Unire il futile allo spregevole

Dal sito http://www.ansa.it/:

Via la teca dell’Ara Pacis progettata dall’americano Richard Meier, via i tubi innocenti dal Colosseo, via i cordoli che delimitano le corsie preferenziali e la nascita di commissioni di “valutazione” per la realizzazione del parcheggio del Pincio e per la rimozione dei sampietrini in via Nazionale. Sono tutti elementi di discontinuità con le decisioni assunte dal predecessore Walter Veltroni che il neosindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha intenzione di attuare per il centro storico della capitale. […] La teca Meier […] rimane […] il principale scempio perpetrato dalle amministrazioni uscenti al patrimonio storico e artistico della capitale. […] Un centro, quello che vuole Alemanno, privo di guide turistiche abusive, con via Frattina, via Borgognona e via del Babbuino liberate “da degrado e sporcizia” per farle ridiventare “il salotto della città” e con un “nucleo di polizia municipale costantemente attivato contro i venditori abusivi”. […]

ALEMANNO ANNUNCIA LA SUA RIVOLUZIONE
di Simona Tagliaventi

Sgombero dei campi nomadi abusivi e spostamento di quelli regolari dal centro di Roma; mantenimento del nuovo piano regolatore che però non deve essere considerato “immutabile”; riduzione delle 80 tra aziende municipalizzate e controllate, con l’invito ai dirigenti nominati dal suo predecessore Walter Veltroni a dimettersi; rimozione della teca dell’Ara Pacis progettata dall’architetto americano Richard Meier, se i cittadini vorranno. Corre su questi temi la rivoluzione annunciata dal neosindaco di Roma Gianni Alemanno nella sua prima conferenza stampa in Campidoglio, subito dopo il suo insediamento. […] E ne arrivano altri di applausi quando, rispondendo ai giornalisti, dice: “La Teca di Meier è un intervento da rimuovere. Non è ovviamente la prima priorità, le emergenze sono altre”. Non può mancare uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, i nomadi: “Partirà presto un’azione per lo sgombero di quelli abusivi e per spostare dal centro di Roma quelli regolari. Questa operazione verrà fatta – precisa – tenendo ben presenti tutti gli aspetti della solidarietà. Punteremo a un’azione graduale cercando di espellere chi ha violato la legge: dobbiamo recuperare un ritardo di 15 anni a causa del lassismo avuto nelle ultime giunte verso chi ha commesso delitti”.

Coerentemente con il titolo del post, mi limito a una domandina futile: e la rimozione della teca, chi la paga? Alemanno? Sgarbi? O noi contribuenti onesti? [come il prestito-ponte Alitalia, peraltro]

Me ne vado da Roma…

A Roma salutavo gli amici. Dove vai? Vado in Perù. Ma che sei matto?
Me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del “volemose bene e annamo avanti”, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”, quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell’anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione…
Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…
Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini…
Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Romacaput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre con il sole – estate e inverno – quella Roma che è meglio di Milano…
Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella Roma del “core de Roma”…
Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de’ Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei “che c’hai una sigaretta?”, “imprestami cento lire”, quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini, Me ne andavo da quella Roma dimmerda! Mamma Roma: Addio!

…e poi ce so’ tornato!

Remo Remotti

[Grazie a Daniele per avermelo ricordato]

Roma città persa

E così l’abbiamo fatto. Roma, per la prima volta nel dopoguerra, consegnata a un picchiatore fascista neppure tanto pentito. I suoi camerati, in questo momento, schiamazzano per vie della città, tra sventolii di bandiere tricolori e alalà, nemmeno avessero vinto una partita di pallone. Chissà se stasera per festeggiare metteranno a fuoco un campo nomadi o picchieranno qualche studente all’uscita di un centro sociale, come peraltro hanno fatto ripetutamente in questi anni. Ma si sa, la sicurezza non è uguale per tutti. C’è chi i guai se li va a cercare, come le ragazze del Circeo.

A voi che li avete votati, gente di poca memoria e poco cervello, ricordo: sono sempre gli stessi.

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Il gioco del mondo

Cortázar, Julio (1963). Il gioco del mondo (Rayuela). Torino: Einaudi. 2005.

Davanti a un capolavoro, non ci si dovrebbe sentire in obbligo di scrivere una recensione. Dovrebbe essere sufficiente scrivere: un capolavoro del romanzo contemporaneo. Anzi, un capolavoro del romanzo di tutti i tempi. Uno di quei libri rispetto ai quali c’è un prima e un dopo, come per l’Ulysses di Joyce, o la Recherche di Proust, o L’uomo senza qualità di Musil.

