Povero vecchio. In preda a un delirio d’impotenza.
Povero vecchio. In preda a un delirio d’impotenza.
Sempre dai quotidiani:
Mirafiori, il sì al 54%.
E se la notizia fosse che il no è al 46%?
Già perché la FIOM ce l’avevano presentata come minoritaria e settaria: un manipolo di prepotenti che, senza legittimazione, pretendevano di rappresentare gli operai. E invece la maggioranza relativa dei dipendenti sta con la FIOM. E la maggioranza assoluta degli operai (fatevi qualche conto, direi che è palese).
Già, perché se si sommano i seggi dei partiti (e spezzoni di partito, ahimè) che si erano espressi per il sì, altro che 54%, siamo intorno all’80%.
La domanda è: dov’è il famoso Paese reale, a Mirafiori o a Montecitorio?
Leggo sui quotidiani online:
Ruby – Berlusconi: “Teorema giudiziario per eliminarmi”
E se B. provasse ad astenersi dal delinquere, o quantomeno da comportamenti penalmente rilevanti?
Ma non per sempre, giusto per fare una prova, diciamo per un mese? Giusto per vedere se continuano a perseguitarlo lo stesso? Così ci facciamo tutti un’idea?
Quando ho scoperto Bill Frisell, molti anni fa (esplorando Disfunzioni musicali) mi aveva fatto pensare irresistibilmente al Ray Bradbury delle Cronache marziane. La musica di Frisell, con le sue chitarre distorte, mi faceva pensare a un intero pianeta vagamente alieno, interamente coperto di praterie, dove il vento ululando piegava gli steli dell’erba. Una specie di smisurato Kansas, dove i coloni lottavano come pionieri contro una natura ostile.
Frisell – ormai quasi sessantenne – non ha mai smesso di esplorare mondi alieni, ma anche forme musicali, come testimoniano la sua discografia e le sue molte collaborazioni. Il concerto di ieri era essenzialmente un concerto di Vinicius Cantuária e delle sue canzoni. Eppure, era anche indiscutibilmente un concerto di Frisell: senza mai essere invadente, è riuscito a dare la sua impronta stilistica a ogni singolo brano. Uno di quei concerti in cui non guardi mai l’orologio e ti sembrano finire troppo presto.
Qui un brano dal concerto del 7 gennaio a Vienna, caldo caldo:
Zuliani, Alberto (2010). Statistiche come e perché. A cosa servono, come si usano. Roma: Donzelli. 2010.
Ho molto ritegno a recensire a questo libro, perché ho il privilegio di conoscere bene l’autore e la fortuna di avere partecipato alla gestazione dell’aureo libretto. Non ho pertanto i requisiti di “terzietà” che si convengono a un recensore.
Però spero di avere suscitato la vostra curiosità e ve ne consiglio incondizionatamente la lettura.
Vargas, Fred (1994). Prima di morire addio. Torino: Einaudi. 2010.
Einaudi continua (finalmente) a tradurre e pubblicare i vecchi romanzi di Fred Vargas (ho tentato una ricostruzione della bibliografia vargasiana qui, e potete cercare in questo blog altre mie recensioni).
Questo è (forse: non so se l’opera prima, del 1986, Les Jeux de l’amour et de la mort fosse un “giallo”) è il suo primo romanzo, pubblicato originariamente nel 1994, e non vi compaiono né gli evangelisti né Adamsberg (anche se si può facilmente sostenere che i 3 imperatori e Richard Valence ne sono i precursori). Insomma, gli ingredienti dei romanzi successivi ci sono più o meno tutti, ma il libro non è del tutto riuscito.
Per di più – ma questa è una considerazione semiseria, che mi è venuta in mente ma non condivido, come direbbe un personaggio di Altan. Insomma, per di più tutti i personaggi italiani del libro (che è ambientato in una Roma abbastanza fedele e credibile) sono antipatici e un po’ scemi, mentre tutti i francesi sono simpatici e fighi (e quando sembrano scemi, poi in realtà non lo sono). Insomma, questa Vargas è sciovinista (come tutti i francesi, direi, se non fossi refrattario alle generalizzazioni). E per di più è innocentista sul caso Cesare Battisti, e questa è un’opinione che in questi giorni apparentemente non si può permettere nessuno (Mentana è arrivato a proporre di mandare a casa tutti i brasiliani del calcio italiano: e dire che il pover’uomo è interista).
Fin da questo romanzo, l’autrice intesse il testo di piccole frasi memorabili. Una per tutte:
Il cinismo non viene da sé, ci vuole una certa abitudine. All’inizio stanca, è normale. [p. 116]