Sciampo

O anche shampoo, mutuato dall’inglese. Un detergente per lavare i capelli e il cuoio capelluto.

Arrivato a noi dall’hindi champo, imperativo di un verbo che significa “premere”, “strizzare” e per estensione “massaggiare”. Alla fine del Settecento, l’indiano Sheikh al-Din Mohammad aprì uno stabilimento di bagni turchi sul lungomare di Brighton, dove i massaggi sul corpo e sulla testa venivano effettuati, in un’atmosfera satura di umidità, con le mani insaponate (il sapone fungeva così da lubrificante). Nel 1762 la parola venne anglicizzata e da lì è entrata nel linguaggio comune.

Soltanto un pretesto, in realtà, per questo:

Prete

Il prete (dal greco πρεσβύτερος, presbyteros; e dal latino presbyter, da cui deriva in una traduzione più letterale l’arcaico termine presbitero), letteralmente “anziano”, è nella Chiesa cattolica e in altre Chiese cristiane un ministro religioso che presiede il culto, guida la comunità cristiana, e annuncia la parola di Dio. [Wikipedia]

Più comunemente, il ministro di culto di qualsiasi religione.

Scavando un po’ più a fondo nell’etimologia si trova una buffa sorpresa: πρεσβύτερος è il comparativo di πρεσβύς , “vecchio” (ovviamente, perché i preti erano scelti tra i più anziani, di fede e d’età). Ma πρεσβύς o πρεσβoύς è letteralmente il primo bue, quello che guida la mandria. Altro che pecorelle, il popolo bue! E altro che buon pastore, è un bue come noi!

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Prostitute

Per la prima volta sono stato estratto nel campione di un’indagine statistica nazionale. Un’esperienza interessante e un’indagine importante.

Ma un quesito mi ha veramente sconcertato. Nella sezione Sicurezza dei cittadini, mi si chiede:

Nella zona in cui abita, con che frequenza le capita di vedere […] prostitute in cerca di clienti?

Prostitute in cerca di clienti? E infatti, il degrado della zona in cui si abita è correlato (insieme al consumo e allo spaccio di droga, agli atti di vandalismo contro il bene pubblico e alla presenza di vagabondi, secondo il questionario che mi è stato somministrato) alla presenza di prostitute in cerca di clienti.

Ma certo. Abbiamo tutti in mente la situazione: macchine che procedono a passo d’uomo – a bordo mignottone felliniane scosciate, transessuali brasiliane, minorenni balcaniche, procaci nigeriane – che si accostano a qualsiasi uomo fermo ai bordi della strada o anche semplicemente alla fermata dell’autobus, o che cammina per i fatti suoi, e gli propongono prestazioni sessuali di ogni genere a pagamento, secondo un tariffario altrettanto variegato. Con un premium se rinuncia all’uso del preservativo, che tanto non offre protezione contro l’AIDS …

Fuor d’ironia, che non tutti apprezzano o comprendono. Il modo con cui si formulano le domande in un questionario statistico non è neutro, come gli addetti ai lavori sanno benissimo: determina il contesto (il frame, come direbbe George Lakoff) e per questa via influenza preventivamente il pensiero (e dunque la risposta) dell’intervistato.  Qui il messaggio è chiaro: sono le prostitute che cercano i clienti, e non i clienti (maschi) che cercano soddisfazione sessuale “senza cerniere” (come diceva Erica Jong in Paura di volare) e dunque sono disposti a pagare. Sono le prostitute che cercano clienti, e non – come vediamo quasi quotidianamente – i clienti a cercare attivamente (online, nelle case per appuntamenti, nei club privé e anche per strada) donne disposte a scambiare prestazioni sessuali per denaro. Con lo sgradevole effetto secondario, per strada, e dal momento che le prostitute sono sempre presunte tali (ci si affida a “segnali” ambigui come l’abbigliamento, il trucco, la zona eccetera), che spesso a essere importunate sono donne che non praticano questa professione. E, se permettete, questa è l’insicurezza sociale: per una donna, non potersi vestire e truccare come vuole senza correre il rischio di essere affiancate da un tizio in macchina che tira giù il finestrino e ti chiede “quanto vuoi?”, in genere precisando la prestazione sessuale richiesta.

