Sostanzialmente, un anno con un giorno in più; quindi, di 366 giorni invece di 365.
Il problema che l’anno bisestile cerca di risolvere è questo: il nostro “anno civile” (cioè, quello su cui basiamo il modo in cui contiamo i giorni sul calendario) è sostanzialmente un anno solare o tropico, cioè basato sull’intervallo di tempo che il sole, nel suo moto apparente intorno alla terra, impiega a tornare nello stesso punto dell’eclittica. Per semplificarci la vita, possiamo dire il tempo che intercorre tra equinozio ed equinozio. Anzi, spieghiamolo così: avrete notato, guardando da un posto fisso a casa vostra e prendendo un punto di riferimento, che il sole non tramonta sempre nella stessa posizione (ho scelto il tramonto per non costringervi a levatacce). Sicuro, il sole tramonta sempre a ovest, ma d’estate tramonta più a nord-ovest e d’inverno più a sud-ovest. Per l’esattezza, a partire dal solstizio d’inverno (che è il giorno in cui tramonta apparentemente più a sud-ovest – intorno al 21 dicembre e in cui il giorno è più breve e la notte più lunga) il punto del tramonto si sposta ogni giorno un po’ più a nord-ovest, dapprima lentamente (ogni giorno un entecchia) e poi sempre più veloce, fino a raggiungere il massimo della velocità di spostamento all’equinozio (contestualmente, le giornate si allungano, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente: di sicuro l’avete notato in questi giorni). Dopo l’equinozio (intorno al 21 marzo – è il giorno in cui notte e giorno durano entrambi 12 ore, e questo è il significato della parola equi-nozio, la notte dura come il giorno), il punto del tramonto continua a spostarsi a nord-ovest, ma sempre più lentamente, fino a raggiungere il massimo al solstizio d’estate (intorno al 21 giugno). Sempre più lentamente, tanto che il sole sembra fermarsi (quanto a punto del tramonto – il sole sembra “restare” sul posto del tramonto: sol-stizio, cioè stasi del sole). Dopodiché, il ciclo si ripete al contrario: il punto del tramonto ricomincia a spostarsi verso sud-ovest, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente (fino all’equinozio autunnale – intorno al 21 settembre), e poi di nuovo rallentando fino al 21 dicembre. Allora: un ciclo intero, da solstizio a solstizio, è un anno tropico.
Un anno tropico medio dura 365,2422 giorni (cioè 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi). Ma il nostro calendario civile non può tenere conto delle frazioni di giorno. Occorre trovare un modo per tenere conto di quelle 5 ore e 48 minuti. Se non lo facessimo, accumuleremmo circa un giorno di ritardo ogni 4 anni, 25 giorni di ritardo ogni secolo (quasi un mese). Un casino per le stagioni!
Un momento, un giorno ogni 4 anni, hai detto? Allora è semplice, basta aggiungere un giorno ogni 4 anni,! Questa fu la soluzione proposta da Sosigene di Alessandria (non quella mandrogna di Baudolino e Umberto Eco, quella d’Egitto), che nel 46 BCE era stato incaricato da Giulio Cesare di riformare il calendario. In questo modo, introducendo un anno bisestile ogni 4, l’anno civile diventa in media lungo 365,25 giorni, con una differenza di 11’14” rispetto all’anno tropico.
I Romani aggiungevano il giorno in più dopo il 24 febbraio, che essi chiamavano sexto die ante Kalendas Martias (sesto giorno prima delle Calende di marzo); il giorno aggiuntivo si chiamava bis sexto die (sesto giorno ripetuto) da cui l’aggettivo “bisestile”.
Dato che in 1600 anni l’errore di 11 minuti era stato sufficiente a spostare le stagioni di una quindicina di giorni, e soprattutto il giorno della pasqua (la prima domenica dopo il plenilunio di primavera), la riforma gregoriana del calendario (1582) cambiò la regola stabilendo che non fossero bisestili gli anni secolari (cioè quelli che finiscono per -00), se non quelli divisibili per 400 (quindi il 1900 non è stato bisestile, ma il 2000 sì).
Fine del tour de force. Ma perché «anno bisesto, anno funesto»?
Ho una teoria. In realtà, un problema molto più complesso di quello visto finora è quello della conciliazione tra anno solare e anno lunare. L’anno lunare è la somma di dodici mesi lunari o sinodici, cioè l’intervallo di tempo tra due lune piene. Poiché il mese sinodico medio dura 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi, l’anno lunare è di 354 giorni, 9 ore e 48 minuti.
Gli antichi si accorsero presto della coincidenza: dopo 12 lune il ciclo delle stagioni (che dipende dall’anno solare) si ripete. C’è dunque un’armonia, pensarono, tra sole e luna. Ma, ahimè, l’armonia non è perfetta. Come fare? Diverse culture proposero diverse soluzioni, da quella di lasciar perdere l’anno solare e concentrasi su quello lunare (come fanno gli islamici), all’introduzione di correttivi (come nell’anno ebraico, in quello celtico e in quello cinese), alla nostra soluzione che conserva i 12 mesi ma li svincola dalle lunazioni. Una soluzione particolarmente interessante è quella di aggiungere alla fine dell’anno, al di fuori dei 12 mesi lunari, quegli 11 giorni che servono a completare l’anno solare.
Sono giorni speciali, perché sono al di fuori dell’armonia tra sole e luna, tra principio maschile e principio femminile. Sono i 12 giorni di natale, in cui possono nascere creature straordinarie, non necessariamente benigne.
Anche il 29 febbraio è un giorno speciale, al di fuori del ciclo ordinario. Frutto di un artificio, e dunque contro natura. Per estensione o per contagio, è speciale tutto l’anno: «anno bisesto, anno funesto».