Machine gun

Dedico al mio bambino triste e lontano un assolo di chitarra che ha cambiato la storia: Machine Gun di Jimi Hendrix e la sua Band of Gypsys, live al Fillmore East il 31 dicembre 1969.

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Sviatoslav Richter e Monty Python

Chi mi conosce può immaginare quanto soffra a segnalarvi questo video, che prende per i fondelli il mio pianista preferito. Ma adoro anche i Monty Python, e fino a ieri ignoravo l’esistenza di questa gag.

Manituana

Wu Ming (2007). Manituana. Torino: Einaudi. 2007.

Il nuovo romanzo di (o dei?) Wu Ming era molto atteso. Mi sono precipitato a comprarlo quando è uscito, anche se non l’ho letto subito. E non mi è piaciuto.

Wu Ming ci aveva abituato a esplorare pezzi e parti della storia poco note, e dalla parte dei perdenti: la Germania della Riforma e delle rivolte dei contadini, l’Italia del dopoguerra… Ne ho parlato in due occasioni su questo blog e vi invito ad andare a leggere i due post sul 7 maggio e su Cary Grant. Anche Manituana è un romanzo storico “dalla parte sbagliata della Storia”: soltanto che non funziona.

Forse il problema è mio: non mi piacciono gli indiani d’America. Non mi piace, meglio, il culto che si è creato intorno a loro: saggi, taciturni, profondi, in armonia con l’ambiente (chiedevano scusa alle prede che cacciavano…), le prime vittime dell’imperialismo americano. Poteva andare diversamente da come è andata? Provo a spiegarmi. La controstoria di Contro-passato prossimo di Guido Morselli è plausibile: se l’Austria avesse vinto la prima guerra mondiale – e l’avrebbe potuta vincere – come sarebbe cambiata l’Italia? Nell’ipotesi di Morselli, a guerra finita, morto Francesco Giuseppe e deposto il Kaiser tedesco, l’Europa si organizzava in una federazione di stampo socialdemocratico ed entrava in pacifica competizione economica e culturale con la neonata Unione Sovietica. Persino le ipotesi di una vittoria nazista nella seconda guerra mondiale, per quanto più dubbie, conservano una loro plausibilità: ho in mente La svastica sul sole (The Man in the High Castle) di Philip K. Dick e Vaterland di Robert Harris. Ma, ahimè, gli indiani non potevano vincere. Temo che la parola definitiva l’abbia detta Jared Diamond nel suo Armi, accaio e malattie (Guns, Germs, and Steel). Un altro caso di ergodicità! Come sarebbe potuta andare a finire? Gli indiani erano comunque condannati, ma potevano vincere gli inglesi? Ce lo saremmo dovuti augurare? Niente Dichiarazione d’indipendenza? Niente Jefferson? Niente rivoluzione francese? Tutto molto difficile da immaginare.

Sono troppo serio: il mio fastidio è anche più superficiale. Tra il western di John Wayne e quello di Soldato blu, mi chiamo fuori e scelgo Sergio Leone o Sam Peckinpah. E sugli indiani, il Manara di Un’estate indiana, recentemente in edicola con Il sole-24 ore.

Per di più, il romanzo è brutto (se mi concedete un giudizio estetico). La scrittura è a volte sciatta, a volte inutilmente “artistica”, a volte “sperimentale”, sempre compiaciuta. I Wu Ming se la tirano, e se la tirano per 600 e passa pagine. E poi il battage martellante, il sito web: andatevelo a vedere, da non credere (www.manituana.com); ma chi vi siete messi in testa di essere? sgonfiatevi, prima che sia troppo tardi!

Tra le poche cose buone: il romanzo di può scaricare legalmente qui.

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Wondering and dreaming

Il barbarico re nel suo blog cita un pezzo dei King Crimson come “sicuramente la canzone nella quale mi riconosco di piú in assoluto”.

