Sacchetti di plastica o borsine di cotone?

Si è sviluppato un vivace dibattito sui meriti e i demeriti ecologici delle borsine di cotone, a fronte di una campagna diffusa per il bando dei sacchetti di plastica.

Quartz ci ha fatto un’analisi che a me pare definitiva (“Your cotton tote is pretty much the worst replacement for a plastic bag“, di Zoë Schlanger, pubblicato il 1° aprile 2019 – ma non è un pesce d’aprile), a partire da uno studio dell’Agenzia di protezione ambientale del governo danese [Ministry of Environment and Food – Environmental Protection Agency. Bisinella, Valentina; Paola Federica Albizzati; Thomas Fruergaard Astrup e Anders Damgaard (a cura di). Life Cycle Assessment of grocery carrier bags. Environmental Project no. 1985. February 2018), che potete leggere e scaricare qui. Incidentalmente, fa piacere vedere che due delle quattro persone che curano il rapporto sono italiane o di origine italiana.

Insomma, meglio il sacchetto di plastica o la borsina di cotone? Come spesso nella vita, la risposta non è univoca.

Prima risposta, quella facile: i comuni sacchetti di plastica (con l’eccezione di quelli di MaterBi, ad esempio, che è un biopolimero) non sono biodegradabili, inquinano i mari, finiscono nel tubo digerente degli animali marini e alla fine anche nel nostro con i cibi che mangiamo. Questa risposta vale per tutti i sacchetti, anche se il polimero di cui sono fatti, il peso e spessore influiscono sui tempi e le modalità di smaltimento e sulle possibilità di recupero e riciclo (qui sotto vedete diverse tipologie e materiali, che lo studio danese analizza). Ma la rispoista è sempre la stessa: non sono biodegradabili.

Ministry of Environment and Food of Denmark, 2018

Il male assoluto, quindi? No perché – seconda risposta – se si tiene conto dell’insieme degli impatti ambientali al di là di quello dello smaltimento, cioè dell’impatto ambientale della produzione della materia prima (il cotone) e di tutto il resto (filatura, tessitura, confezione, tintura, trasporto, e così via), la borsina di cotone ha un impatto maggiore. Anzi, molto maggiore.

Ministry of Environment and Food of Denmark, 2018

Lo studio danese analizza questi aspetti, oltre a diverse modalità di riuso e riciclo, e si conclude con consigli di uso e smaltimento delle diverse tipologie di sacchetti e borse.

Rielaborazione da Ministry of Environment and Food of Denmark, 2018

Impressionante, vero? Sorprendente, no? I sacchetti di cotone devono essere riutilizzati migliaia di volte prima di soddisfare le prestazioni ambientali dei sacchetti di plastica e – scrivono i ricercatori danesi – il cotone biologico è peggiore del cotone convenzionale quando si tratta di impatto ambientale complessivo. Infatti, il cotone biologico ha un tasso di resa inferiore del 30% in media rispetto al cotone convenzionale, e quindi richieda il 30% in più di risorse, come l’acqua, per crescere nella stessa quantità, anche tenuto conto del minor ricorso a fertilizzanti e pesticidi (e quindi di un impatto minore in termini di eutrofizzazione e contaminazione).

Che fare allora? Il rapporto si conclude con alcuni consigli pratici sulla destinazione finale al termine della loro vita utile:

  1. LDPE base: riusare almeno una volta per la spesa, poi come sacchetto per i rifiuti.
  2. LDPE con manico rigido: si può riusare direttamente come sacchetto per rifiuti.
  3. LDPE riciclato: riusare almeno due volte per la spesa, poi come sacchetto per i rifiuti.
  4. Polipropilene non tessuto: riusare almeno 52 volte per la spesa; poi smaltire con materiali riciclabili, oppure riutilizzare come sacchetto per la spazzatura; infine destinare all’inceneritore.
  5. Polipropilene tessuto: riusare almeno 45 volte per la spesa; poi smaltire con materiali riciclabili, oppure riutilizzare come sacchetto per la spazzatura; infine destinare all’inceneritore.
  6. PET: riusare almeno 84 volte per la spesa; poi smaltire con materiali riciclabili, oppure riutilizzare come sacchetto per la spazzatura; infine destinare all’inceneritore.
  7. Poliestere: riusare almeno 35 volte per la spesa; poi smaltire con materiali riciclabili, oppure riutilizzare come sacchetto per la spazzatura; infine destinare all’inceneritore.
  8. Biopolimeri: attenzione! per i cambimenti climatici può essere utilizzato direttamente come sacchetto per i rifiuti, ma per l’impatto complessivo va usato almeno 42 volte per la spesa.
  9. Carta non sbiancata o sbiancata: riusare almeno 43 volte per la spesa; poi riutilizzare come sacchetto per la spazzatura; infine destinare all’inceneritore.
  10. Sacchetti di cotone convenzionali: riusare per la spesa almeno 52 volte per i cambiamenti climatici, almeno 7.100 volte considerando tutti gli indicatori; se possibile, riutilizzare come sacco per la spazzatura, altrimenti incenerire.
  11. Sacchetti di cotone biologico: riusare per la spesa almeno 149 volte per i cambiamenti climatici, almeno 20.000 volte considerando tutti gli indicatori; se possibile, riutilizzare come sacco per la spazzatura, altrimenti incenerire.

