Silvio Bonaventura

Il corsivo di Alessandro Robecchi su il manifesto di oggi, 30 agosto 2009.

VOI SIETE QUI

Silvio Bonaventura

Alessandro Robecchi

Quanto girano i coglioni
a don Silvio Berlusconi
irritato dai giornali
chiama tutti i suoi sodali

Feltri, Minzo, Bonaiuti
Giulianone tra i più arguti,
hanno tutti un cervellone!
(Tutti, tranne Capezzone)

«Feltri, tu che sei gaglioffo
dài, sistemami quel Boffo!
Giulianone ti offro un pranzo
se sputtani quel D’Avanzo!»

«Normalmente la giustizia
mi procura l’itterizia,
ma stavolta – niente male –
mi rivolgo al Tribunale»

Dritto, magro, allampanato
ecco arriva l’avvocato.
Il suo nome ognun lo sa:
Eia Eia Mavalà

Dice: «Posso esser d’aiuto?»,
quello scheletro occhialuto.
«Attacchiamo i magistrati?
Parrucconi! Minorati!»

Ma lo ferma il presidente:
«Questa volta è differente.
Mi hanno messo sotto scacco?
E io passo al contrattacco»

Ore e ore di riunione
a cercar la soluzione:
tutti i modi e le maniere
per salvare il puttaniere

«Dopotutto che ho commesso?
Qualche cena e un po’ di sesso!
Tanto i conti dei festini
li pagava Tarantini!»

«Ho mentito alla nazione?
perché tanta indignazione?
Ho intrapreso quel cammino
già dai tempi di Bettino!»

Lì, davanti ai suoi amici
pensa ai tempi suoi felici,
mentre ora – paradosso! –
stanno tutti a dargli addosso

Quante storie per Noemi!
Ma ci prendono per scemi?
Se nessuno ha fatto strali,
per le leggi personali!

La Gasparri, il Lodo Alfano
Tutti colpi da caimano!
E il Pd, per tradizione,
non ha fatto opposizione.

Poveretto, è proprio affranto,
nella voce mostra il pianto.
Non sconfitto dalle lotte:
ma da tre o quattro mignotte

Com’è triste quel marpione!
Quanta commiserazione.
Lo interrompe Mavalà:
presidente, senta qua!

Gran trovata da avvocato,
senta cosa ho elaborato
Frugano nelle mutande?
Quereliamo le domande!

Che incredibile trovata,
presto!, la carta bollata!
La Repubblica vedrà
un milione ci darà

Mentre scrivon la querela
un sorriso già trapela,
ma a metà di una frasetta
fa irruzione Gianni Letta:

«Disgraziato, deficiente!
Se lo prendo, quel fetente!»
Preoccupato Silvio fa:
«Calma, Letta, ma cos’ha!»

«Molti giorni ho lavorato
per avere il risultato.
Una piena assoluzione
per il tuo testosterone»

«Ma quel Feltri maledetto,
quello è un pessimo soggetto!
Oggi ha reso tutti vani
i miei sforzi vaticani!»

«Volgarmente, quale ardire
Ha attaccato l’Avvenire
L’indulgenza, vuoi vedere,
te la infili nel sedere!»

Silvio è triste e disperato
Pensa al grande elettorato:
il cattolico castiga
soprattutto per la figa!

Deficienti, ne ho abbastanza!
Guarda intorno nella stanza.
Ma tra grida, insulti e lutti
Se ne sono andati tutti

Resta solo, si deprime,
è la fine del regime.
Resta questa filastrocca
e la passione per la gnocca

Poi c’è pure una morale
pei lettori del giornale:
che soddisfazione magra,
Dongo è colpa del viagra.


Le 10 domande

A questo punto, vorrei che fosse chiaro che anch’io – per quello che conta (ma in democrazia conta, eccome) – mi pongo e pongo le stesso domande di Giuseppe D’Avanzo. Rivendico il diritto di porle, per gli organi di informazione e per i singoli cittadini. E rivendico anche il diritto di avere risposte.

E ne aggiungo 2 mie, piccole piccole: perché i dirigenti pubblici “fannulloni” sono obbligati per legge a pubblicare il proprio curriculum, i propri incarichi e la propria retribuzione e il signor Berlusconi querela chi gli pone domande inerenti il suo incarico politico e pubblico? L’essenza della democrazia liberale non consiste nel principio che anche il principe è soggetto alla legge?

