides ut alta stet nive candidum
Soracte nec iam sustineant onus
silvae laborantes geluque
flumina constiterint acuto?
Dissolve frigus ligna super foco
large reponens atque benignius
deprome quadrimum Sabina,
o Thaliarche, merum diota.
Permitte divis cetera, qui simul
stravere ventos aequore fervido
deproeliantis, nec cupressi
nec veteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et
quem Fors dierum cumque dabit, lucro
adpone, nec dulcis amores
sperne puer neque tu choreas,
donec virenti canities abest
morosa. Nunc et campus et areae
lenesque sub noctem susurri
conposita repetantur hora,
nunc et latentis proditor intumo
gratus puellae risus ab angulo
pignusque dereptum lacertis
aut digito male pertinaci.
[Orazio, Carmina, I, 9]

Provo una traduzione (il mio latino è arrugginito, ma vorrei provare a essere fedele e poco paludato e a trasmettere la modernità di questa poesia)

Guarda il Soratte candido per la neve alta: gli alberi stanchi non ne reggono il peso e per il gelo pungente i fiumi sono gelati.
Allontana il freddo aggiungendo legna al fuoco del camino, Taliarco, e versa ancora di quel vino vecchio.
Tutto il resto lascialo agli dei: è bastato che placassero i venti che infuriavano sul mare e sùbito si sono calmate le fronde dei cipressi e dei vecchi frassini.
Che cosa il futuro ti riserva per domani, evita di chiedertelo: qualunque giorno la sorte ti darà, segnalo all’attivo. Finché sei giovane e la fastidiosa vecchiaia è lontana, ragazzo mio, gòditi le danze e i dolci amori.
Adesso, all’imbrunire, sul corso e nelle piazze è l’ora degli appuntamenti, dei bisbigli che si cercano, della gradita risata che tradisce la ragazza nascosta nell’angolo più nascosto, del pegno d’amore strappato da un braccio o da un dito che non offre resistenza.

Sbatti il pavone in prima pagina

In rivolta i vicini delle suore – I loro pavoni rovinano gli orti

MANTOVA. Vicini di casa insofferenti per il fischio spaccatimpani di tre pavoni che le suore del convento di Dosso del Corso hanno ospitato nel giardino. Di più: lamentano danni agli orti e sporcizia sui balconi perché i pennuti saltano la recinzione per far razzia d’uva e di insalata. Pressate dalle proteste, le religiose ieri hanno dovuto darli via.
A PAGINA 11