Non dàtevi obiettivi, costruite abitudini e sistemi, piuttosto

Tutte le bibbie aziendali e i loro profeti sostengono che dare (o darsi) degli obiettivi e poi realizzarli sia la ricetta sicura per il successo.

Contrordine, compagni. Adesso pare che darsi un obiettivo sia la ricetta sicura per l’insuccesso.

Non lo dico io. Lo sostiene Scott Adams, il creatore di Dilbert:

Goals are for losers. [Scott Adams. How to Fail at Almost Everything and Still Win Big: Kind of the Story of My Life]

… you will spend every moment until you reach the goal — if you reach it at all — feeling as if you were short of your goal. In other words, goal-oriented people exist in a state of nearly continuous failure that they hope will be temporary.

Per di più, fissare un obiettivo significa (ovviamente) non averlo ancora raggiunto e, quindi, conferma la sensazione di essere inadeguati. Tipico della mentalità da perdenti:

When you’re working toward a goal, you are essentially saying, ‘I’m not good enough yet, but I will be when I reach my goal’. [James Clear]

Se – come spesso accade – l’obiettivo è fuori dal tuo controllo, in tutto o in parte, ecco garantita la frustrazione.

Che fare allora? Questo articolo [Goals Suck: Why Building Habits and Systems Makes Sense] suggerisce di puntare su abitudini e sistemi.

Un sistema è un processo da seguire. Si può ripetere e ogni volta porta allo stesso risultato (o a un risultato simile). Naturalmente, per costruire un sistema ci vogliono tempo e fatica. Ma mentre lo costruisci, impari tantissimo sul risultato che vuoi ottenere e su come ottenerlo.

Sono sistemi in questa accezione il tuo programma di esercizio fisico, la tua routine di lavoro, il tuo progetto di auto-apprendimento.

Un’abitudine è un’azione ripetibile. È qualcosa che fai senza pensarci. In questo è diversa da un sistema, che è una sequenza di azioni consapevoli (nell’esempio che abbiamo fatto poco fa, il tuo programma di esercizio fisico è un sistema fatto di un alternarsi di corsa, ginnastica e riposo).

Sono esempi di abitudini quella di mangiare il frutta a colazione, di correre tutti i giorni di bel tempo, di leggere prima di addormentarsi.

Sistemi e abitudini hanno in comune la ripetizione. Per costruirli, si deve prendere una piccola decisione ogni giorno, non fissarsi su una meta lontana. Ci vorrà del tempo (tipicamente un paio di mesi, secondo l’articolo che sto citando), ma alla fine sarà diventata una seconda natura.

Il tuo cane: istruzioni per l’uso

L’ultima edizione dell’indagine dell’OCSE sulle competenze linguistiche e matematiche degli adulti, pubblicata nel novembre del 2013, pone l’Italia all’ultimo posto tra i 24 Paesi partecipanti. In materia linguistica, in particolare, la rilevazione era intesa ad accertare la capacità degli adulti di età compresa fra i 15 e i 65 anni «di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialitàµ. In Italia, il 28% degli adulti ha «competenze linguistiche di livello 1 o inferiore», cioè è «in grado di riempire semplici formulari, comprendere il significato di semplici frasi e leggere con fluidità un testo scritto».

I cani al parco

Obbligo di cani al guinzaglio e raccolta feci

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C’è vita nel tuo ombelico! E non solo il venerdì sera

Nonostante parole come onfaloscopia (la «pratica ascetica diffusa presso i mistici orientali, consistente nel meditare fissando il proprio ombelico.» secondo il Vocabolario Treccani), la contemplazione del proprio ombelico è considerata l’epitome della frivolezza e dell’accidia.

Navel Gazing

dailymail.co.uk / photonica

Non così per la scienza, per la quale nessun oggetto di studio è troppo umile e vacuo. La North Carolina State University e il Museo di scienze naturali della North Carolina hanno avviato un progettio sulla flora batterica dell’ombelico, coinvolgendo un piccolo esercito di volontari disposti a farsi infilare un cottonfioc nell’ombelico (senza ridere e senza arrossire, suppongo). Se volete visitare il loro sito, lo trovate qui.