(Per i legali di Berlusconi: Sì, queste ultime 2 sono domande retoriche)

Umorismo sudafricano

– What is a fly when you take out its wings?

– … ?!? …

– A walk! And when you take out its legs?

– … ?!? …

– A roll!

Giuro che me l’hanno raccontata davvero, e non un bambino delle elementari (quello che fa “… ?!? …” sono proprio io).

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Immigrazione clandestina: desecrato il dio Po

La Gazzetta di Mantova è un tesoro di notizie curiose. Sono giunto a sospettare che lo facciano per divertire me, nei pochi giorni che passo in agosto in queste terre.

Questa è comparsa nell’edizione di ieri, 24 agosto 2009:

Po sempre più esotico: catturato un pesce Piranha

la Gazzetta di Mantova — 24 agosto 2009   pagina 12   sezione: PROVINCIA

VIADANA. I pesci piranha nel fiume Po? Quella che fino a poco tempo fa poteva sembrare una leggenda che, col passare del tempo, ha acquisito credibilità dopo diversi avvistamenti, pare trovare la sua clamorosa conferma proprio nelle acque del nostro territorio. Nel Grande fiume, nell’area compresa fra Torricella di Sissa nel Parmense e Torricella del Pizzo nel Cremonese, proprio in questi giorni ne sarebbe stato pescato uno di grosse dimensioni.  A prenderlo è stato Mauro Bonazzi, un espertissimo pescatore di Guastalla nel Reggiano, che, del Po, conosce ogni angolo e maneggia con straordinaria esperienza la canna da pesca.  Proprio pochi giorni fa Bonazzi ha scelto le acque del Po fra il Parmense ed il Cremonese con l’intento di trascorrere una normalissima giornata dedicata alla sua grande passione per la pesca. Pensava di prendere qualche cefalo, qualche carpa o, perché no, anche qualche siluro.  Ed invece ha tirato a riva un pesce mai visto prima nelle acque del fiume.  Il suo occhio di pescatore abilissimo ed esperto lo ha portato a sospettare immediatamente di un possibile pesce piranha.  Fra l’altro alcuni esemplari di questa varietà ittica esotica, e tutt’altro che mediterranea, sarebbero stati avvistati, di recente, nelle acque del Po reggiane.  Bonazzi, vista anche la vicinanza, si è recato a Motta Baluffi (Cremona), all’Acquario del Po per chiedere la consulenza del direttore della struttura rivierasca Vitaliano Daolio.  Esperta guida di pesca professionale, Daolio, dopo un accurato esame, non ha praticamente avuto alcun’esitazione nel battezzare il pesce.  Quello in questione, con estrema probabilità, è un piranha della varietà Piranha Pygocentrus Nattereri, conosciuto comunemente come Piranha rosso, con gli esemplari adulti che raggiungono anche dimensioni di 30 centimetri.  Si tratta di un pesce d’acqua dolce appartenente alla famiglia Characidae, ben diffuso in Sudamerica, nei bacini del Rio delle Amazzoni, dei fiumi Paraguay e Paran bacino fluviale e del fiume Essequibo. È inoltre particolarmente diffuso anche nella zona paludosa del Pantanal, in Mato Grosso Mato Grosso, appunto, e Paranà: ma qui siamo sul Po, nel cuore della Valle Padana.  Da ricordare, infine, che un esemplare di notevoli dimensioni venne catturato qualche anno fa anche nel Canalbianco, nella zona fra Veronese e Rodigino a nord d’Ostiglia.

Al di là del tono sconsideratamente “leggero” dell’articolo, mi sembra che gli elementi di preoccupazione siano molti. Evidentemente, il piranha in questione è un clandestino, immigrato irregolarmente nel nostro Paese. E poiché si tratta di un pesce d’acqua dolce, non può avere attraversato il mare senza l’rresponsabile complicità di qualcuno. E la sfrontatezza, la sfrontatezza di nuotare nelle acque sacre del dio Po. Con il rischio, addirittura, che il Senatùr sorseggi un ampolla di deiezioni della belva amazzonica!