Corriamo subito a pagina 11 …

I vicini in rivolta per i tre pavoni delle suore

Nervi a fior di pelle. La sveglia è scattata prima dell’alba, una tromba spaccatimpani pure stonata che un fischio dopo l’altro, chiamata e risposta, non si è ancora azzittita. Anzi, con la sera ha ripreso vigore. E l’insofferenza di chi abita da queste parti, nelle villette tra via Cantoni, via Siliprandi e via Zaccaria Carpi, a Borgochiesanuova, è tornata a montare, gonfiata dalla scoperta dei danni all’insalata in giardino e dei chicchi d’uva beccati nel piccolo vigneto che uno di loro coltiva dietro casa. Esplosa in un ‘se lo becco gli tiro il collo’, a metà tra sfogo e maledizione, e tradotta con parole diverse in una richiesta di intervento ai vigili e in una telefonata di protesta in convento. Alle suore: sono loro ad ospitare i tre pavoni molesti.  Il convento, come lo chiamano i vicini, è la casa di riposo delle Ancelle della Carità, un palazzone con giardino e orto tra Dosso del Corso e la schiera di case addossate a strada Chiesanuova. Tutto intorno, un muro alto due metri e sormontato da brandelli di filo spinato. Che non basta. Un balzo e un frullare d’ali e i pavoni sono fuori; un volo monco e atterrano su un balcone e da lì arrivano fin sul tetto. Curiosi come scimmie. «L’altra sera ero affacciato alla finestra per fumare una sigaretta – racconta divertito un uomo che vive in via Siliprandi – che mi sono ritrovato un becco tra capo e collo». Il pavone era appollaiato sulle tegole e lo scrutava.  Il vicino di casa è meno tollerrante. «Hanno bersagliato fiori, frutta e verdura. Per gli orti è una vera disgrazia». Le donne, a cui tocca pulire, sono inviperite perché i tre starnazzatori non portano certo i pannolini. «Spargono e spandono». E fischiano come ossessi. «Almeno avessero una bella voce. Macché, sembrano delle oche che hanno ingoiato un megafono». La prima volta che li ha sentiti, uno degli abitanti della zona ha pensato ad una disgrazia. «Parevano le urla di un uomo strozzato. Ho avuto i brividi».  Non cercateli, oggi, i pennuti. Ieri mattina le suore li hanno dati via. «Per chiudere le polemiche abbiamo deciso di restituirli al proprietario», racconta la madre superiora. Effetto delle proteste dei vicini, che si sono fatti sentire anche con le religiose, e della visita di una vigilessa chiamata a sbrogliare la situazione. «Si sono lamentati dei danni ai grappoli d’uva – continua la madre superiora – Ma anche i nostri alberi da frutto sono bersagliati dagli uccelli. Che ci si può fare?». Per esempio chiudere i pavoni in una voliera, le ha mandato a dire qualcuno.  La terra dietro al convento è ben coltivata, ma mai, prima, le religiose avevano tenuto animali da cortile. «Abbiamo preso i tre pavoni soltanto per fare un grosso favore ad una persona che conosciamo bene: aveva difficoltà a tenerli, ci ha chiesto di dargli una mano e l’abbiamo fatto ben volentieri. Ma di fronte alle proteste lo abbiamo dovuto richiamare, perché non vogliamo alimentare polemiche». Nelle sue parole c’è rammarico. «Peccato. Per le nostre sorelle più anziane erano una gradevole distrazione. Si erano affezionate».

Verso del pavone

Con 2 rammarici: uno perché l’articolo, scritto con fine umorismo e scevro di luoghi comuni, non è firmato e ci toglie il piacere di dare un nome, se non un volto, a questo giornalista di talento; il secondo, perché sull’edizione online manca il dotto trafiletto sulla simbologia del pavone, simbolo di resurrezione come l’araba fenice.

Segni dei tempi: Fly & Pray

Come farne senza? Quest’anno si ripete, il 1° ottobre.

A Lourdes in giornata. E Caporello ringrazia la sua grande parrocchia

Fly & Pray. Cioè volare e pregare. È la nuova forma di pellegrinaggio che l’altro giorno quattrocento pellegrini hanno sperimentato per la prima volta. Meta: il santuario mariano di Lourdes, tradizionalmente raggiunto in treno (con i malati) e in pullman con percorsi lunghi e periodi altrettanto estesi. L’Ufficio Pellegrinaggi della diocesi ha provato l’andata e il ritorno in aereo e in giornata, dagli aeroporti di Villafranca e di Bergamo.  L’impresa è riuscita da un punto di vista organizzativo e logistico (artefici il direttore amministrativo Francesco Portioli con Gianfranco Rizzato e Nicola Comparini), per la vasta adesione, ma anche perché è stata un’occasione coincidente per festeggiare Egidio Caporello. L’amministratore apostolico della diocesi di Mantova, infatti, mercoledì scorso ha compiuto i venticinque anni di episcopato e poco prima (il 7 settembre) i ventuno di ministero nella nostra città. Anche le autorità religiose di Lourdes gli hanno riconosciuto stima ed affetto, tanto da avergli proposto di presiedere celebrazioni eucaristiche alla Grotta delle apparizioni (delle quali, nel 2008, il 150º anniversario) e di guidare una straordinaria processione con il sacramento, che si è conclusa nell’immensa chiesa sotterranea, seguita da migliaia di fedeli di tutto il mondo.  Ad accompagnere i gruppi mantovani c’erano i monsignori Sergio Denti e Gian Giacomo Sarzi Sartori (vicario generale), il segretario e cerimoniere vescovile Maurizio Luzzara, i parroci Dino Mezzani di Cavriana, Ceo Dal Borgo di Castelbelforte, Marco Bighi di Quingentole, Enrico Castiglioni di Campitello, Alfredo Bruneri di Pieve di Coriano, Marco Cerutti di Pegognaga.  I quasi 400 pellegrini mantovani hanno percorso la Via Crucis e assistito alla messa solenne nella basilica superiore, visitato i luoghi di Bernardetta Soubirous, preso parte alla processione eucaristica e pregato davanti alla Grotta. Caporello ha voluto salutare e ringraziare tutti, ricordando il suo successore Roberto Busti, e chiedendo al gruppo di intonare il canto “Dio ti salvi o Maria”, che è di antica origine mantovana.