Il problema è che, per quel poco che so, Il gioco del mondo è stato un romanzo largamente frainteso. La maggior parte dei commentatori ne ha colto lo sperimentalismo, il suo essere un romanzo ipertestuale ante litteram (l’autore ne suggerisce, accanto alla lettura sequenziale, che si limita ai primi 56 capitoli, una lettura guidata dai rinvii numerici alla fine dei ogni capitolo, che integrano nella lettura altri 99 capitoli “sovrannumerari” e che, per di più, porta a saltare il capitolo 55 – che ha un suo “doppio” nei capitoli sovrannumerari – e poi conduce a un loop infinito degli ultimi due capitoli).

In realtà, Rayuela è molti romanzi in uno solo.

Partiamo dalle parentele che ci ho trovato io. Henry Miller, per prima cosa (prima nel senso epidermico del termine, come se sbucciassimo una cipolla), per il clima degli expats a Parigi e anche per l’erotizzazione della città – anche se la Maga è un personaggio molto più profondo e complesso delle donne di Miller (Cortázar, sospetto, ha un rapporto con le donne molto più profondo e complesso e maturo e simpatetico di quanto Miller possa sognarsi di avere). Robert Musil (che prima non ho citato a caso) per la capacità di scrivere insieme un romanzo e un mondo enciclopedico, senza penalizzare né l’uno né l’altro dei due versanti, e senza mai essere né pedante né didascalico nelle digressioni filosofiche e di estetica. Il Joyce del Portrait of the Artist as a Young Man per l’uso del monologo interiore e, ancora di più, per essere anche Rayuela un Künstlerroman.

Il gioco del mondo è soprattutto un gioco di specchi e di doppi: di qua e di là dell’oceano, Oliveira e Traveler, la Maga e Talita. Un gioco di ponti precariamente gettati. Un mondo di gioco e di giochi. Il circo e la follia. Il dolore irrisolto. L’abiezione.

Non so chi ha scritto la quarta di copertina della mia edizione Einaudi, ma è stato un genio con il dono della sintesi:

Un capolavoro del Novecento che ha cambiato la storia del romanzo e la vita di molte persone che lo hanno letto.

Concordo in pieno. Non è un’esagerazione, nemmeno nell’affermazione che cambia la vita del lettore che vi si abbandoni, come ho fatto io. Leggetelo.

Su Wikipedia (inglese) c’è una bella voce (Hopscotch, il nome inglese del gioco).

Su YouTube c’è una bella intervista di Cortázar rilasciata alla televisione spagnola nel 1977.

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Music For A Found Harmonium

Un’altra canzone per il buon umore.

Penguin Cafè Orchestra dal vivo alla BBC nel 1989.

La colonna sonora dell’incontro d’amore ideale (5)

A volte l’amore non è soltanto trasporto. A volte è impeto e impulso, a volte è ritmo. Ovviamente: l’amore è (anche ) fisico.

Qui Sviatoslav Richter suona questo preludio di Rachmaninov (Alla marcia!) come se facesse l’amore con il pianoforte e attraverso il pianoforte. E c’è anche il trasporto.

Mi piace l’idea di far scorrere la partitura durante l’esecuzione: anche chi non sa leggere la musica, penso, riesce a farsi un’idea del movimento e della densità del brano. Che ne pensate? Io la musica la so leggere, anche se rudimentalmente, e quindi forse mi sono fatto un’idea sbagliata.

Se volete facciamo anche un esperimento. Proviamo a sentire come interpretano lo stesso preludio altri due pianisti (tutt’e due russi, ma è quasi un caso). Prima Evgeny Kissin, con un’interpretazione veloce ed estremamente virtuosistica. Nella sua interpretazione, secondo me, le emozioni che emergono non fanno certo pensare all’amore, ma piuttosto a una frenesia prossima al panico.

E adesso Emil Gilels.

Possiamo dire che la versione più autentica è quella che suonava Rachmaninov stesso (qui ricostruita da rulli per piano automatico, penso)? Io direi di no, ma è un discorso lungo e complicato. Magari ne parliamo un’altra volta…

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Morti invano

In realtà la canzone, di Daniele Sepe (un grande) si chiama “I vivi non ricordano“.