Da pochi giorni, il team dell’Università statale della North Carolina ha pubblicato un articolo scientifico su PLOS ONE, un’importante rivista scientifica online: “A Jungle in There: Bacteria in Belly Buttons are Highly Diverse, but Predictable“. L’articolo può essere scaricato liberamente e gratis, ma se vi basta un rapido riassunto, ne trovate uno qui: Navel Bugs | The Scientist Magazine®.

A survey of the microbial life in 60 volunteer’s belly buttons has come up with more than 2,000 bacterial and archaeal species, most of which exist on only a fraction of the population, according to a report published this week (November 7) in PLOS ONE.

“[We] can now predict which bacteria tend to be frequent and common in belly buttons,” lead researcher Robert Dunn, of North Carolina State University said in an interview for a PLOS ONE blog. “Gender doesn’t seem to matter, nor does age, nor does innie/outie, nor does where you live now or where you were born.”

The team of researchers sequenced small fragments of each microbe’s genome to identify the diversity of microbes in each belly button. Each volunteer harbored an average of 67 different types of bacteria, and the vast majority of the 2,188 species found were only present in six or fewer belly buttons. One of the volunteers, Dunn said, had not bathed in years, which yielded a belly button sample that not only had bacteria present, but two species of archaea, which were rare in the study.

Dunn says that he and his team are continuing their navel research, next sampling 600 belly buttons, which could reveal more information about our personal germs.

Navel Bugs

the-scientist.com

L’oca d’oro, un nuovo premio scientifico

Domani, 13 settembre 2012, 3 gruppi di ricercatori verranno insigniti del Premio dell’oca d’oro (Golden Goose Award), assegnato q progetti di ricerca originariamente giudicati irrilevanti, oscuri o addirittura ridicoli all’epoca della prima pubblicazione dei risultati, ma dimostratisi in seguito importanti e radicalmente innovativi in un certo ambito (lo so, vi aspettavate che scrivessi epocali, ma non ci casco).

Il premio intende riscattare la fama di ricercatori spesso ridicolizzati per titoli di pubblicazioni che suonano comici o irrilevanti: per esempio, The Sex Life of the Screwworm suona ridicolo (e per un lettore di madrelingua americana anche piuttosto volgare, dato il doppiosenso contenuto in screw). Ma la Cochliomyia hominivorax (questo il nome scientifico) è letale per il bestiame e la ricerca citata, costata 250.000 $, ha contribuito a evitare 20 milioni di $ di danni.

L'oca d'oro

wikipedia.org

Il premio fa riferimento a una locuzione idiomatica affine al nostro detto «la gallina dalle uova d’oro» ma è ispirata a una diversa fiaba dei Fratelli Grimm, L’oca d’oro. Ecco il riassunto che ne fa Wikipedia:

Due coniugi hanno tre figli spaccalegna l’ultimo dei quali è sciocco, per questo viene chiamato Grullo. Un giorno egli si reca nel bosco a lavorare dato che i fratelli maggiori sono stati feriti dalla magia di un vecchietto al quale i due non hanno voluto offrire le loro provviste. Grullo entra nel bosco con una schiacciata e della birra e incontra l’omino che gli chiede da mangiare, Grullo volentieri gli offre quello che ha e viene ricompensato con un’oca viva d’oro massiccio.
Così Grullo tutto felice si reca nella locanda più vicina con l’animale per festeggiare, ma quando se ne va si dimentica l’oca sul tavolo. Le tre figlie dell’oste, incuriosite dalle bellissime e sfavillanti penne dell’oca tentano di prenderle, ma tutte quante rimangono attaccate all’animale per magia e quando Grullo torna si porta via l’oca senza badare alle ragazze. Durante il tragitto di Grullo anche un prete rimane attaccato alle ragazze e altre tre persone. Continuando il viaggio Grullo viene a sapere di un re molto triste che avrebbe dato un premio a chi gli avesse fatto tornare di nuovo il sorriso. Grullo si presenta a corte con l’intera processione e il re scoppia in un boato di risate. Alla fine Grullo chiede la mano di sua figlia, ma il cerca tre scappatoie alle quali porrà rimedio il magico omino del bosco e alla fine Grullo sposerà la sua amata.