Disfemismo

Come non averci pensato prima. Se c’è l’eufemismo (la figura retorica che consiste nel sostituire un’espressione volgare o troppo cruda con un’altra meno esplicita) ci si può aspettare che esista anche il suo opposto, il disfemismo che (sempre secondo il De Mauro online) è la “figura retorica che consiste nel sostituire
un’espressione con un’altra di per sé spregiativa, ma in tono
affettuoso o scherzoso (ad esempio il mio vecchio per mio padre)
.

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Il gibbone dalle mani bianche

Castiglione: era senza autorizzazione – Prelevata la scimmia che aveva in casa

la Gazzetta di Mantova – 20 agosto 2008   pagina 15

CASTIGLIONE. Ha tenuto per una quindicina d’anni, nella sua casa di Castiglione delle Stiviere una scimmia definita Gibbone dalle mani bianche, custodita in una apposita gabbia, ma non poteva. La donna era sprovvista dell’apposita autorizzazione prefettizia. Ieri ha quindi dovuto separarsi dall’animale, col quale nel tempo l’aveva curato e cresciuto instaurando un rapporto di amicizia.  A prelevarlo sono stati gli uomini di un’apposita sezione del Corpo Forestale di Roma, probabilmente a seguito di una soffiata, proprio perché la proprietaria era sprovvista di quell’autorizzazione che rappresentava l’elemento essenziale per poter proseguire il rapporto con quell’animale che – secondo il suo racconto – aveva trovato quand’era ancora cucciolo, abbandonato sulla strada a Desenzano del Garda e che con pazienza e cura – come detto – aveva allevato fino a farlo diventare adulto. Lo stop, insomma, glielo ha imposto la burocrazia.  Ieri – come sottolineato – ha dovuto forzatamente separarsi da lui per l’intervento del Corpo forestale. Anche perché si tratta di una specie protetta. Gli uomini della Forestale capitolina trasferiranno il Gibbone in una apposita struttura protetta in Piemonte, probabilmente a Novara.

È un articolo meraviglioso. Mi ha fatto ridere fino alle lacrime. Intanto è scritto in una lingua assolutamente incongrua, che non riesce a scegliere un suo registro. Dovrebbero usarlo nei corsi di scrittura come esempio negativo. Parte con un tono oggettivo, in cui si mescolano scientifico (“una scimmia definita Gibbone dalle mani bianche”) e burocratico (“apposita gabbia”), e poi piomba nello stesso periodo nel colloquiale (“ma non poteva”). Ritorno al burocratico (“apposita autorizzazione prefettizia”: che aggettivo magico “apposito”, quanti buchi sa tappare – ma che cosa vuol dire poi?): ma intanto apprendiamo, tutti noi che vorremmo tenere un gibbone in casa, che serve un’autorizzazione prefettizia (ignorantia legis non excusat).

Poi una frase che ho dovuto rileggere 3 volte, perché non potevo credere che il quotidiano più antico d’Italia (quotidiano d’informazione fondato nel 1664, dichiara orgogliosa la testata) potesse pubblicare una frase come questa: “Ieri ha quindi dovuto separarsi dall’animale, col quale nel tempo l’aveva curato e cresciuto instaurando un rapporto di amicizia.” Col quale nel tempo l’aveva curato!