Ecco, il questionario – spero involontariamente – ignora questa realtà e propone un quadro diverso: quello, appunto, in cui sono le prostitute a cercare (attivamente) i clienti e, di conseguenza, a costituire una parte del problema dell’insicurezza sociale percepita.

E non consente in alcun modo all’intervistato – tirannia delle “risposte chiuse” – di eccepire che, semmai, è l’ossessiva e diffusa presenza dei clienti a rendere impossibile a una donna, soprattutto se giovane o straniera o appena appena appariscente, di sentirsi sicura quando esce per strada.

Fino all’ultimo respiro

Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle), 1960, di Jean-Luc Godard, con Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg.

Visto molti anni fa, al cineforum, lo ricordavo come un capolavoro assoluto. Rivisto dopo molti anni, confermo: è un capolavoro assoluto. Di più: uno di quei film, che mentre lo vedi ti rendi conto che stai assistendo all’inizio di qualcosa. In particolare: la nouvelle vague del cinema francese. Ancora di più: al di là della sua importanza storica, è un film che ancora oggi sprizza felicità d’invenzione, originalità, stato di grazia degli interpreti.

Il soggetto è di François Truffaut (poche paginette, racconta la leggenda; la sceneggiatura fu sostanzialmente improvvisata giorno per giorno, durante le riprese). Girato in poche settimane nella tarda estate del 1959, il film è pieno di innovazioni tecniche: girato in gran parte all’aperto, per le strade di Parigi o in stanze d’albergo, con la macchina a spalla, a bassissimo costo. Ma non vi voglio tediare con i dettagli tecnici che trovate in qualunque storia del cinema.

Tra gli attori compaiono lo stesso Godard (che fa il delatore) e Jean-Pierre Melville (che interpreta Parvulesco, l’autore intervistato da Jean Seberg all’aeroporto di Orly; la parte doveva essere originariamente interpretata da Roberto Rossellini).

Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg sono più che bravi, sono commoventi.

Se lo volete vedere con i vostri occhi, il film è integralmente disponibile su Google video.

Un luogo incerto

Vargas, Fred (2008). Un luogo incerto (Un lieu incertain). Torino: Einaudi. 2009.

Einaudi continua a pubblicare i romanzi di Fred Vargas e io continuo a leggerli e a parlarne sul blog (per le altre recensioni, potete usare la funzione “cerca” nella barra sinistra). Oltre a pubblicare i romanzi nuovi (questo è uscito in Francia l’anno scorso), Einaudi sta “recuperando” quelli che non aveva tradotto prima, quando la Vargas non era ancora un caso letterario: perciò, l’ordine della pubblicazione delle traduzioni in italiano non corrisponde alla cronologia delle opere di Fred Vargas (la bibliografia quasi completa – manca ovviamente questo! – l’ho messa qui).

Anche questo è un libro che ho letto volentieri (anzi divorato), anche se il meccanismo giallo è artificioso e la storia settecentesca dei vampiri serbi mi è sembrata un po’ posticcia. Ma ognuno è libero di avere le passioni che ha, e di viverle a modo suo, e non mi offendo se l’interesse della Vargas per le storie di vampiri è apparentemente diverso dal mio (di cui ho parlato più volte e soprattutto qui).

In realtà, mi dicevo leggendo, quello che mi dà piacere nella lettura dei romanzi della Vargas non è tanto l’intreccio (e per questo le perdono i difetti che ho sottolineato prima), quanto per le arguzie di cui sono costellati i dialoghi e le descrizioni. Insomma, non apprezzo tanto la struttura architettonica, quanto le decorazioni. Ecco la solita piccola antologia:

Adamsberg andò ad aprire la finestra, posò lo sguardo sulla cima dei tigli. Erano fioriti da quattro giorni, il loro profilo di tisana entrò insieme con la corrente d’aria. [p. 61]
Non resisto a spiegare perché, secondo me, questa frase è memorabile: perché ha il coraggio e l’acutezza di mettere in chiaro che, per noi abitanti delle città occidentali del XXI secolo, non è la tisana a profumare di tiglio, ma il tiglio a profumare di tisana!