Aequorea victoria

the-scientist.com / Flickr

  1. Martin Chalfie, Osamu Shimomura e Roger Tsien per il loro lavoro su una medusa bioluminescente, l’Aequorea victoria, in cui è stata individuata la proteina fluorescente verde (GFP, green fluorescent protein). La ricerca, pubblicata nel 1961, è stata dapprima ridicolizzata e poi ignorata per 30 anni, ma alla fine ha fruttato agli autori un Nobel. La GFP è ora universalmente utilizzata come marcatore nella ricerca genetica e nella biologia molecolare.
  2. Charles Townes, un altro vincitore del Nobel, riceverà il secondo premio per aver inventato la tecnologia laser oggi utilizzata per i CD e i DVD: all’inizio dei suoi studi persino i suoi professori lo scoraggiarono dal perseguire quel filone di ricerca.
  3. Jon Weber, Eugene White, Rodney White e Della Roy saranno insigniti del terzo premio per aver sviluppato – originariamente ispirati dallo studio di una specie di coralli – una ceramica speciale ampiamente utilizzata nelle protesi ossee.

Ho trovato la notizia su questo articolo di The Scientist, The Golden Goose Is Awarded, dove troverete ulteriori link.

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Twitter e i terremoti

La newsletter di KurzweilAI di oggi (4 settembre 2012) racconta [Tweets used as earthquake warning system | KurzweilAI] come nelle Filippine – in occasione del sisma di magnitudo Richter 7,6 grado della scorsa settimana – i sismologi abbiano utilizzato un sistema basato su Twitter per raccogliere informazioni.

Maggiori dettagli sono riportati da un articolo del 2 settembre 2012 dell’edizione australiana di SkyNews: Tweets used as earthquake warning system.

Il sistema utilizzato nelle Filippine è stato sviluppato dal servizio geologico statunitense (US Geological Survey) e denominato TED (Twitter Earthquake Detector). Si basa sul fatto che il terremoto viene immediatamente percepito dalla popolazione e i messaggi cominciano a essere twittati immediatamente, prima ancora che pervengano i dati raccolti dai sismografi (che tipicamente vengono elaborati in un intervallo tra i 2 e i 20 minuti dall’evento). Inoltre, i messaggi Twitter, che possono essere elaborati automaticamente e in remoto, oltre alle informazioni testuali contengono dati relativi al momento dell’invio e alle coordinate geografiche. Infine, Twitter può essere utilizzato per raccogliere immagini dell’area colpita.

TED

Twitter Earthquake Detection (credit: U.S. Geological Survey) / kurzweilai.net

Ulteriori informazioni sono disponibili qui:

The U.S. Geological Survey is using funds from the American Recovery and Reinvestment Act to support a student who’s investigating social Internet technologies as a way to quickly gather information about recent earthquakes.
In this exploratory effort, the USGS is developing a system that gathers real-time, earthquake-related messages from the social networking site Twitter and applies place, time, and key word filtering to gather geo-located accounts of shaking. This approach provides rapid first-impression narratives and, potentially, photos from people at the hazard’s location. The potential for earthquake detection in populated but sparsely seismicly-instrumented regions is also being investigated.
Social Internet technologies are providing the general public with anecdotal earthquake hazard information before scientific information has been published from authoritative sources.  People local to an event are able to publish information via these technologies within seconds of their occurrence. In contrast, depending on the location of the earthquake, scientific alerts can take between 2 to 20 minutes. By adopting and embracing these new technologies, the USGS potentially can augment its earthquake response products and the delivery of hazard information.
For more information on this project, please e-mail USGSted@usgs.gov or follow @USGSted on Twitter. Read more information about the USGS Earthquake Program.

Le ferie e la produttività

Oggi è il mio ultimo giorno di ferie, o meglio di queste intermittenti ferie agostane. Lunedì, almeno nelle pubbliche amministrazioni, inizia ufficiosamente la famosa “ripresa autunnale”, quella cosa nell’attesa della quale avevamo rimandato un sacco di cose a luglio. Sono le gioie della procrastinazione, strutturata o meno che sia.

Structured Procrastination

cafepress.com

Forse, allora, vale la pena di riprendere una polemica estiva e far un salomonico esercizio di par condicio.

Andiamo in ordine cronologico.

Gianfranco Polillo

ansa.it

Il 19 giugno 2012, alle 8:41 di un mattino che si avviava a diventare una delle prime giornate torride di questa torrida estate (peraltro iniziata sotto il profilo meteorologico ma non astronomico) – sì, sto parodiando l’incipit de L’uomo senza qualità di Robert Musil – il sotto-segretario all’Economia Gianfranco Polillo aggiunge un altro quarto d’ora alla suo ormai lungo minutaggio di celebrità warholiana. Chi mi segue sa che mi piace risalire alle fonti e, dunque, ecco il lancio dell’ANSA.