A meno che …

Leggo su Wikipedia: “Nel fiume Maroni, in Suriname, esiste una grossa specie di piranha pesante fino a 5 Kg e apparentemente erbivora; i suoi membri inoltre ospitano colonie di vermi nel loro stomaco.”

Una faida interna alla Lega?

Ode all’ultimo gabinetto – un aggiornamento

Dopo l’uscita del lirico articolo di cui vi ho dato conto ieri, la solerte amministrazione comunale di Mantova ha immediatamente provveduto a chiudere l’impianto per motivi igienici.

Ode all’ultimo gabinetto

Comparso su La Gazzetta di Mantova (quotidiano fondato nel 1664: pas des cacahuettes, come dicono Oltralpe) di ieri, 23 agosto 2009.

È un articolo bellissimo, imperdibile, che dimostra che soltanto in provincia si può fare letteratura anche sui quotidiani (c’erano anche bellissime foto, che però non ho trovato online). E se non fossi un po’ pigro fonderei su Facebook le Stefano Scansani Fan Club.

Ode all’ultimo gabinetto

la Gazzetta di Mantova — 23 agosto 2009   pagina 26 sezione: CULTURA E SPETTACOLI

di Stefano Scansani

Vespasiano. Il primo gabinetto pubblico certificato e soggetto a tassazione risale al I secolo dopo Cristo. L’imperatore Tito Flavio Vespasiano secondo Svetonio gli diede il nome. Ce n’erano anche prima, e chissà quanti, ma non erano sottoposti all’erario. L’ultimo gabinetto pubblico di Mantova ha l’età delle osterie ottocentesche, è stato ristrutturato negli anni Settanta del secolo passato, e l’amministrazione municipale proprietaria giura che ha deciso di rimetterlo in ordine. Azione urgente e sacrosanta se si pensa che i maggiori utenti sono i turisti e gli avventori non indigeni. Un tipo di utilizzatori sensibili come radar, frettolosi ma che vedono, sentono, annusano, lamentano e una volta a casa raccontano. Il microcosmo di porcellana e sciacquoni degli orinatoi determina la qualità dell’accoglienza di una città: lustri, profumati, comodi, luminosi… Il cesso è spesso specchio della realtà. Anche il “bisogno” – che ha connotati e inneschi fortemente psicologici – pretende coccole e bolle di sapone. I gabinetti pubblici di via Goito, in pieno centro – serrati nello stabile d’una bellezza decadente sullo slargo della strada – non vanno annoverati tra i luoghi esemplari. Non possono appartenere al modello di toilette moderna, e quindi non stiamo a scrivere che il Comune doveva intervenire prima. Che deve intervenire subito. Che con questo apparato di cessi è come se la città Unesco si mostrasse nuda, sfatta e inattesa. Scandalo.  Siamo piuttosto convinti che gli ultimi gabinetti pubblici di Mantova vadano documentati per la loro travolgente unicità. Cercate una porzione di cortile napoletano atterrato a cento metri dal Palazzo della Ragione? Inseguite l’intruglio fantasmagorico dei santini, dei lumini, dei sommi pontefici e dei calendari di Frate Indovino? Volete sperimentare emozioni sensoriali forti che la memoria fionda verso la medina di Marrakech o il bazar di Istanbul? Fate pipì in via Goito.  Il fatto costituzionale che questi servizi sono “pubblici” non certifica solamente la loro appartenenza al patrimonio del Comune. Essi sono innanzi tutto una questione sociale. «Gli ambulanti del mercato del giovedì mattina vengono qui per capire se c’è movimento. Se faranno affari. Se vedono ressa dicono “alóra andéma bén!”». La signora Roberta Altomani è molto orgogliosa del suo lavoro. Concessionaria dei gabinetti di via Goito. Sessantatré anni, dal 1977 custode del servizio e ancor prima di quello di piazza Teofilo Folengo, in fianco al teatro Sociale, di cui era responsabile il padre Pietro, ex vigile urbano sotto il sindaco Giuseppe Rea. Una professione tramandata e parecchio rispettata. La signora Roberta chiama “clienti” gli utenti con un’intonazione da esercente che ha a cuore la fedeltà di chi arriva e ritorna. Ci indica i