– […] Senta, – continuò Lamarre gettandosi un’occhiata alle spalle, – perché il bar si chiama Le billard, visto che non sono né giocatori né tavoli da biliardo?
– E perché la Brasserie des Philosophes si chiama così, se dentro non c’è nemmeno un filosofo?
– Ma questo non ci dà la risposta, ci dà solo un’altra domanda.
– Spesso succede così, brigadiere. [pp. 1543-154]

A dimostrazione, pensò, che non è la qualità a produrre il puro piacere, ma il benessere non scontato, di qualunque cosa sia fatto. [p. 230]

– […] Torno sulla retta via che, come sai, non esiste e che per altro non è retta. [p. 368]
Ma anche: “Torno sulla retta via che, come sai, non è retta e che per altro non esiste”.

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Autocalunnia [3]

Adesso mi aspetto che qualcuno vada a chiedergli scusa, ad Alexandru Isztoika Loyos.

Certo, non tutti quelli che lo hanno dipinto come un mostro e trattenuto in carcere anche dopo che era stato scagionato dello stupro di San Valentino, perché altrimenti la fila davanti alla porta del carcere sarebbe troppo lunga (perché il nostro, mi risulta, è ancora in galera). Mi accontenterei dei loro rappresentanti istituzionali.

Ecco la mia proposta dei 3 che dovrebbero andare a chiedere scusa:

  • il ministro dell’interno Roberto Maroni, in rappresentanza dei questurini tutti e (per estensione) di tutte le forze dell’ordine, anche se dipendenti da altri ministeri;
  • il vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino, in rappresentanza dei pubblici ministeri e degli altri magistrati che hanno trattenuto in carcere il rumeno “presunto innocente” con imputazioni e motivazioni sempre più risibili;
  • il segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana Francesco Angelo Siddi, in rappresentanza dei giornalisti.

Ancora Attali [2]

Il sito attaligratuit.wordpress.com è un falso. Meglio: un sito satirico. Ci sono cascato in pieno (ma ancora più inquietante è che ci siano caduti Giovanni De Mauro e Internazionale). Ringrazio Il barbarico re per avermelo segnalato.

In effetti, sarebbe stato sufficiente leggere con un po’ di attenzione la biografia di Attali (“je suis diplômé […] de l’Ecole des Mines à crayon”; “J’ai enseigné l’économie théorique à l’Ecole Polygamique”; “Je suis docteur honoris causas-nostras de plusieurs universités étrangères”) e qualche titolo delle sue opere (il mio preferito? “2000 : Baise Pascal ou le génie lubrique français – Biographie – Éditions Fayard”).

Niente male, comunque: ““Pour ou Contre ?” , la tyrannie de la pensée binaire, qui devrait rester reservée aux machines. […] Ni pour, ni contre, bien au contraire…”

Live

Chers amis.

J’ai décidé d’entamer une tournée mondiale, une série de lectures publiques marathon,  dits « concerts-littéraires », des performances de hard-littérature (littérature dure), durant lesquelles je lirais l’intégralité de mes 50 livres en une seule longue soirée.

Vu la durée exceptionnelle des ces « concerts » dont chaque représentation durera près de 15 heures, ceux et celles qui le désirent pourront dormir ou faire la sieste, afin d’éviter l’épuisement.  Des sacs de couchages, des oreillers ainsi que des somnifères seront fournis à la demande.

Je ne toucherais évidemment aucun bénéfice sur ces concerts, afin de pouvoir baisser le prix des tickets. Les besoins de la vie quotidienne se plieront devant mon désir de vivre uniquement d’amour et d’eau fraiche.

La tournée sera intitulée : « Rage Against The Machine ». Plusieurs dates sont prévues en France durant le mois de  février 2010.

Plus d’informations dans les prochains jours.

Votre ami, Jacques Attali

Ancora Attali

Abbiamo parlato, in due occasioni, di libri di Jacques Attali (Karl Marx, ovvero lo spirito del mondo e Breve storia del futuro).

Oggi ne parliamo con riferimento a una sua recente presa di posizione (riprendo da Internazionale di oggi, 20 marzo 2009).