Polillo: ‘Sette giorni ferie in meno per alzare Pil’

Sottosegretario: ‘Lavorare una settimana in più per aumentare produttività’

19 giugno, 08:41

(di Francesco Carbone)

Gli italiani vivono al di sopra delle proprie possibilità e fanno troppe ferie. Dovrebbero lavorare almeno una settimana in più per essere più produttivi e ridare fiato al Pil. Il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, lancia una proposta-provocazione che però non trova grandi sostenitori anzi scatena un coro di polemiche. Contrari sono: Cgil, Cisl, Ugl, Confesercenti. Ma anche Pd, Idv, Pdci. Se si attuasse la proposta – sostiene Polillo – si avrebbe un effetto benefico: un punto di Pil in più. Niente male in tempi di recessione quando davanti al Pil c’è sempre il segno meno. C’è però anche un problema di ‘stile di vita’: secondo Polillo infatti “stiamo vivendo sopra le nostre possibilità: per sostenere i nostri consumi interni abbiamo bisogno di prestiti esteri che sono stati pari a 50 miliardi di euro l’anno”. Quindi? “Questo gap lo possiamo chiudere – spiega – o riducendo ulteriormente la domanda interna, inaccettabile per il Paese, oppure aumentando il potenziale produttivo”. Così si potrebbe appunto lavorare di più: “per aumentare la produttività del Paese – spiega – lo choc può avvenire dall’aumento dell’input di lavoro, senza variazioni di costo; lavoriamo mediamente 9 mesi l’anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve”. Quindi secondo Polillo, “se noi rinunciassimo ad una settimana di vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto”. Cioé circa 14-15 miliardi. E la proposta non sarebbe neanche troppo ‘invisa’ – secondo Polillo – alle parti sociali: per quanto riguarda i sindacati “è una fase di riflessione, ma devo dire che non sono contrari a questa ipotesi, almeno la parte più avveduta del sindacato che sta riflettendo per conto suo su questo all’interno di tutte le sigle”. E in Cgil: “ci sono settori illuminati e riformisti che ci stanno ragionando”. Ma dalla stessa Cgil il segretario confederale, Fabrizio Solari, parla di “un’uscita confusa, estemporanea e non particolarmente geniale e alla quale manca un naturale complemento: perché non chiedere ai 500 mila lavoratori in cassa di rinunciare ad una settimana di indennità? Per questa via anche le casse dello Stato ne trarrebbero un beneficio. Fuor d’ironia il problema della scarsa produttività italiana è il frutto della sua stessa specializzazione produttiva nonché degli scarsi investimenti. Queste le priorità da affrontare per produrre una crescita del Pil. Di certo la difficoltà del momento impongono a tutti, specie ai membri del governo, di non andare a cercare farfalle sotto l’arco di Tito”. Anche il Segretario Confederale Cisl, Luigi Sbarra, non sembra entusiasta: “se il sottosegretario Polillo vuole lavorare una settimana in più all’anno, cominciasse lui a dare l’esempio”. E dall’Ugl, Giovanni Centrella, protesta: “con questa bufala il governo sembra proprio aver toccato il fondo”. L’idea viene bocciata dal senatore dell’Idv Elio Lannutti che parte all’attacco sul fatto che mediamente gli italiani lavorino 9 mesi l’anno: “probabilmente Polillo si riferisce a se stesso e ai suoi burocrati non certamente a quelli che neanche si possono permettere di andare in ferie”. Infine Confesercenti e Pd:la proposta danneggerebbe il turismo, proprio l’unico settore trainante per uscire dalla crisi. E il Pdci: “nemmeno la finanza creativa di Tremonti sarebbe arrivata a tanto”.

Al di là delle posizioni motivate politicamente o sindacalmente, la proposta di Polillo suscitò anche immediati pareri negativi tra gli economisti e fu oggetto di satira. Per i primi, leggiamo Dario Di Vico sul Corriere della sera:

Se le aziende non hanno mercato tagliare le ferie diventa inutile

Il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo è il re Mida della polemica take away. Ogni tasto che tocca fa esplodere una piccola rissa mediatica che lo ripaga della fatica di essere al governo in compagnia di colleghi di cui spesso non condivide il modo di operare. È successo anche ieri: Polillo ha proposto agli italiani di rinunciare a sette giorni in ferie perché così «avremmo un impatto immediato sul Pil di circa un punto». I sindacati, il Pd e l’Italia dei valori sono immediatamente insorti colpiti dal segno punitivo che la proposta avrebbe nei confronti dei lavoratori. Qualcuno sull’abbrivio ha chiesto persino le dimissioni di Polillo ma il caldo è un grande alibi per tutti. La verità è che in questa fase della Grande Crisi non basta modificare le condizioni dell’offerta (ovvero decidere di lavorare di più) per creare sviluppo. Magari! Il problema sta tutto nella domanda che purtroppo non c’ è e tutto ciò rende purtroppo inutile qualsiasi patto tra i produttori, anche quello taglia-ferie. Se infatti gli operai accettassero di lavorare una settimana in più a reddito invariato le loro aziende non venderebbero automaticamente di più, spalmerebbero solo su più giorni i programmi produttivi necessari a soddisfare un mercato che più pigro di così non potrebbe essere. Non dimentichiamo che oggi la capacità produttiva è utilizzata all’incirca al 70% e la produzione industriale è calata di almeno un quarto. Se proprio volessimo però interpretare lo spirito migliorista della sortita di Polillo dovremmo vincolare la settimana lavorativa sottratta (alle ferie) alla decisione da parte delle aziende di pagare di più i loro operai. In questo caso un pur limitato aumento dei salari potrebbe sostenere i consumi e ridare un po’ d’ ossigeno a quella domanda depressa di cui parlavamo. Ma è evidente che in questo caso a insorgere sarebbero le aziende. Quelle che non hanno bisogno di produrre di più considererebbero lunare l’applicazione salariale del Polillo pensiero, mentre quelle che hanno mercato preferirebbero comunque utilizzare lo strumento dello straordinario piuttosto che negoziare una settimana in più. E del resto già avviene così nelle aziende. Con la piena responsabilizzazione del sindacato.

Per i secondi, Massimo Gramellini su La Stampa:

Il sottosegretario Quaresima

Lo scrivo a voce bassa e raccomandando il massimo riserbo – non vorremo svelare i piani segreti del governo a qualche potenza straniera? – ma il sottosegretario all’Economia con delega alle chiacchiere Polillo ha appena avuto un’idea geniale per far impennare il Pil. Rinunciare a una settimana di ferie. Non lui, gli italiani tutti. Poiché i lavoratori dipendenti godono di tre mesi di vacanze l’anno, ha ragionato il grand’uomo (temo li abbia confusi con i parlamentari), basterebbe offrire alla Patria una settimana di tintarella e l’economia nazionale ripartirebbe a razzo verso il cielo stellato.
Non intendo guastare i sogni di Polillo ricordando che è inutile produrre di più se poi non c’è nessuno a cui vendere e che oggi il problema non è rappresentato da quelli che fanno le ferie, ma da quelli che non le fanno perché hanno perso il lavoro. Mi limito a prendere spunto dall’ultima uscita «tecnica» per invocare dai rispettabili membri del governo un cambio: se non di marcia, almeno di umore. Sarà vero che arriviamo da un carnevale di vent’anni (anche se la maggioranza di noi nemmeno stava sui carri e applaudiva o fischiava la sfilata dal bordo della strada). Ma non mi sembra una buona ragione per sprofondarci in questa quaresima senza pasque, quasi dovessimo espiare una colpa collettiva. Chi lavora, in Italia, lavora tantissimo. Semmai lavora male, a causa della corruzione e della burocrazia, figlie naturali della cattiva politica. Invece di farlo sentire un verme, gli andrebbe restituita una speranza, mandando in ferie non pagate gli ottusocrati e in carcere i ladri.

Ma perché riprendo oggi questa polemica ormai stantia? Perché nel frattempo, negli Stati Uniti, che notoriamente di ferie ne fanno meno di noi, un economista del lavoro di primo piano propone l’esatto opposto: 3 settimane di ferie obbligatorie.

L’autore della proposta è Robert Reich che, sul suo blog, si presenta così:

ROBERT B. REICH, Chancellor’s Professor of Public Policy at the University of California at Berkeley, was Secretary of Labor in the Clinton administration. Time Magazine named him one of the ten most effective cabinet secretaries of the last century. He has written thirteen books, including the best sellers “Aftershock” and “The Work of Nations.” His latest, “Beyond Outrage,” is now out in paperback. He is also a founding editor of the American Prospect magazine and chairman of Common Cause.