A me il gioco piace moltissimo (nonostante sia cretino, anzi proprio perché è cretino) e ve lo propongo. Per me la frase fatale è: “Wondering and dreaming, the words have different meanings” da Matilda Mother, sul primo album dei Pink Floyd. La usavo a scuola, come mantra, prima di scrivere i temi in classe, e la uso allo stesso modo ancora adesso, dopo quasi 40 anni dall’uscita del disco (The Piper at the Gates of Dawn).

Il video è tratto da una cover, ma la musica sotto è quella della versione originale.

Questo il testo integrale:

There was a king who ruled the land.
His majesty was in command.
With silver eyes, the scarlet eagle
showered silver on the people,
Oh Mother, tell me more.

Why’d you have to leave me there
hanging in my infant air, waiting?
You only have to read the lines of
scribbly black and everything shines.

Across the stream with wooden shoes,
bells to tell the King the news.
A thousand misty riders
climb up higher once upon a time.

Wondering and dreaming.
The words have different meanings…
Yes they did…

For all the time spent in that room,
the doll’s house, darkness, old perfume,
and fairy stories held me high
on clouds of sunlight floating by.
Oh Mother, tell me more…
Tell me more…

Metto anche il video dei KC perché è troppo bello!

The Departed

The Departed, 2006, di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Matt Damon, Jack Nicholson (e tanti altri, bravissimi: Mark Wahlberg, Martin Sheen, Alec Baldwin, Vera Farmiga…).

Un bel film, recitato splendidamente, prima di tutti da DiCaprio (non perché sia il più bravo, ma perché era quello su cui nutrivamo più dubbi), e splendidamente girato. Lascia qualche dubbio il finale, in cui il “tutti morti” (in fin dei conti, questo evoca il titolo) è un po’ troppo freddo e seriale, senza lo humor nero di Quentin Tarantino, né l’epica di Sergio Leone. Ma questo è Martin Scorsese, asciutto, essenziale, documentaristico.

Quando sei un piccolo irlandese cresciuto nei quartieri poveri di Boston hai soltanto due strade davanti a te: poliziotto o criminale. Bill e Colin sono la stessa storia, addirittura la stessa persona, l’uno il doppelgänger dell’altro. Da questa dinamica si dipana tutta la storia, fatta di tradimenti e di doppi giochi: chi tradisce chi? si tradisce la legge o la propria storia? e la legge, poi, è al di sopra o fuori della storia? chi è corrotto e chi corruttore? Frank Costello è il male, certo, ma il bene dov’è?

Ma il film non si può cogliere se non lasciando andare fuori fuoco la vicenda, senza lasciare che Bill/Colin si fondano in un personaggio solo, senza lasciarsi trasportare da questo cupo Attraverso lo specchio (o anche: A Scanner Darkly di Philip K. Dick). Come dice il poeta: “era proprio il mio gemello, però ci volevo bene come fosse mio fratello. Stessa strada, stessa osteria, stessa donna, una sola, la mia”.

Molto bella la colonna sonora. Vi segnalo, in particolare, Comfortably Numb interpretata da Van Morrison, nella versione di The Wall dal vivo messa in scena da Roger Waters nella Potsdamer Platz di Berlino il 21 luglio 1990 davanti a 250.000 persone.

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Tre sono le cose misteriose

Avoledo, Tullio (2005). Tre sono le cose misteriose. Torino: Einaudi. 2006.

Un Avoledo diverso e, secondo me, migliore. Certo, gli ingredienti di Avoledo ci sono tutti: l’inquietudine che attraversa la vita quotidiana, così difficile da definire e da precisare; un rapporto difficile con la moglie, ai limiti della rottura; una presenza infantile, cui è affidato il compito di farci vedere le cose con uno sguardo diverso; gli incontri, sempre obliqui e incompleti, sempre importanti, anche se spesso non riusciamo a capire perché; un protagonista – giovane, maschio, amante della musica e con problemi d’alcool – che si interroga sulla sua inadeguatezza.

