Pèrfido

Perfido è oggi, nell’uso comune, sostanzialmente sinonimo di malvagio: per dirla con il Vocabolario Treccani online, “che agisce con sottile e subdola malvagità, ingannando gli altri per causare loro male, danni, sofferenze: un perfido adulatore; è gente perfida e maligna; sei un perfido traditore; la perfida Albione.”

Per estensione, si dice anche: ha una natura perfida, un animo perfido; una lingua perfida, che parla male di tutti (anche riferito, per metonimia, alla persona: è una lingua perfida). Con riferimento a cosa: è stata un’azione veramente perfida; un perfido inganno; perfide lusinghe.

Nell’uso familiare, con iperbole scherzosa, viene a significare molto cattivo, di pessima qualità: oggi c’è un tempo perfido; queste sigarette sono proprio perfide. E ancora: nauseante, disgustoso, specialmente di cibi e di bevande: non posso mangiare questa minestra, è perfida; che vino perfido!

Ma il significato originario della parola non era questo. E ancora una volta l’etimologia ci aiuta. La parola viene dal latino perfĭdus, composto di fĭdes «fede, fedeltà, lealtà», preceduto dal prefisso per– che in genere agisce come rafforzativo, ma in questo caso denota una deviazione dal significato principale. Quindi perfido è chi rompe una promessa o la parola data, violando fede e fiducia: questa innamorata sarà leale, quest’altra perfida (in questa accezione usa il termine Giacomo Leopardi, che l’italiano lo sapeva). E questo è anche il significato primario, ancorché desueto, proposto da Vocabolario Treccani.

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Cazzimpèrio

Una parola nuova, almeno per me, che romano non sono.

Secondo il Vocabolario Treccani online è un “cibo composto di cacio grattato con burro, uova sbattute, latte o brodo”, si dovrebbe scrivere cacimpèrio o cacimpèro e, quanto all’etimologia, sarebbe un composto di cacio e di un secondo elemento ignoto. Poi, bontà sua, aggiunge che in alcune regioni centrali e meridionali è sinonimo di pinzimonio.

Ma se mi baso sulla ben più autorevole competenza gastronomica di Marco Guarnaschelli Gotti, sulla sua fondamentale Grande enciclopedia illustrata della gastronomia (io ho la vecchia e bellissima edizione del 1990), trovo la grafia cazzimpèrio e il rinvio a pinzimonio. L’altro significato di cacimperio Guarnaschelli Gotti l’attesta alla voce fonduta, ricordando che così la chiamava (peraltro disprezzandola, nel confronto con la fondue d’oltralpe) l’Artusi.

Quanto all’etimologia, resto dell’opinione che il cacio, almeno per quanto riguarda il pinzimonio, non c’entri nulla, e nemmeno il cazzo (nonostante la suggestiva proposta di Piero Camporesi che, commentano Artusi, ricorda che pinzimonio in romagnolo si dice cazzimpevar e rinvia agli effetti afrodisiaci dell’emulsione d’olio sale e pepe). Penso piuttosto alla radice kas- che riconosciamo nella casseruola.

Certo, il riferimento sessuale resta sullo sfondo (ma quante parole italiane non sono usate o usabili nei doppisensi?). Tre poesie in romanesco citano il cazzimpèrio:

  1. Un sonetto di Giuseppe Giacchino Belli, La vita de le donne (datato 10 febbraio 1832), troppo osceno per riportarlo qui (se siete curiosi potete trovarlo in Tutti i sonetti romaneschi pubblicati da Liber Liber al numero 408).
  2. Un secondo sonetto dello stesso autore, di poco anteriore e un po’ meno osceno, tanto che mi azzardo a riportarlo (si astengano le mammolette e gli stomaci delicati):

    294. La bbotta de fianco

    E cchi vv’ha ddetto mai, sora piccosa,
    che in ne la zucca nun ciavete sale?
    Io nun ho detto mai sta simir-cosa,
    ché discennola a vvoi, direbbe male.

    Anzi, le bburle a pparte, sora Rosa:
    pô esse tistimonio er zor Pascuale
    si jjerzera vôtanno l’orinale
    nun disse che vvoi sete appititosa.

    E cciaggiontai, guardate si cce cojjo,
    c’ortr’ar zale c’avete in ner griterio
    tienete er pepe drento a cquell’imbrojjo.

    Scappò allora ridenno er sor Zaverio:
    «Co ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo
    poderissimo facce er cazzimperio».

    10 novembre 1831

  3. Una poesia di Trilussa, in cui si immagina che già ai tempi di Nerone esistesse un’ostaria del Cazzimperio:E, lì, se tinse er grugno de carbone,
    se messe una giaccaccia e serio serio
    agnede all’osteria der Cazzimperio
    framezzo a li gregari de Nerone.
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L’orda d’oro 1968-1977

Balestrini, Nanni e Primo Moroni (1997). L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale. Milano: Feltrinelli. 2008.

Un libro facilissimo o difficilissimo da recensire.

Recensione facile: un’ampia e documentata storia, partigiana al punto giusto, di un decennio essenziale per capire l’Italia, anche quella melmosa di adesso.

Recensione difficile: il libro è interessante, plurale nelle voci e nei punti di vista che si susseguono, ma drammaticamente discontinuo. Non è costruito in modo lineare, come un libro di storia tradizionale, ma ovviamente da Balestrini non mi aspettavo questo. Però le voci che si susseguono sono troppo disomogenee: trovare mescolati (e senza nessuna indicazione che ci permetta di distinguere le fonti e gli autori, salvo che in pochissimi casi) testi di volantini, documenti e analisi dell’epoca, analisi più o meno di parte fatte 10 o 20 anni dopo rende la lettura molto difficile e faticosa al limite del fastidio. Mi sono chiesto più volte, leggendo: ma se qui non mi ci raccapezzo io, che pure li ho vissuti quegli anni (una parte consistente, quanto meno, e dal punto d’osservazione privilegiato di Milano), che cosa può capire un ragazzo contemporaneo, che vi si avvicini per capire che cosa sono poi stati quei mitici Sessantotto e Settantasette e gli anni in mezzo (non meno importanti!) o per farci una ricerca o una tesi di laurea? E forse sarebbe stato meglio, a questo punto, un’antologia dichiarata di testi e materiali in una prima parte del volume, e una serie di saggi di commento nella seconda. Tra questi ultimi brillano tra tutti, per la loro qualità, i contributi di Sandro Mancini (che dà un contributo importante all’analisi della nascita e della specificità operaista del Sessantotto italiano) e di Paolo Virno (all’estremo opposto, sulla sconfitta e la fine del movimento).

Miasma

Secondo il Vocabolario Treccani online:

Esalazione malsana, particolarmente quelle che emanano da sostanze organiche in decomposizione (cadaveri, acque stagnanti), e che in passato erano credute causa di malattie (come la malaria), di infezioni e contagi; i miasmi della palude; miasmi pestilenziali. Oggi la parola è usata con senso più ampio, per indicare qualsiasi fetore che vizia l’aria: dalla vicina distilleria provenivano miasmi irrespirabili; fetidi, mefitici miasmi; fuori c’è la nebbia, umida, fredda, carica di nafta e di miasmi (Buzzati).

Viene pari pari dal greco antico μίασμα -ατος «lordura», der. di μἳίνω «lordare, contaminare».

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Proverbi pessimisti [10]

L’ottimo è nemico del buono.

Ma allora, anche:

Il buono è nemico del discreto.

Ed è sùbito peggio.