cartelli che ha appiccicato sulla porta a vetri. Uno piccolo e un altro più grande, con la stessa scritta, “Toilette” e “Toilette”. Due volte? Spiega che il primo non si vedeva e ha deciso di aggiungere il secondo più evidente. Due figurine stilisticamente avverse, da una parte e dell’altra: donne e uomini. Una volta c’era un’insegna in maiolica che qualche collezionista s’è portato via. La signora parla, muove la mano, restiamo colpiti dal braccialetto doppio punteggiato da immagini di Padre Pio, Sacri Cuori, Madonne Immacolate. Lei s’accorge della nostra attenzione: «Loro mi vogliono bene, mi mantengono in salute. E io ricambio». Stesso braccialetto porta la mamma, la signora Filomena Bellè, che compirà novant’anni l’11 settembre ed è costretta su una sedia a rotelle.  Insieme popolano la piazzetta che con il volto-sottopasso è un cannocchiale aperto sulla Rotonda di San Lorenzo e le colonne del portico della Ragione, che da qui sembrano birilli bianchi e rosa. Stranissima piazzetta, senza nome, altro mondo spanciato e introverso rispetto alla Mantova più o meno antica che si sperde nei vicoli della seconda cerchia. Che cos’è, un campiello veneziano, un basso napoletano, un luogo dell’anima mantovano (caro a Guido Piovene)? Ma come si chiama questa piazzetta? «È sempre via Goito», proclama la signora Roberta mentre porta in qua la sua sedia e la mamma. È strano che il Comune non abbia immaginato per questo ritaglio di città un nome proprio e azzeccato. Tipo William Shakesperare, che con la vista dei palazzi comunali in fondo al tunnel sarebbe all right. Ma ci sono i gabinetti e il posto è tabù. Eppure la concessionaria non teme di coronare il suo lavoro ammettendo che lì sono corsi anche «di siorón», dei gran signori definiti più coloristicamente anche «cagnón gròss». La signora Roberta ricorda il vertice della Confindustria alla Ragione, e poi le apparizioni in loco di Giovanni Nuvoletti e Chiara Agnelli. Andò così: «Io sono il conte Giovanni Nuvoletti Perdomini, pago anche per la mia signora Chiara Agnelli». Replica: «Va bén. E io sono Altomani Roberta». Lei conclude che i «siorón» sono più affabili dei poveretti.  Incidenti o piccoli drammi nei camerini? La concessionaria sorride, cerca nella memoria. Fa trapelare un solo episodio con piega comica. Nel 1977 un “cliente” restò chiuso in un gabinetto. Intervennero i pompieri. E furono cambiate le serrature.  Il cartello applicato all’ingresso non dichiara le fasce di apertura dei servizi. Ma quelle di chiusura. Cosa stranissima. Induce chi ha urgenze a fare i conti su quando potrà tornare (se ce la farà): martedì, mercoledì, venerdì 12-14.30 – giovedì, sabato, domenica 12.30-14.30, turno di riposo lunedì.  Chiediamo di entrare. Piastrellatura blasé, struttura inaspettata. C’è una sorta di atrio con gli orinatoi maschili di qua e di là. Sul fondo un esagono con le porte che nascondono le turche. Acqua che scorre, sentori tipici. L’anomalia che disorienta è però la sarabanda di cose aggrappate alle pareti, stipate sulle mensole. Dal vischio natalizio ai poster della Juve e del Mantova, dai ferri di cavallo ai lumini con la faccia di papa Giovanni. Di là il santino di papa Ratzinger e quello di Madre Teresa di Calcutta, carte da briscola, pupazzi di cera, fiori di plastica, Madonne intercedenti, pupazzi di paglia sorridenti, Frate Indovino. «Quando vengono i preti o le suore non fanno altro che lodarmi», dice la signora Roberta.  Ma qual è l’invenzione che oggi mette a rischio e pericolo la sua attività? Quale nuova diavoleria? «I wc autopulenti, quelli a gettone. I miei clienti mi hanno giurato che non ci andranno mai. E anch’io non ci sono mai andata». Guai cedere alla concorrenza.

Bernanke vede la ripresa

Ma mi sa che si era perso il primo tempo

L’elefante mancino

Conoscete elefanti mancini?