E ora leggiamo la sua proposta, pubblicata su Salon il 10 agosto 2012:

Back from three weeks off grid, much of it hiking in Alaska and Australia.
When I left the U.S. economy was in a stall, Greece was on the brink of defaulting, the eurozone couldn’t get its act together, the Fed couldn’t decide on another round of quantitative easing, congressional Democrats and Republicans were in gridlock, much of the nation was broiling, and neither Obama nor Romney had put forward a bold proposal for boosting the economy, slowing climate change, or much of anything else.
What a difference three weeks makes.
Here’s a bold proposal I offer free of charge to Obama or Romney: Every American should get a mandatory minimum of three weeks paid vacation a year.
Most Americans only get two weeks off right now. But many don’t even take the full two weeks out of fear of losing their jobs. One in four gets no paid vacation at all, not even holidays. Overall, Americans have less vacation time than workers in any other advanced economy.
This is absurd. A mandatory three weeks off would be good for everyone — including employers.
Studies show workers who take time off are more productive after their batteries are recharged. They have higher morale, and are less likely to mentally check out on the job.
This means more output per worker — enough to compensate employers for the cost of hiring additional workers to cover for everyone’s three weeks’ vacation time.
It’s also a win for the economy, because these additional workers would bring down the level of unemployment and put more money into more people’s pockets. This extra purchasing power would boost the economy overall.
More and longer vacations would also improve our health. A study by Wisconsin’s Marshfield Clinic shows women who take regular vacations experience less tension and depression year round. Studies also show that men who take regular vacations have less likelihood of heart disease and fewer heart attacks.
Better health is not just good for us as individuals. It also translates into more productive workers, fewer sick days, less absenteeism. And lower healthcare costs.
In other words, a three-week minimum vacation is a win-win-win — good for workers, good for employers, and good for the economy.
And I guarantee it would also be a winner among voters. Obama, Romney — either of you listening?

Le regole auree del previsore ideale secondo Julian Bigelow

Julian Bigelow (1913-2003), pioniere della cibernetica, fu uno stretto collaboratore di Norbert Wiener. Quando John von Neumann nel 1946 si accinse alla realizzazione del computer dell’Institute for Advanced Studies di Princeton e chiese a Wiener di segnalargli il nome di un candidato alla posizione di chief engineer, Wiener fece il nome di Bigelow, che divenne così un membro fondamentale del gruppo.

Il gruppo dello IAS

wikipedia.org / Julian Bigelow at The Princeton Institute for Advanced Study (Left to right: Julian Bigelow, Herman Goldstein, J. Robert Oppenheimer, and John von Neumann).

Nel 1940, Bigelow e Wiener furono incaricati da Warren Weaver (responsabile dei sistemi antiaerei statunitensi) di studiare un sistema di previsione e guida delle batterie: l’aviazione tedesca stava bombardando massicciamente la Gran Bretagna senza incontrare un’opposizione efficace, dal momento che all’epoca soltanto un proiettile antiaereo su 2.500 andava a bersaglio. Come racconta George Dyson nel suo Turing’s Cathedral, Bigelow e Wiener studiarono il problema in termini probabilistici. Nel dicembre del 1941, pochi giorni prima dell’attacco nipponico di Pearl Harbor, Bigelow scrisse a Warren Weaver una lunga (59 pagine!) lettera riservata, in cui erano tra l’altro contenute 14 «massime del previsore ideale».

Bigelow anzitutto raccomandava prudenza a proposito del concetto stesso di previsione:

We should clear any fog surrounding the notion of ‘prediction. […] Strictly and absolutely, no network operator – or human operator – can predict the future of a function of time. […] So-called ‘leads’ evaluated by networks or any other means are actually ‘lags’ (functions of the known past) artificially reversed and added to the present value of the function. [p. 112]

Le massime 7 8 e 9 recitano così:

  • Never estimate what may be accurately computed.
  • Never guess what may be estimated.
  • [If a guess is absolutely necessary] Never guess blindly. [p. 112]

Perché depilarsi il pube non è una buona idea

La considerazione ovvia è che se abbiamo peli all’inguine e sotto le ascelle significa che questo comporta un vantaggio evolutivo (chi era glabro è morto lasciando meno discendenti). Eppure la pubblicità li chiama “peli superflui” e si spendono milioni per radersi o farsi la ceretta.

Ora un medico suggerisce che la guerra al pelo pubico deve cessare e ammonisce contro i rischi della depilazione. La depilazione, infatti, con qualunque mezzo sia effettuata, comporta microscopiche lesioni, aprendo una possibile strada a molti patogeni. Inoltre, il pelo pubico ha una funzione importante nel segnalare la maturità sessuale e protegge dalle frizioni e irritazioni cui inguini e ascelle sono esposti. L’irritazione si accompagna spesso all’arrossamento e al sudore, creando un ambiente di coltura favorevole ai funghi (infezioni micotiche), ai batteri (soprattutto lo streptococco, lo stafilococco aureo e il suo pericoloso cugino resistente alla meticillina – MRSA) e all’herpes genitale.