La differenza è tutta nel tono della narrazione. Qui è volutamente alto, anche perché lo è il tema trattato: l’esercizio della giustizia internazionale ci mette in questione. Con il processo al Mostro espelliamo da noi le nostre responsabilità, l’incapacità e l’impotenza nel far rispettare i diritti umani, le libertà elementari, il diritto alla vita (altro che pursuit of happiness!). “Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. Non che gli altri romanzi di Avoledo siano disimpegnati: ma è scanzonato il tono e, a volte, il chiacchiericcio e l’intento satirico prevalgono su tutto il resto.

Purtroppo, non sempre il registro alto tiene: a tratti, emerge la fatica della scrittura (Avoledo ci aveva abituato alla leggerezza e alla “facilità”) e anche un po’ di retorica (sempre fastidiosa).

Dal punto di vista della struttura, è molto efficace che sia mantenuta l’unità di tempo e di spazio (i giorni e le ore che precedono la partenza per il processo) e che sia affidato al monologo interiore dell’io narrante il compito di spaziare tra i ricordi, gli antefatti e le aspettative.

Un bel libro.

CANZONE DEL MAGGIO

Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credevi assolti
siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciamoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le “verità” della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se credente ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

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28 giugno

Quante cose sono successe il 28 giugno!

Nel 1577 è nato Peter Paul Rubens. Il mio leggendario quantomenesbàttometro sarebbe fisso sullo zero, se non fosse che via Rubens era vicino a casa mia e che quindi, da bambino, conoscevo la strada prima del pittore (che non mi piace). Ho però avuto un puzzle con una sua opera, piena di donnone rosee e cicciotte.

Nel 1712 è nato Jean-Jacques Rousseau. Ho letto Il contratto sociale, molti anni fa, ricevendone una forte impressione. Ne ho un ricordo molto vago, ma vivo nella convinzione (o nell’illusione) che quella lettura abbia mantenuto un’importanza fondamentale, ancorché sotterranea, nella mia formazione democratica.

Nel 1902 è nato John Dillinger, il bandito. Non so nulla di lui, ma ho sempre amato tantissimo il film di Ferreri, Dillinger è morto.

Il 28 giugno 1914, Gavrilo Princip ha ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, dando l’avvio alla catena di avvenimenti che – oltre a decretare la finis Austriae cara a Cacciari – sfociò nella prima guerra mondiale. Nel 1919, esattamente 5 anni dopo, il 28 giugno fu firmato il Trattato di Versailles, dando l’avvio alla catena di avvenimenti che sfociò nella seconda guerra mondiale. Caro vecchio secolo breve! Il secolo lungo è appena iniziato e ne abbiamo già le tasche piene.

John Zorn: Complete Masada (3)

Un concerto memorabile. Tre modi diversi di intendere la musica in generale, e la musica di John Zorn in particolare. Alla fine, ben oltre la mezzanotte, eravamo tutti felici e convinti di aver partecipato (partecipato, non assistito) a qualcosa di speciale.

Uri Caine, pianoforte. Nonostante l’indubbia bravura di Uri Caine – o forse soprattutto perché, conoscendo altre operazioni talora discutibili, ma sempre di altissimo livello, le mie aspettative erano molto elevate – è stata la sezione più deludente del concerto di stasera (ma non certamente dell’insieme delle tre serate). A differenza di quanto accade per le Variazioni Goldberg, o per Mahler, o per Wagner, non mi è sembrato che Uri Caine sia entrato in sintonia con la musica di John Zorn. Forse sono troppo vicini culturalmente, forse a Caine serve un po’ più di distacco, di lontananza, di libertà, per misurarsi con un compositore. Non è la stessa cosa (qui su piano elettrico) ma comunque potete farvi un’idea.

Masada String Trio: Mark Feldman, violino; Erik Friedlander, violoncello; Greg Cohen, contrabbasso. John Zorn, seduto su un cuscino per terra, dirigeva. Un’interpretazione libera e attenta, acustica, “classica” con venature di musica antica, dei temi di Masada. A tratti assolutamente ipnotico. Mi ha fatto venire in mente, per le venature orientali e le sonorità arcaiche, il concerto di Sarband con i King’s Singers.