E così via, senza ordine, senza logica (“l’autorizzazione […] rappresentava l’elemento essenziale per poter proseguire il rapporto con quell’animale”: me se l’aveva e lo curava da 15 anni, forse l’autorizzazione era richiesta dalle norme ma certo non essenziale!), con qualche altro “apposito”. E per completare il tutto, un’inesattezza, perché il gibbone dalle mani bianche è tutt’altro che protetto, essendo considerato a basso rischio d’estinzione.

Bella bestiola, comunque. Il gibbone dalle mani bianche (Hylonates lar) è alto 70-80 cm e pesa 6-8 kg. Il pelo è grigio nero, ma in certe regioni anche totalmente chiaro; ha una barba bianca a collare, che gl’incornicia tutta la faccia e la fronte. Le mani e i piedi sono grigio bianchi di sopra e neri di sotto. Le natiche rosso-fiamma sono circondate da peli bianchi.è diurno e arboreo. Particolarmente agile e grazioso, è capace di superare d’un balzo 14 metri, da un albero all’altro. Ma tanto la signora lo teneva in gabbia, poveretto!

Il dibattito sulla sorte del gibbone è durato soltanto un altro giorno, poi non se ne è saputo più nulla.

Scimmia in casa – A chi rivolgersi?

In merito al Gibbone sequestrato alla signora di Castiglione, togliere dopo 15 anni di convivenza pacifica una bestiola a chi l’ha trattata con amore e correttezza, è una vera e propria cattiveria.  Come si troverà ora la scimmietta in uno zoo, visto che ha vissuto solo con esseri umani? E come starà la signora alla quale hanno tolto un affetto?  Chi ha denunciato la signora non si è reso conto del male che ha fatto a due essere viventi? Dicono che il gibbone dalle mani bianche sia potenzialmente pericoloso: «potenzialmente» non vuol dire che lo sia.  Tutti gli animali sono potenzialmente pericolosi se li si disturba, se li trattiamo male, ma tutti sono potenzialmente docili se li trattiamo con amore e affetto e non facciamo nulla che li possa irritare.  D’accordo sul fatto che ogni animale e/o essere vivente debba restare nel suo habitat, e chi ha sottratto la bestiola alla signora dovrà rendersi conto che l’unico sbaglio che 15 anni fa la signora ha fatto, è stato di non avvisare chi di dovere affinché l’animale venisse messo subito in uno zoo (nessuno mai si prenderebbe l’onere di rimandarla nella sua terra d’origine).  Rilevo che non è facile segnalare ad enti o associazioni che si è trovato un animale e se si chiede al Comune di Mantova o ai vigili a chi potersi rivolgere questi non sanno che cosa dirti. Le uniche strutture che mi hanno risposto e indicato a chi rivolgermi sono i vigili del fuoco e i carabinieri, grazie a loro ho memorizzato i numeri delle associazioni a cui fare riferimento in caso di necessità. Giordana Prati

Ordinanza creativa (1) – Comma 22

Nel comune di Torre de’ Negri, in provincia di Pavia (365 abitanti), un ordinanza del sindaco Sergio Peveri vieta ai girovaghi di sostare sull’intero territorio comunale.

Premesso che non sono riuscito a verificare la segnalazione alla fonte, due considerazioni:

  1. nonostante il nome, penso che gli abitanti xenofobi del ridente paesello siano di rude razza padana, e non negri come suggerirebbe il toponimo…
  2. i girovaghi, appena sostano, smettono di essere girovaghi… e allora come applicare l’ordinanza?

Spam – l’ultimo tassello

Mi mancava soltanto un tassello a completare la storia della parola “spam”, che tutti usiamo nel senso di messaggi indesiderati (generalmente commerciali) ricevuti in grande quantità (e ovviamente anche spediti in grande quantità). Curioso che il De Mauro online, che è un dizionario dell’uso, non riporti il vocabolo.

Il tassello che mi mancava è l’etimologia della parola stessa, spam: è una parola portmanteau, cioè una parola costruita unendo insieme pezzi di altre parole. Portmanteau significa “baule, valigia” in francese e lo usa in questa accezione, per la prima volta, Humpty Dumpty, un personaggio di Through the Looking-Glass (1871) di Lewis Carroll per spiegare ad Alice il significato di alcune parole nel poemetto nonsense Jabberwocky.

