46 regole per diventare un genio [8]

Ottava puntata (per la settima, andate qui).

L’ottava regola è (con le mie rudimentali traduzioni del pensiero di Neumeier, che non sempre condivido):

Stay in the dragon pit

Resta nella fossa del drago

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La “fossa del drago” è lo spazio tra ciò che esiste e ciò che potrebbe esistere. È uno spazio pieno di disagio, oscurità e dubbio. I più si getterebbero sulla prima fune gettata loro – ciò che esiste – piuttosto che restare e affrontare i draghi che fanno la guardia a ciò che potrebbe esistere. Ma ciò che potrebbe esistere è il luogo delle idee. Un genio è uno che può sopportare disagio e incertezza per generare quante più idee è possibile.

Il conflitto irrisolto della fossa del drago è in effetti una fonte primaria di energia creativa. Lo spazio tra visione e realtà genera tensione creativa, che può essere risolta soltanto con una nuova idea. Senza tensione creativa, non c’è spinta verso una realtà alternativa. È inevitabile: il risultato dell’assenza di tensione creativa è il solito tran-tran.

Un segreto della creatività è quello di tenere le idee allo “stato liquido.” Lasciare che, via via che cozzano l’una contro l’altra, mutino, si trasformino, si combinino. Evita la tirannia del no e l’ingenuità del ; mantieniti nella speranza del forse. Ci vuole coraggio, soprattutto se la posta è alta. Ma – dice un vecchio proverbio – è nella caverna in cui hai paura di entrare che si nasconde il tesoro che cerchi.

Il pensiero creativo ti chiede di abbandonare il noto e avventurarti nell’ignoto. Farlo è tanto più difficile, quanto più sei esperto nel tuo settore d’attività, nella tua disciplina, nel compito che ti è stato affidato. Il noto è un attrattore, è la posizione di default che attrae il tuo pensiero come un magnete.

Se ti trovi bloccato dalla tua stessa conoscenza, cerca di sbloccarti subito. Chiediti che cosa ti blocca. Ti manca un’informazione? Trovala. Ti manca un’abilità? Sviluppala. Non esiste una soluzione? Avanti, affronta il prossimo drago!

Claudio Lolli – Roma, Auditorium Parco della musica, Teatro studio – 6 aprile 2014

Una splendida, calda serata romana di primavera. Un lungo viaggio in macchina addolcito da un traffico meno frenetico del solito (salvo che per l’infernale semaforo di Piazzale delle Belle Arti). Una brezza leggera e gli stridii dei primi rondoni. Una falce di luna in una leggera foschia. Il teatro è pieno, ma il posto vicino a me è vuoto.

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Tutto sembra più che propizio all’ascolto di un cantautore che ho molto amato, ma non ho mai sentito del vivo.

Poi, l’incubo. Le luci si sono già spente e si sta esibendo Simone Avincola. La pedana di legno sotto i miei piedi comincia a tremare, poi l’intera fila di poltroncine. Il pensiero corre per un attimo al terremoto (è tutto il giorno che la radio ci ricorda L’Aquila). No, è semplicemente un gigante, un orco, un minotauro, che si lascia cadere sul posto accanto al mio.

Arrivano i musicisti, Nicola Alesini e Paolo Capodacqua: una scossa. Entra Claudio Lolli, con il suo passo esitante e la sua schiena curva: un sobbalzo seguito da una sorda vibrazione. Comincia la musica: Shrek batte il piede provocando un effetto analogo a quello dei passi del T. rex nel bicchiere d’acqua in Jurassic Park. Lolli racconta, è sommesso e teneramente ironico: ma il minotauro lo trova di una comicità irresistibile, esplode in un riso squassante che fa scricchiolare l’impiantito.

Ma il peggio doveva ancora arrivare. Non so come dirlo: più il concerto gli piaceva, più il mio vicino lievitava. Come nella vecchia sigla di Blob, una massa informe di velluto a costine si gonfiava, lievitava, strabordava, tracimava oltre i braccioli della poltroncina. Mi sentivo come la Polonia, le mie paludose pianure diventate il Lebensraum altrui.

In queste condizioni, in questo spazio sempre più angusto, avrei potuto godermi il concerto? Bell’esempio di domanda retorica. Ovviamente no. Ovviamente tutte le aspettative sono andate deluse, o quantomeno sono state ridimensionate. E dire che Claudio Lolli, per me (ne ho parlato molte volte, qui qui e qui, ad esempio) è inseparabile dal 1977, quando Radio Città Futura e Radio Onda Rossa ce lo riproponevano ossessivamente).