Obituary: Sally Ride (26 maggio 1951-23 luglio 2012)

Di Sally Ride avevamo parlato – per la verità in modo molto leggero – in un post di qualche tempo fa, che ieri ho riproposto, dopo essere venuto a conoscenza della sua scomparsa.

Sally Ride

sallyridescience.com

Oggi torno sull’argomento con più serietà, perché il necrologio ufficiale – pubblicato sul suo sito Sally Ride Science – mette in luce 2 aspetti della sua vita, uno poco noto e uno del tutto privato fino a ieri, che mi sembra valga la pena sottolineare:

  1. Dopo aver lasciato la NASA nel 1987, Sally è tornata a insegnare, prima a Stanford e poi all’UCSD (University of California San Diego, noto a noi Apple-isti della prima ora per UCSD Pascal) e nel 2001 ha fondato la propria società, Sally Ride Science, per perseguire la vera passione della sua vita: «inspiring young people, especially girls, to stick with their interest in science, to become scientifically literate, and to consider pursuing careers in science and engineering.»
    «The company creates innovative classroom materials, classroom programs, and professional development training for teachers.»
    «Long an advocate for improved science education, Sally co-wrote seven science books for children—To Space and Back (with Sue Oakie); and Voyager; The Third Planet; The Mystery of Mars; Exploring Our Solar System; Mission Planet Earth; and Mission Save the Planet (all with Tam O’Shaughnessy). Sally also initiated and directed NASA-funded education projects designed to fuel middle school students’ fascination with science, including EarthKAM and GRAIL MoonKAM.»
    Secondo il New York Times (“American Woman Who Shattered Space Ceiling“): «In 2003, Dr. Ride told The Times that stereotypes still persisted about girls and science and math — for example the idea that girls had less ability or interest in those subjects, or would be unpopular if they excelled in them. She thought peer pressure, especially in middle school, began driving girls away from the sciences, so she continued to set up science programs all over the country meant to appeal to girls — science festivals, science camps, science clubs — to help them find mentors, role models and one another. “It’s no secret that I’ve been reluctant to use my name for things,” she said. “I haven’t written my memoirs or let the television movie be made about my life. But this is something I’m very willing to put my name behind.”»
  2. Con grande discrezione e sottile understatement, il necrologio ci informa che Sally lascia «Tam O’Shaughnessy, her partner of 27 years». Nessuno, fuori dalla cerchia dei parenti e degli amici più intimi, lo sapeva, perché la discrezione e la riservatezza di Sally erano proverbiali.
    Tam, che lavora alla Sally Ride Science come Chief Operating Officer and Executive Vice President for Content, aveva incontrato Sally su un campo da tennis quando erano entrambe ragazze:
    «Sally Ride and Tam O’Shaughnessy became friends at the age of 12 when they both played tennis. While their lives took different paths, they stayed in contact over the years. Ride went to Stanford University, earned a BS, an MS, and a PhD in physics, and became the first American woman to fly in space; O’Shaughnessy became a professional tennis player and later earned a BS and an MS in biology from Georgia State University and a PhD in school psychology from the University of California–Riverside.»
    Sally non aveva mai parlato della sua sessualità. Nell’articolo del New York Times già citato si dice: «Dr. Ride was known for guarding her privacy. She rejected most offers for product endorsements, memoirs and movies, and her reticence lasted to the end. […] In 1983, writing in The Washington Post, Susan Okie, a journalist and longtime friend, described Dr. Ride as elusive and enigmatic, protective of her emotions. “During college and graduate school,” Dr. Okie wrote, “I had to interrogate her to find out what was happening in her personal life.”»
    La sorella di Sally, Bear Ride, ha dichiarato a BuzzFeeD (“First Female U.S. Astronaut, Sally Ride, Comes Out In Obituary“): «We consider Tam a member of the family. […] I hope it makes it easier for kids growing up gay that they know that another one of their heroes was like them. […] Sally didn’t use labels. Sally had a very fundamental sense of privacy, it was just her nature, because we’re Norwegians, through and through.»
    Nel medesimo articolo, Chad Griffin, presidente della Human Rights Campaign, afferma: «For many Americans, coming out will be the hardest thing they ever do. While it’s a shame that Americans were not able to experience this aspect of Sally while alive, we should all be proud of the fact that like many LGBT Americans, she proudly served her country, had a committed and loving relationship, and lived a good life. […] The fact that Sally Ride was a lesbian will further help round out Americans’s understanding of the contributions of LGBT Americans to our country. Our love and condolences go out to her partner.»
    Per effetto del DOMA (Defense of Marriage Act) Tam non può essere riconosciuta erede di Sally.

Sally Ride e Tam O'Shaughnessy

Flickr/The American Library Association