La settimana

Lezioni

“Che sia possibile, nel 2009, far votare al parlamento, con i voti della destra e di una parte della sinistra, una legge indegna come quella in discussione oggi è un ulteriore segno del fatto che le élite politiche ed economiche di questo paese non capiscono nulla di giovani, di tecnologia e di cultura”. Sembra l’Italia, ma siamo in Francia. E sono parole di Jacques Attali, intellettuale ed economista, a lungo consigliere di Mitterrand. Nel suo blog, Attali ha attaccato il progetto di legge che vuole impedire il download gratuito di musica e film. L’ha definito “scandaloso e ridicolo”, perché applica una norma sul diritto d’autore che risale al diciottesimo secolo. Bisogna trovare nuovi modi. Nei commenti al suo post, un anonimo lettore ha scritto: “Sono un musicista indipendente. Lei avrà l’autorità morale per dare lezioni sulla gratuità solo quando avrà messo gratis su internet tutti i suoi libri”. Il giorno dopo Attali l’ha fatto: i cinquanta saggi che ha scritto negli ultimi trent’anni sono online a disposizione di tutti. – Giovanni De Mauro

L’articolo originale lo trovate qui (dove trovate anche il dibattito che l’intervento di Attali ha scatenato):

Une loi scandaleuse et ridicule

Comme en agriculture, où les riches paysans de la Beauce se sont depuis  longtemps cachés   derrière les pauvres agriculteurs de montagne, pour obtenir des  subventions  dont ils étaient en fait  les principaux bénéficiaires, les industries du cinéma et de la musique mettent   maintenant en avant quelques créateurs et quelques chanteurs bien vus des puissants, pour maintenir d’indéfendables rentes de situation.

Qu’on puisse dans la France de 2009  présenter et faire voter au Parlement, avec les voix de toute la droite et d’une partie de la gauche,  une loi aussi indigne que celle qui vient en débat cette semaine à l’Assemblée nationale est une signe de plus d’un pays dont les élites politiques et économiques ne comprennent plus  rien ni à la jeunesse, ni à la technologie, ni à la culture.  D’un pays où les mots distraction, culture, art, spectacle, commerce, chiffres d’affaires sont employés de façon indifférenciée  .

Cette loi vise à surveiller ceux qui téléchargent gratuitement de la musique ou des films, à leur envoyer une semonce, puis une amende, ou l’interdiction de l’accès à internet. Cette loi est absurde et scandaleuse.

Absurde, parce que plus personne ne télécharge :  on regarde ou écoute en streaming . Absurde parce que toute volonté de crypter est sans cesse contournée par des moyens de le dépasser. Absurde parce qu’on prétend  interdire d’accès  à internet toute une famille, qui en a besoin pour son travail, parce qu’un enfant utilise l’ordinateur familial pour écouter de la musique.  Absurde parce que les vrais artistes n’ont rien à perdre à faire connaitre leurs œuvres, ce  qui leur attirent de nouveaux spectateurs et   les protègent, à terme, contre l’oubli.

Scandaleuse   parce que cette loi ouvre la voie à une surveillance générale de tous les  faits et gestes des internautes ;  parce qu’elle protège les rentes de situation des entreprises de média, qui ne sont pas incitées à apporter des nouveaux services à leurs clients (les paroles des chansons, les œuvres d’artistes inconnus, des films en 3 D ou tant d’autres innovations qui s’annoncent ailleurs) et les privilèges des fournisseurs d’accès,( qui devraient, en finançant une licence globale, fournir la rémunération des droits d’auteurs, des interprètes, des maisons de disques inventives  et des agents des artistes ) . Scandaleuse surtout parce que, pour une fois qu’on pouvait donner quelque chose gratuitement à la  jeunesse,  première victime de la crise, voilà qu’on préfère engraisser les majors de la musique et du cinéma, devenues aujourd’hui cyniquement, consciemment,   les premiers parasites de la culture.  Et en particulier, comment la gauche, dont la mission est de défendre la gratuité contre le marché, peut elle se prêter à une telle hypocrisie ?

A la fin du 18ème siècle, les  lois sur les droits d’auteurs ont été écrites pour protéger les créateurs contre les marchands. Au milieu du 19ème siècle, telle fut aussi  la raison d’etre des premières  sociétés d’auteurs . Voilà qu’on prétend les utiliser pour protéger les marchands contre les créateurs !   Pire même, voilà qu’on prétend  transformer les artistes en une avant-garde  d’une police de l’Internet  où sombrerait la démocratie.

Cette loi sera sans doute  votée, parce qu’elle est le pitoyable résultat d’une connivence passagère entre des hommes politiques, de gauche comme de droite,  toujours soucieux de s’attirer les bonnes grâces d’artistes vieillissants et des chefs d’entreprises bien contents de protéger leurs profits sans rien changer  à leurs habitudes.