Claudio Lolli stesso non ha aiutato: è ancora un simpatico entertainer, ironico al punto giusto. Ma non canta più, recita. Una via di mezzo tra lo Sprachgesang schönberghiano e il crooner americano, con qualche strascinamento delle iniziali (ma senza l’affettazione di Attilio Scarpellini). E poi non aiuta – lo so che non è politically correct prendersela con l’aspetto fisico di una persona – che ormai Claudio Lolli sembri il gemello separato alla nascita del Riff Raff di Rocky Horror Picture Show.

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A parte gli scherzi, è stato un bel concerto e Claudio Lolli, con i suoi bravissimi musicisti, ha eseguito molte delle canzoni più belle del suo repertorio.

Tra cui ricordo queste (senza pretesa di metterle in ordine o di documentare una setlist):

  • Borghesia (l’ultimo bis, per la verità)
  • Quello che mi resta
  • Quando la morte avrà
  • Donna di fiume
  • Primo maggio di festa
  • Anna di Francia
  • Ho visto anche degli zingari felici
  • Analfabetizzazione
  • Incubo Numero Zero (disoccupate le strade dai sogni)
  • Adriatico
  • I musicisti di Ciampi
  • Folkstudio

Ma una almeno ve la devo far sentire, no? Analfabetizzazione!

46 regole per diventare un genio [7]

Settima puntata (per la sesta, andate qui).

La settima regola è (con le mie rudimentali traduzioni del pensiero di Neumeier, che non sempre condivido):

Think whole thoughts

Pensa pensieri interi

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La mente umana ama le scelte binarie: o/o. A o B. Sì o no. Pollo o vitello. Le scelte semplici ci danno sicurezza, quelle aperte ci mettono in ansia. Preferiamo scegliere tra due che tra molti.

Allo stesso modo, preferiamo scomporre i problemi complessi nelle loro componenti. È più facile concentrarsi su una singola parte che  considerare il problema nella sua interezza. E tuttavia, se non riusciamo a vedere bene il problema nella sua interezza, è difficile capire come le singole componenti si tengono insieme.

Per complicare ulteriormente le cose, spesso a trarci  in inganno sono le nostre emozione e intuizioni – proprio gli strumenti su cui facciamo affidamenti per guidarci nel folto dell’innovazione.

In realtà, la mente umana è una massa di pregiudizi: i principianti sono ingannati da quello che credono, gli esperti da quello che sanno. Il pregiudizio più grande è quello di pensare di non averne.

L’antidoto ai pregiudizi è pensare per pensieri interi, non per frammenti. Strizza gli occhi della mente per annebbiare i dettagli. Guarda come le parti del problema si tengono insieme. Osserva una situazione complessa da molti punti di vista, in modo da vedere i collegamenti nascosti e le possibilità inattese. Comincia da tre posizioni privilegiate:

Prima posizione: il tuo punto di vista. Facile, ma non sempre affidabile.

Seconda posizione: i punti di vista degli attori rilevanti. Più difficile: richiede capacità di osservazione ed empatia.

Metaposizione: il punto di vista esterno al sistema. Il più difficile: richiede oggettività e pensiero critico, cose che non vengono immediate ai più.

La parola chiave di questo stile di pensiero “innaturale” è systems thinking. È un metodo per comprendere i problemi complessi studiando le interrelazioni tra le parti e il tutto. È un modo per vedere il quadro d’insieme e come cambia nel tempo: un po’ come guardare un film piuttosto che una serie di istantanee.

Il systems thinking ti consente di risolvere i problemi rispettando il contesto. Per esempio, se devi progettare una sedia, considera la stanza in cui andrà inserita. Se devi arredare una stanza, considera la casa di cui è parte. Se devi concepire una casa, rispetta la comunità cui appartiene. Se devi governare una comunità, considera l’ambiente che la sostiene.

Se consideri l’insieme invece dei frammenti, crei soluzioni, prodotti o esperienze in sintonia con il contesto più generale, e che hanno, pertanto, più valore.

A me questa cosa del valore mi fa venire il cimurro, e il systems thinking è un po’ banalizzato, ma il resto non è male.