Mi hanno raccontato – ma non so se è vero o soltanto ben inventato – che anche molti mammiferi, come noi umani, hanno un emisfero cerebrale dominante e quindi possono essere mancini.

Saperli riconoscere può essere utile. Ad esempio, se un elefante africano carica e uccide un turista, la polizia potrebbe chiederti indizi per incriminare l’elefante assassino.

Come si fa? basta osservare la lunghezza delle zanne. La più corta è quella che l’elefante usa di più. Di solito è la destra, ma se è quella sinistra, l’elefante è mancino.

Impala

L’impala (Aepyceros melampus) è un Mammifero della famiglia dei Bovidi, diffuso nelle savane dell’Africa orientale e centro-meridionale. [Wikipedia]

Quello qui sotto è un maschio adulto (femmine e cuccioli non hanno le corna).

L’antilope preferita di Vlad III voivoda di Valacchia (1431 – 1476), noto anche come Vlad Ţepeş. Ovviamente da farsi allo spiedo.

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Harry Potter e il principe mezzosangue

Harry Potter e il principe mezzosangue (Harry Potter and the Half-Blood Prince), 2009, di David Yates, con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Helena Bonham-Carter, Alan Rickman e Maggie Smith (lo ammetto, ho messo solo i miei preferiti).

Tra i temi principali di questa sesta puntata del ciclo di Harry Potter (purtroppo ormai il film ha 4 anni di ritardo sull’uscita e la lettura del romanzo, così noi lettori compulsivi e attempati nel frattempo ci siamo dimenticati un bel po’ di cose, complice anche una certa serialità degli episodi) c’è il vomito. Ed è su questo aspetto che mi concentrerò: siete avvertiti e dunque i più schizzinosi si astengano dal proseguire.

Cominciamo quando, insieme ad Albus Dumbledore, Harry si materializza la prima volta (tutte le citazioni che seguono sono tratte da IMDb):

Albus Dumbledore: Take my arm.
[apparates]
Albus Dumbledore: That was fun. Most people vomit their first time.

Notate che nel libro non si parla di vomito, ma Harry si limita a osservare che preferisce le scope come mezzo di trasporto (p. 60 dell’edizione originale inglese).

Più tardi, all’esclusiva cena pre-natalizia di Slughorn, per liberarsi di Cormac McLaggen, che ha invitato per far ingelosire Ron, Hermione gli propina un salatino al sangue di drago (o qualcosa del genere) e il malcapitato Cormac vomita sulle scarpe di Severus Snape, beccandosi un mese di punizione:

[after Cormac threw up on Snape’s shoes]
Severus Snape: That’s a month of detention.

Nel libro, Hermione si limita a svignarsela (p. 298: She moved so fast it was as though she had Disapparated; one moment she was there, the next she had squeezed between two guffawing witches and vanished).

La terza volta è dopo che Hermione scopre Ron appartato con Lavender:

Hermione Granger: [after she sees Ron and Lavender making out] Excuse me, I have to go vomit.

Anche questa scena, se non mi sbaglio, è diversa nel libro (p. 280: I’m sick of Ron at the moment).

Insomma, mi sembra non ci sia dubbio che il regista David Yates e lo sceneggiatore Steve Kloves insistano sulla corda del disgusto come espressione della disapprovazione morale. Tesi in cui non sono isolati, dal momento che è cara anche a Marc D. Hauser (The Moral Mind – che recensirò tra qualche settimana):

If empathy is the emotion most likely to cause us to approach others, disgust is the emotion most likely to cause us to flee. Unlike all other emotions, disgust is associated with exquisitely vivid triggers, perceptual devices for detection, and facial contortions. It is also the most powerful emotion against sin, especially in the domains of food and sex.
[…]
Humans with no pathology experience disgust in response to food, sexual behaviors, body deformities, contact with death and disease, and body products such as feces, vomit, and urine […]. Although there are cross-cultural and age differences in the conditions eliciting disgust, the facial expression – typically a wrinkling of the nose, gaping of the mouth and retraction of the upper lip – is highly recognizable and unique to our species. Together, these observations indicate that disgust emerges from a biological substrate that may be both unique to our species and unique among the emotions we experience.
Darwin defined disgust as “something revolting, primarily in relation to the sense of taste, as actually perceived or vividly imagined; and secondarily to anything which causes a similar feeling, through the sense of smell, touch and even eyesight.” Over a hundred years later, the psychologist Paul Rozin refined Darwin’s intuition, suggesting that there are different kind of disgust, with core disgust focused on oral ingestion and contamination: “Revulsion at the prospect of [oral] incorporation of an offensive object. The offensive objects are contaminants; that is, if they only briefly contact an acceptable food, they tend to render the food unacceptable.” What makes Rozin’s view especially interesting is that many of the things that elicit disgust are not only stomach-churning but morally repugnant. Thus, once we leave core disgust, we enter into a conception of the emotion that is symbolic, attaching itself to objects, people, or behaviors that are immoral. People who consume certain things or violate particolar social norms are, in some sense, disgusting. [pp. 213-214]