Electric Masada: John Zorn, sassofono; Marc Ribot, chitarra; Jamie Saft, tastiere; Ikue Mori, elettronica; Trevor Dunn, basso; Cyro Baptista, percussioni; Joey Baron, batteria; Kenny Wollesen, batteria. La versione “corrente” del progetto Masada e, insieme, la sintesi di tutto quello che abbiamo sentito nelle tre serate. Immaginatevi la densità e la compattezza del suono di un organico che ha una sezione ritmica con basso elettrico, due batterie e percussioni. Immaginate il dialogo tra Ribot e Zorn, due pazzi. A tratti sembrava di sentire il Miles Davis del 1974-1975 (il primo pezzo che hanno fatto era, vi giuro, funky), a tratti (come già con Bar Kokhba) la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin (e anche le sue incisioni con Carlos Santana), a tratti stralunati boleri o habanere, a tratti puro klezmer… Sono uscito con la sensazione che questa sia la musica (non il jazz, la musica tout court) più eccitante del momento. All’uscita, Roma era piena di macchine e moto che tornavano dal concertone di Vasco: per quanto lo ami, mi sono sentito tra gli happy few che condividevano un segreto.

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John Zorn: Complete Masada (2)

Asmodeus: Marc Robot, chitarra; Trevor Dunn, basso; Calvin Weston, batteria. Un trio rock classico, chitarra basso e batteria. Come i Cream e, ancora di più, come Jimi Hendrix, più quello di Band of Gypsies che quello di Experience. Heavy Klezmer. A me è piaciuto moltissimo. Questa la presentazione dell’ultimo disco (Book of Angels Vol. 7):

Three of the most intense musicians on the planet come together in one of the most explosive and rockin’ ensembles around. An original member of the Masada family since its inception, no one is more keenly equipped to handle a rock trio interpretation of the Book of Angels than Marc Ribot. Joined here by the versatile Trevor Dunn (Fantomas, Moonchild) on bass and the legendary G.Calvin Weston (Ornette Coleman, James Blood Ulmer) on drums, Marc plays like never before, referencing Hendrix, Sharrock, McLaughlin, Ulmer and more. Masada music takes on a whole new dimension. Passionate and powerful, this is one of the most compelling installments in the entire Masada series and contains some of Ribot’s wildest and best playing ever. This CD will blow your mind.

Mark Feldman (violino) e Sylvie Courvoisier (pianoforte). Sperimentazione interessante, un po’ rarefatta. Bello, ma il pezzo debole della serata.

Masada Quartet: John Zorn, sassofono; Dave Douglas, tromba; Greg Cohen, contrabbasso; Joey Baron, batteria. La formazione storica del progetto Masada. John Zorn finalmente suona (con Bar Kokhba e Asmodeus aveva fatto il direttore d’orchestra a modo suo). Entusiasmante. IUl bel video qui sotto vale mille commenti.

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Peter Lorre

Nato il 26 giugno 1904 in Ungheria, come László Löwenstein.

Una filmografia sconfinata (metto qui solo quelli che ho visto e ricordo):

  • M – Il mostro di Dusseldorf (M), regia di Fritz Lang (1931)
  • L’uomo che sapeva troppo (The Man Who Knew Too Much), regia di Alfred Hitchcock (1934)
  • Ho ucciso! (Crime and Punishment), regia di Josef von Sternberg (1935) (interpreta Raskolnikov)
  • L’agente segreto (The Secret Agent), regia di Alfred Hitchcock (1936)
  • Il mistero del falco (The Maltese Falcon), regia di John Huston (1941)
  • Arsenico e vecchi merletti (Arsenic and Old Lace), regia di Frank Capra (1944)
  • I cospiratori (The Conspirators), regia di Jean Negulesco (1944)

Cribbio, stavo dimenticando Casablanca (Ugarte)!