“‘slithy’ means ‘lithe and slimy’… You see it’s like a portmanteau—there are two meanings packed up into one word”
“‘Mimsy’ is ‘flimsy and miserable’ (there’s another portmanteau … for you)”

Lo stesso Carroll torna sull’argomento in un’altro testo:

Humpty Dumpty’s theory, of two meanings packed into one word like a portmanteau, seems to me the right explanation for all. For instance, take the two words “fuming” and “furious.” Make up your mind that you will say both words … you will say “frumious.”

Un portmanteau è un tipo di valigia che contiene due comparti rigidi tentuti insieme da una cerniera: allo stesso modo, suggerisce metaforicamente Carroll, due parole sono “impacchettate” in un solo contenitore. Lo stesso termine “portmanteau” è una parola portmanteau, composta con le due parole francesi porter (“portare”) e manteau (“mantello”). Non sapete che piacere mi dà la ricorsività!

Torniamo a spam: spiced ham, cioè carne di maiale speziata, lanciata nel 1937 dalla Hormel Foods Corporation. È carne di spalla di maiale bollita e omogeneizzata, con aggiunta di prosciutto cotto, sale, acqua, zucchero e nitrito di sodio. Non è immangiabile, contrariamente a quello che potreste pensare. La cosa cui secondo me assomiglia di più è la mortazza, direi.

La SPAM è particolarmente diffusa nell’area del Pacifico, dove è arrivata con i soldati americani nella 2° guerra mondiale.  Ogni abitante di Guam, ad esempio, ne mangia in media 16 scatole l’anno. Una celebre leggenda metropolitana collega questo successo nelle isole del Pacifico un tempo abitate da cannibali al fatto che la SPAM sarebbe il cibo più simile in sapore alla carne umana…

Spam ha preso il significato di posta elettronica indesiderata e abbondante per effetto di uno sketch dei Monty Python, che vi invito a godervi da soli.

Cronache dalla provincia (1)

Inauguro una nuova rubrichetta. Mi delizio, quando sono in vacanza, della lettura dei quotidiani locali, e voglio rendervi partecipi di questo mio innocuo hobby. Nei quotidiani locali sono ancora più evidenti i vizi della stampa nazionale: l’approssimazione, i luoghi comuni e l’italiano approssimativo – che peraltro caratterizzano anche le testate più titolate.

Non si ferma a un controllo – Scatta la ricerca tra i campi

QUINGENTOLE. Una pattuglia dei carabinieri che transitava per Quingentole, ieri nel primo pomeriggio, si è imbattuta in un extracomunitario, probabilmente nordafricano, che camminava a piedi lungo la provinciale per Quistello, via Nuvolato, all’altezza dell’ex caseificio Moreschi. I militari dell’Arma si sono fermati per un controllo, come di prassi. Ma appena l’uomo ha visto l’auto blu con le sirene avvicinarsi – forse perché clandestino e già espulso, oppure perché aveva compiuto qualche tipo di reato – subito si è messo a correre in direzione della campagna, per raggiungere poi i vicini campi di granoturco. Da quel momento sono scattate le ricerche: i carabinieri si sono lanciati all’inseguimento del fuggitivo, il quale però si è inoltrato tra gli alti steli del mais, facendo subito perdere le sue tracce. In supporto alla prima pattuglia ne sono arrivate altre due, inviate dalla Compagnia di Gonzaga gestita dal capitano Barbaglia, e in aiuto è arrivata pure l’Associazione carabinieri in congedo di San Benedetto, che possiede tre cani da ricerca. I cani sono stati mandati in mezzo ai campi e i carabinieri hanno circondato l’appezzamento. La battuta è andata avanti per un paio d’ore, finché i militari hanno trovato le impronte di scarpe da ginnastica, in uscita dal terreno a granoturco. Segno che il fuggitivo probabilmente era riuscito a scappare e ad allontanarsi dalla zona. Così le ricerche si sono concluse senza esito.