Cela échouera, naturellement. Pour le plus grand ridicule de tous.

Se invece volete leggere o scaricare gratuitamente i saggi di Attali, l’indirizzo è: attaligratuit.wordpress.com. Le opere non ci sono ancora, ma ci trovate il commento all’intervento precedente che ha indotto Attali a questo passo.

Anche Paul Krugman (premio Nobel per l’economia 2008) è a favore del download gratuito: lo ha scritto sul New York Times del 6 giugno 2008.

Op-Ed Columnist

Bits, Bands and Books

Published: June 6, 2008

Do you remember what it was like back in the old days when we had a New Economy? In the 1990s, jobs were abundant, oil was cheap and information technology was about to change everything.

Then the technology bubble popped. Many highly touted New Economy companies, it turned out, were better at promoting their images than at making money — although some of them did pioneer new forms of accounting fraud. After that came the oil shock and the food shock, grim reminders that we’re still living in a material world.

So much, then, for the digital revolution? Not so fast. The predictions of ’90s technology gurus are coming true more slowly than enthusiasts expected — but the future they envisioned is still on the march.

In 1994, one of those gurus, Esther Dyson, made a striking prediction: that the ease with which digital content can be copied and disseminated would eventually force businesses to sell the results of creative activity cheaply, or even give it away. Whatever the product — software, books, music, movies — the cost of creation would have to be recouped indirectly: businesses would have to “distribute intellectual property free in order to sell services and relationships.”

For example, she described how some software companies gave their product away but earned fees for installation and servicing. But her most compelling illustration of how you can make money by giving stuff away was that of the Grateful Dead, who encouraged people to tape live performances because “enough of the people who copy and listen to Grateful Dead tapes end up paying for hats, T-shirts and performance tickets. In the new era, the ancillary market is the market.”

Indeed, it turns out that the Dead were business pioneers. Rolling Stone recently published an article titled “Rock’s New Economy: Making Money When CDs Don’t Sell.” Downloads are steadily undermining record sales — but today’s rock bands, the magazine reports, are finding other sources of income. Even if record sales are modest, bands can convert airplay and YouTube views into financial success indirectly, making money through “publishing, touring, merchandising and licensing.”

What other creative activities will become mainly ways to promote side businesses? How about writing books?

According to a report in The Times, the buzz at this year’s BookExpo America was all about electronic books. Now, e-books have been the coming, but somehow not yet arrived, thing for a very long time. (There’s an old Brazilian joke: “Brazil is the country of the future — and always will be.” E-books have been like that.) But we may finally have reached the point at which e-books are about to become a widely used alternative to paper and ink.

That’s certainly my impression after a couple of months’ experience with the device feeding the buzz, the Amazon Kindle. Basically, the Kindle’s lightness and reflective display mean that it offers a reading experience almost comparable to that of reading a traditional book. This leaves the user free to appreciate the convenience factor: the Kindle can store the text of many books, and when you order a new book, it’s literally in your hands within a couple of minutes.

It’s a good enough package that my guess is that digital readers will soon become common, perhaps even the usual way we read books.

How will this affect the publishing business? Right now, publishers make as much from a Kindle download as they do from the sale of a physical book. But the experience of the music industry suggests that this won’t last: once digital downloads of books become standard, it will be hard for publishers to keep charging traditional prices.

Indeed, if e-books become the norm, the publishing industry as we know it may wither away. Books may end up serving mainly as promotional material for authors’ other activities, such as live readings with paid admission. Well, if it was good enough for Charles Dickens, I guess it’s good enough for me.

Now, the strategy of giving intellectual property away so that people will buy your paraphernalia won’t work equally well for everything. To take the obvious, painful example: news organizations, very much including this one, have spent years trying to turn large online readership into an adequately paying proposition, with limited success.

But they’ll have to find a way. Bit by bit, everything that can be digitized will be digitized, making intellectual property ever easier to copy and ever harder to sell for more than a nominal price. And we’ll have to find business and economic models that take this reality into account.

It won’t all happen immediately. But in the long run, we are all the Grateful Dead.

Krugman non ha (ancora?) reso disponibili tutte le sue opere per il download gratuito, ma sul suo sito si trova già parecchio.