Quello che è curioso è che partecipi di questa associazione al disgusto l’amore romantico, quanto meno nel film. C’è una scena, veramente buffa, in cui Ron Weasley subisce gli effetti di una pozione d’amore, l’Amorttentia. Ci era stato spiegato, a lezione, che “Amortentia doesn’t really create love, of course. It is impossible to manufacture or imitate love. No, this will simply cause a powerful infatuation or obsession. […] When you have seen as much of life as I have, you will not underestimate the power of obsessive love …” (p. 177). E infatti, dapprima l’amore di Ron si riversa su Romilda Vane (che aveva confezionato la pozione), ma ben presto diventa ecumenico, non fa più distinzione di sesso e si rivolge persino agli oggetti inanimati.

In questo modo, J.K. Rowling prende le distanze dall’amore romantico. Anzi, suggerisce il rigetto dell’amore romantico, che per lei non è amore genuino ma infatuazione e ossessione. Nella tradizione romantica, invece, anche l’amore che scatta dalla scintilla di una pozione può essere amore reale, anzi l’unico vero amore, e la pozione è uno strumento del destino. Ne portano testimonianza i più grandi e disperati amanti della storia della musica, Tristano e Isotta (ne ho parlato molte volte, qui, qui, qui e anche qui).

Sui personaggi della saga di Harry Potter si abbatte invece il Liebesverbot di J.K. Rowling. E qui mi butto in un’interpretazione un po’ spericolata.

Harry e Hermione, in particolare, non si possono amare anche se sembrano fatti, a prima vista, l’uno per l’altra. E sembrano fatti l’uno per l’altra perché sono molto simili, quasi eguali: maghi dotati, i migliori del loro corso, entrambi predestinati. Eguali quintessenzialmente, al di là delle differenze superficiali. E proprio per questo non possono amarsi, per il tabù che vieta i rapporti tra consanguinei.

Vi faccio notare che l’identità di Harry e Hermione è rivelata dall’assonanza del loro stesso nome: sono la parte maschile e femminile di una stessa identica persona, come nel mito platonico del Convivio.

Certo, potreste obiettare, è tutto molto più banale: J.K. Rowling ha un problema narratologico. Alla fine della saga deve fare sposare tra loro i personaggi principali, e l’unica soluzione ammissibile è che Harry sposi Ginny e che Hermione sposi Ron. Ogni altra possibile combinazione è inammissibile. Va esclusa la doppia coppia omosessuale (Harry-Ron e Hermione-Ginny): è pur sempre narrativa (anche) per ragazzi. La coppia Ron-Ginny sarebbe incestuosa: questo, anzi, è un altro indizio che anche la coppia Harry-Hermione, che vi si rispecchia, sarebbe “incestuosa”. Di qui il continuo ritornare, nel film, delle tematiche del vomito e del disgusto.  Se è ripugnante l’accoppiamento tra fratello e sorella, è mostruoso quello tra eguali di sesso opposto.

J.K. Rowling si allontana dunque, e molto, dalla tradizione platonica (o quanto meno dalla sua vulgata “romantica”, perché ho seri dubbi che Platone volesse veramente proporre una teoria dell’amore così bislacca, che fa dire da un comico!). L’amore nasce dalla diversità, dal riconoscimento della diversità. Cercarlo nell’identità e nell’assimilazione è una perversione, ed è perciò ripugnante. L’orrore. Come accade per le storie di vampiri, di cui ho già parlato soprattutto qui, ma anche qui e qui.