Qualche commento:

  • “un extracomunitario, probabilmente nordafricano”: era nero? i tratti somatici? ma il cronista l’ha visto? chi gliel’ha raccontato?
  • “I militari dell’Arma si sono fermati per un controllo, come di prassi”. Prassi? Credevo agissero sulla base delle leggi, o degli ordini dei loro superiori, o delle “regole d’ingaggio”.
  • “forse perché clandestino e già espulso, oppure perché aveva compiuto qualche tipo di reato”. O forse perché semplicemente tira una brutta aria per gli immigrati in Italia di questi tempi? E infatti scatta la caccia all’uomo, con 3 pattuglie dell’Arma + i carabinieri in congedo (a che titolo?) + 3 cani. Roba da Alabama. Dov’era il Ku Klux Klan?
  • Come nelle migliori barzellette sui carabinieri, nonostante il dispiegamento di uomini mezzi e cani, il nostro “fuggitivo” si è dileguato…

Don Milani! Chi era costui?

Pecorini, Giorgio (1996). Don Milani! Chi era costui? Milano: Baldini & Castoldi. 1998.

Don Milani, chi era costui?

amazon.com

Io non ho l’edizione rappresentata qui sopra, ma un’edizione tascabile di 10 anni fa, trovata fortunosamente su una bancarella (vi si dice che Pecorini “ha costruito la propria carriera di giornalista via via dimettendosi dai maggiori quotidiani e periodici”, invece del più sussiegoso “giornalista professionista dal 1945, è stato redattore o collaboratore di vari giornali e periodici, tra i quali il «Corriere della Sera», «Il Giorno», «L’Europeo», «L’Espresso», «Paese Sera»”).

Don Milani

bol.it

Pecorini è stato un amico di Don Lorenzo Milani, e il suo libro è pieno di affetto per il priore di Barbiana (e anche di livore per chi si è appropriato, in genere usurpandola, della sua eredità). Purtroppo, questo non è sufficiente a fare un buon libro.

Più interessanti, almeno per me, gli inediti di Don Milani che completano il volume. Alcuni meriterebbero da soli un commento approfondito.

Ad esempio, gli Appunti per un nuovo galateo:

  • “verso i genitori, l’ideale è una rispettosa disobbedienza”
  • “la parola urbanità è offesa ai contadini”
  • “i poliziotti sono l’unica categoria che si può trattare come da padrone a servo. Come educazione alla fede nella sovranità popolare e come educazione dei poliziotti stessi” [pp. 216-219]

Bellissimo anche il Progetto di un giornale-scuola, elaborato insieme ad Aldo Capitini. Il giornale era pensato come “un giornale che insegni a leggere il giornale”. L’idea era quella di prendere una notizia alla settimana e presentarla in riassunto. Poi, sempre in riassunto, far vedere come era presentata da tre testate di opposte tendenze politiche (destra/centro/sinistra). Poi illustrare (ma lasciamo parlare lo stesso Milani):

  • i fatti che bisognava già sapere (storia, geografia, politica)
  • analisi dell’articolo (stile, etimologia, significato)
  • fra le righe:
    • cui prodest?
    • cosa tace
    • cosa inventa
    • cosa (non) si può controllare
    • quanto importa [pp. 241-250]

A me pare un progetto attualissimo e particolarmente adatto all’era del web 2.0. Qualcuno ci vuole provare?

Il brano più interessante, per me, è Strumenti e condizionamenti dell’informazione, trascrizione di un incontro della scuola di Barbiana con un gruppo di aspiranti giornalisti. Oltre a presentare per la prima volta (penso) il metodo di scrittura collettiva che diventerà poi una pagina celebre di Lettera a una professoressa, si collega questo metodo a quello che Milani chiama “ricerca artistica della verità”:

Cioè, noi si parte dall’idea, si cerca la verità per scritto […] e la si corregge via via, la si perfeziona nella ricerca della massima efficacia col minimo di parole […]. Quando questo lavorio lo si protrae per settimane […] e si corregge, ricorregge, ricorregge, si lima, si toglie, si taglia, si taglia ripetizioni, si taglia aggettivi inutili, si abbrevia, si concentra sempre più… Quando è stato fatto questo lavorio a lungo, non solo si raggiunge il massimo di espressione, il massimo di efficacia, cioè di comunicazione, ma oltretutto si raggiunge la verità.
[…]
È automatico, nello stesso tempo si raggiunge la verità e l’arte, perché sono la stessa cosa. Se quella parola era da togliersi, vuol dire che non era vera; se era vera […] vuol dire che non era un’idea chiara. Quando una scrivendo ha fatto una ripetizione, vuol dire che le idee non le aveva chiare; quando scopre che una frase è una ripetizione, nell’attimo che chiarisce il testo per il lettore, lo chiarisce anche a se stesso, perché se lo avesse avuto chiaro lui non gli scappava nemmeno la ripetizione. [pp. 357-359]

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Sea of Poppies

Ghosh, Amitav (2008). Sea of Poppies. London: John Murray. 2008.

Il romanzo di Ghosh converge su due mie grandi passioni, una antica e una più recente: le storie marinare dei mari del sud e la letteratura anglo-indiana.

Sulla prima penso di avere ben poco da dire, perché penso che sia qualcosa di comune a molti ragazzi della mia generazione, e delle generazioni precedenti e, mi auguro, anche di quelle dopo la mia. Ho subito il fascino del mare a partire da Verne (20.000 leghe sotti i mari e L’isola misteriosa), e poi via via ho incontrato Stevenson e poi il grande Conrad (e Salgari, direte voi? No, Salgari no, non mi ha mai attratto e non l’ho mai letto!).

Sulla letteratura anglo-indiana forse c’è da dire qualcosa di più. Per letteratura anglo-indiana intendo gli scrittori del sub-continente indiano che scrivono in inglese. Non so se è la definizione corretta, e mi viene subito in mente che alcuni di questi scrittori non vivono in India o in Pakistan o in Bangla-desh, e che altri sono di seconda o terza generazione (Kureishi per me fa parte del gruppo, eppure …) e che altri ancora sono nati in Paesi toccati dalla diaspora indiana (gli inglesi deportavano gli indiani in altre loro colonie, quando avevano bellamente sterminato i “nativi” o li ritenevano incapaci di lavorare ai loro ordini, come in Sudafrica).

In realtà, gli autori accomunati dalla mia etichetta sono molto diversi tra loro, né potrebbe essere altrimenti. Si va da Salman Rushdie, forse il più celebre (più per la fatwa degli ayatollah iraniani che per il bellissimo I figli della mezzanotte) alla delicata Arundhati Roy de Il dio delle piccole cose. Ghosh non è un autore prolifico: il suo primo romanzo (mi correggo, il primo che ho letto), The Shadow Lines, è del 1990. È un’intricato e affascinante viluppo di memorie a più voci: per me è stato amore a prima vista. 5 anni dopo è arrivato The Calcutta Chromosome, che io non esiterei a definire uno dei più bei romanzi di fantascienza (molti non saranno d’accordo, ma per me questa attribuzione di genere non è riduttiva) di tutti i tempi, ed è anche il più “sperimentale” dei romanzi di Ghosh. A partire da The Glass Palace (2000) e The Hungry Tide (2004), la diaspora e l’identità indiana divengono sempre più temi centrali di Ghosh.

Anche Sea of Poppies parla di questo, tra molte altre cose. Il libro non è facile da leggere. È il primo volume di una trilogia e, come spesso accade, ti lascia sul più bello ad aspettare l’uscita della prossima parte. I personaggi e le storie che si intrecciano sono moltissimo (e i nomi indiani, inglesi e cinesi non aiutano). C’è una grande attenzione alla lingua, e soprattutto al vocabolario: all’inglese di Ghosh si assommano in questo libro l’indiano (o quanto meno l’indiano inglesizzato) e la terminologia marinara dei mari del sud nella prima metà dell’800. Non facile per me. Sono curioso di vedere come se la caverà il traduttore!

Non voglio dire di più per non guastarvi il piacere della lettura. Ma se non siete abituati a leggere in inglese, non cominciate da qui, aspettate la traduzione!

Qui sotto Ghosh parla del suo libro (e d’altro):