Ivano Fossati – Tretrecinque

Fossati, Ivano (2014). Tretrecinque. Torino: Einaudi. 2014. ISBN: 9788858412879. Pagine 416. 9,99 €

images-amazon.com

Caro Fossati,

scusa se mi rivolgo a te direttamente e ti apostrofo con il tu: è la confidenza che ci si conquista sul campo, in virtù della lunga frequentazione delle opere di un personaggio pubblico e di un uomo di spettacolo. Leggi il seguito di questo post »

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46 regole per diventare un genio [6]

Sesta puntata (per la quinta, andate qui).

La sesta regola è (con le mie rudimentali traduzioni del pensiero di Neumeier, che non sempre condivido):

Frame problems tightly

Inquadra i problemi rigorosamente

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Un mito molto diffuso: il genio ha bisogno di una tela grande. Eppure qualunque persona creativa sa che non è vero. Troppa libertà conduce alla mediocrità. Perché? Perché senza confini non c’è incentivo a violarli. Un vero genio non trova difficile violare una convenzione o ridefinire un compito: è la sua seconda natura. Ma lascia troppa libertà a una persona creativa e otterrai un risultato finale troppo pensato, troppo rifinito, troppo costoso e troppo sfocato. Il più bel regalo che puoi fare un genio è dargli un limite, non carta bianca.

L’idea di fondo è questa: Assegnare un compito ben strutturato incanala l’energia, assegnarne uno troppo vasto la dissipa. Quando una persona creativa si impantana, non è perché non riesce a vedere la soluzione; è perché non riesce a vedere il problema. Ecco allora una formula per inquadrare un compito in modo da vederne con chiarezza i contorni:

  1. Definisci il compito: riassumi il problema in poche righe, poi descrivi gli esiti più probabili se non si intervenisse.
  2. Elenca i vincoli: i vincoli sono i confini alla creatività imposti dal problema. Ci sono tetti di spesa? termini temporali? barriere tecnologiche? ostacoli politici? vincoli commerciali? problemi di marchio? deficit cognitivi?  ostacoli alla libera concorrenza? I vincoli sono importanti perché definiscono un quadro rigoroso e orientano verso le soluzioni.
  3. Elenca le potenzialità implicite (affordance): le potenzialità implicite sono possibilità creative presenti all’interno del problema stesso. Se i vincoli chiudono la porta, le potenzialità implicite aprono finestre. Vincoli e potenzialità definiscono lo spazio entro il quale le idee nuove possono muoversi, danzare. Che cosa manca nel mercato? Su quali competenze posso puntare? Che forze ho in squadra? Come posso migliorare la tecnologia? Che cosa mi suggerisce il problema? Dentro ogni problema c’è una soluzione nascosta.
  4. Definisci il successo: nella definizione del problema hai suggerito l’esito più probabile dell’inazione. Ora descrivi i risultati più importanti che intendi conseguire.

Un problema ben definito è un problema quasi risolto.

Anche qui cose su cui riflettere, con i consueti caveat anti-fuffa.

Crimson ProjeKCt – 1° aprile 2014

I Crimson ProjeKCt non sono una tribute band, ma sono – quanto meno al 50% – un pezzo di storia dei King Crimson: ne fanno parte Adrian Belew (attivo nella band dal 1981 al 2013), Tony Levin (dal 1981 all’attuale annunciato ottavo line-up) e Pat Mastellotto (dal 1994 a oggi). Completano il quadro alcuni talenti (relativamente) giovani: il chitarrista Markus Reuter, la bassista Julie Slick e il batterista Tobias Ralph. Il gruppo si configura così come un doppio trio (una formula già sperimentata dai King Crimson nel periodo 1994-1997) e in effetti risulta composto dal trio capeggiato da Adrian Belew (Adrian Belew Power Trio) e da quello guidato da Tony Levin (The Stick Men): durante il concerto i due trii suonano, separatamente, parte del loro repertorio.

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Il concerto è stato bello e tirato (e pensare che sul palco e tra il pubblico prevalevano gli ultra-sessantenni: pochi i renziani presenti). La sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica si è dimostrato perfetta per la resa sonora, anche se il volume era molto alto e le luci a volte fastidiose. La scenografia – ma ci ho impiegato un po’ a capirlo – era una corona stilizzata: la corona del re Cremisi, decisamente.

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