Fare il premier mi fa schifo

Da Repubblica (18 marzo 2008):

Il presidente del Consiglio: “Sono otto settimane che non faccio un giorno di riposo”
“Lo faccio soltanto per senso di responsabilità. Ma sono disperato…”

Roma, lo sfogo di Berlusconi

“Fare il premier mi fa schifo”

<b>Roma, lo sfogo di Berlusconi<br/>"Fare il premier mi fa schifo"</b>
ROMA – Si dice “disperato”. E torna a ripetere quanto il lavoro del politico gli “faccia schifo”. Serata di svago per Silvio Berlusconi al teatro Quirino di Roma. Ieri sera tra il primo e il secondo atto il premier si concede un bagno di folla. “Sono otto settimane che non faccio un giorno di riposo” scherza nel foyer con il pubblico. “Ma lei si diverte”, lo punzecchia una signora. “No, a me non piace quello che faccio – replica il Cavaliere – lo faccio solo per senso di responsabilità. Mi fa schifo quello che faccio. Sono disperato…”.

“Sono abituato a lavorare – riprende Berlusconi sorridendo – pensi che per 21 giorni non ho mai dormito due notti consecutive nello stesso letto”. “E’ stata una tournée”, ribatte un signore. “No – risponde il Cavaliere – perché in tournée si recita sempre la stessa parte. Io ogni giorno devo invece cambiarla”.

Non è la prima volta che Berlusconi tocca il tasto del “sacrificio” che gli costerebbe fare il lavoro del politico. Quello stesso che più volte ha sbeffeggiato pubblicamente, attaccando “i politici di professione”, quelli “solo chiacchiere” e “niente fatti”. Opponendoli a quelli come lui, gli uomini “del fare”. Ricordando, con orgoglio, la sua ascesa imprenditoriale.

Sospirando quando, elenca le sue innumerevoli case al mare, dalla Sardegna ai Caraibi, che non si può “godere”. Elencando minuziosamente i tempi sempre più stretti della sua giornata. “Dormo poche ore al giorno e il resto lavoro” ha ripetuto più volte. “Sono uno di voi” non perde occasione per dire ogni volta che si presenta davanti ad una platea di industriali. Uno di loro che però da 15 anni resta tenacemente attaccato a quel lavoro che, di tanto in tanto, dice di detestare. Ma di cui, evidentemente, non può fare a meno. “Ma solo per il bene degli altri”. Ovviamente.

(18 marzo 2009)

Commenti:

  1. Sullo stesso quotidiano, avevo letto che dopo il meeting di Cernobbio (lavoro usurante, non c’è dubbio), sabato, se n’era andato in elicottero nel suo buen retiro sul lago Maggiore. Ma se uno ha 365 ville, non è che poi si può lamentare che dorme ogni notte in un letto diverso. E magari pure con una squinzia diversa, povero sultano.
  2. Se gli fa schifo quello che fa (mi sembra sinceramente – se l’avverbio ha un senso riferito a Berlusconi), cioè il premier, cambia tutto: noi che non l’abbiamo votato, per pura cattiveria dovremmo chiedere che resti a fare il suo lavoro fino al termine del mandato; ma il 92% che lo sostiene dovrebbe chiedere, per il suo bene e il suo benessere, che si prenda un bell’anno sabbatico.

Fangland

Marks, John (2007). Fangland. New York: Penguin Books. 2008.

L’ho comprato, come potete immaginare, perché la copertina lo denotava come romanzo di vampiri, e a me le storie di vampiri piacciono, per i motivi che ho spiegato più volte e soprattutto qui.

Questo romanzo, però, in fondo non è una storia di vampiri.

Tanto per cominciare, Fangland (Il paese della zanna) non è la Transilvania, che pure nel romanzo c’è, ma la redazione newyorkese di The Hour (chiaro riferimento a 60 Minutes, dove l’autore ha lavorato): è nella redazione del news-magazine televisivo che ci si sbrana a vicenda, e le descrizioni dei vari personaggi, con i loro tic, le loro ridicole vanità, le loro sfrenate ambizioni e soprattutto la pervasiva sfiducia reciproca sono uno dei pezzi forti del libro, soprattutto sullo sfondo cupo dell’orrore vampiresco che si avvicina.