Non canto per i vivi, non canto per loro
ché di miserie e disgrazie
ne ho viste tante in giro
e questa storia assurda non può tornare indietro
a pezzi li abbiam persi sui monti e nelle valli
nei fiumi e agli angoli agli angoli delle strade
agli angoli degli occhi agli angoli della bocca di
Garcia Lorca, Camilo Torres,
Salvador Allende, Víctor Jara.

Montagne di cenci carne stracci
carta cuori unghie memorie
bruciati in fretta come nella camera
di scoppio di un motore
su una forca o con le fucilate
con la garrota o con la sedia elettrica
i vivi non ricordano lo sguardo
i vivi non ricordano lo sguardo
di Nicola Sacco,
Bartolomeo Vanzetti
Giacomo Matteotti, Giuseppe Pinelli.

E più neri di prima sono ritornati
lo stesso cognome
Mussolini
usano il televisore come un cavallo di Troia
entrano nel futuro dei nostri figli
così come c’entrarono nel ‘920
per ricordarci che
per ricordarci che
a Brescia, a Ustica, a Bologna
a Marzabotto, sono morti invano
perché i vivi non ricordano.

Si è ammutolito il mio strumento
quando ho capito che il popolo italiano
di mare, cielo e terra
deve saperlo che ci portano la guerra
guarda nei libri devi ricordarlo
ogni quanto tempo in Europa c’è un conflitto
dove madri padri figlie e figli
sono morti da dimenticare perché i vivi non ricordano
perché i vivi non ricordano gli occhi dei
fratelli Cervi, Lauro Farioli,
Marino Serri, Giovanni Ardizzone.

Sole, vento che rincorri i continenti
tu che accarezzi il viso delle genti
raccogline tutta la memoria
e fanne un solco nella terra
perché con il grano e con il pane
cresca anche il ricordo degli occhi
e del cuore di Franco Serantini,
Claudio Miccoli, Sotiris Petrulas,
Giorgiana Masi, Giuseppe Palumbo,
Grigoris Lambrakis, Turiddu Carnevali,
Gaetano Bresci, Franco Serantini, Claudio Miccoli, Sotiris Petrulas, Ernesto “CHE” Guevara, Stephen Biko, Patice Lumumba, Rina Feruglio, Giovanni Passanante, Emiliano Zapata, Pancho Villa, Salvador Allende, Garcia Lorca, Sacco e Vanzetti, Trotski, M. Luther King…

25 aprile

Oggi è il 25 aprile. Dopodomani i romani si accingono a eleggere loro sindaco un ex picchiatore fascista.

Morti invano, diceva una bella canzone.

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Il pesce puzza dalla testa

Dopo che è bell’e che morto, suppongo.

E se è stato eviscerato, perché altrimenti sospetto che cominci a puzzare dalle budella, come gli altri animali.

Un pesce vivo, immagino che puzzi soprattutto dal buco del culo, anche se non ho mai fatto l’esperimento. C’è qualcuno che l’ha fatto, che voi sappiate? E già che ci siete, mi sapete dire se i pesci producono flatulenze?

Morale della favola, direbbe Esopo: ripetiamo senza rifletterci frasi di cui ignoriamo il significato. E magari le usiamo per scaricare su altri le nostre responsabilità.

Wiegenlied

And now for something completely different (spero che .mau. non me ne voglia…).

È una Ninna nanna (Wiegenlied) di Richard Strauss (op. 41 n. 1). Qui la canta Renée Fleming. La poesia è di Richard Fedor Leopold Dehmel (1863-1920).

Träume, träume, du mein süßes Leben,
Von dem Himmel, der die Blumen bringt.
Blüten schimmern da, die beben
Von dem Lied, das deine Mutter singt.

Träume, träume, Knospe meiner Sorgen,
Von dem Tage, da die Blume sproß;
Von dem hellen Blütenmorgen,
Da dein Seelchen sich der Welt erschloß.

Träume, träume, Blüte meiner Liebe,
Von der stillen, von der heilgen Nacht,
Da die Blume seiner Liebe
Diese Welt zum Himmel mir gemacht.

Azzardo una mia stentata traduzione in italiano:

Tu, dolce vita mia, sogna, sogna
Il cielo che porta i fiori.
I fiori scintillano, mossi
Dal canto di tua madre.

Germoglio delle mie pene, sogna, sogna
Del giorno in cui i fiori sbocciarono;
Del chiaro mattino della fioritura
Quando la tua piccola anima si aprì al mondo.

Bocciolo del mio amore, sogna, sogna
Della quieta, santa notte
Quando il fiore del suo amore
Trasformò per me il mondo in paradiso.

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