Anche se a volte affiora un po’ di stanchezza, soprattutto avvicinandosi al finale, l’autore è un virtuoso. Il romanzo è chiaramente un remake di Dracula di Bram Stoker, di cui riprende non soltanto il cognome della protagonista (Harker), ma anche – aggiornandola – la tecnica del romanzo epistolare.

Il virtuosismo dell’autore è anche apprezzabile nella parte ambientata in Romania, abbastanza fedele a quel poco che ne conosco (Bucarest e il percorso Bucarest-Ploiesti-Sinaia-Brasov), anche e soprattutto nel cogliere la mistura tra passato remoto, vestigia anni Venti, residui del socialismo monumentale e dolori del parto del capitalismo sregolato dilagante nell’Europa dell’est.

Ma al di là della vernice vampiresca (manca il grande tema del vampirismo come incapacità d’amare, come passione che divora l’altro da sé), il tema del romanzo è il peso della memoria, il peso di una storia che ha intriso di sangue ogni luogo. Il virus con cui Ian Torgu infesta la mente delle vittime che seduce nella sua orbita e infetta i sistemi informatici della redazione sono una lista di nomi di luoghi in cui sono avvenuti i piccoli e grandi massacri di cui è fatta la storia dell’umanità: Treblinka, Golgota, Solferino, Lepanto, Lubianka, Balaclava… Non una lista, la lista, che elenca tutte le località del pianeta, perché non ce n’è una che non abbia visto un massacro, nei 2 milioni di anni di storia e preistoria dell’umanità. La lista, le ombre dei morti ricordano – singolarmente – Everything is Illuminated, lo stesso stupore religioso davanti ai morti che ci tornano a parlare, che non si lasciano dimenticare.

Il nostro vampiro Ian Torgu è attratto da New York (come Dracula era attratto da Londra e il Nosferatu di Herzog da Delft) per via dell’11 settembre (che evidentemente gli americani continuano a pensare come il più grande massacro della storia, la madre di tutti i massacri, come avrebbe detto l’indimenticato Saddam Hussein): le finestre della redazione di The Hour affacciano dal 20° piano di un edificio di Manhattan proprio su Ground Zero.

C’è speranza, o la morte è destinata a vincere sulla vita? Marks è comprensibilmente ambiguo (“hai visto mai? se il libro ha successo faccio una serie”), ma suggerisce l’unica risposta possibile: soltanto il sesso (altro che aglio e crocefissi) può sconfiggere il signore della morte. Freud applaude: “the membranous pink truth” [p. 381]. L’eterno femminino (applaude Goethe). The membranous pink truth e la sublime rinuncia (e così applaudono anche Wagner e Schopenauer).

Nur eine Waffe taugt: –
die Wunde schliesst
der Speer nur, der sie schlug
Nur eine Waffe taugt: –
die Wunde schliesst
der Speer nur, der sie schlug.
Sei heil – entsündigt und entsühnt!
Denn ich verwalte nun dein Amt.
Gesegnet sei dein Leiden,
das Mitleids höchste Kraft
und reinsten Wissens Macht
dem zagen Toren gab.
Den heil’gen Speer –
ich bring’ ihn euch zurück! –
Oh! Welchen Wunders höchstes Glück!
Der deine Wunde durfte schliessen,
ihm seh’ ich heil’ges Blut entfliessen
in Sehnsucht nach dem verwandten Quelle,
der dort fliesst in des Grales Welle. –
Nicht soll der mehr verschlossen sein:
Enthüllet den Gral! – Öffnet den Schrein!
Höchsten Heiles Wunder!
Erlösung dem Erlöser!

Soltanto un’arma vale: –
chiude la ferita,
la lancia soltanto che l’ha aperta.
Sanato sii – purificato e assolto!
Poiché io sono, che ormai al tuo rito adempio.
Benedetto sia il tuo dolore,
che la forza suprema della compassione
e la potenza d’un purissimo sapere
donò ad un timido folle!
La santa lancia –
ecco io vi rendo!
Oh! di quale miracolo, altissimo trionfo!
Da quella ch’ebbe potere di chiudere la tua ferita,
un santo sangue scorrere contemplo,
bramoso volto alla congiunta fonte,
che nell’onda del Gral colà fluisce. –
Non deve più rimaner chiuso:
scoprite il Gral! – Apritene lo scrigno!
Miracolo d’altissima salute!
Redenzione al Redentore!

Umano, troppo umano.

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