Le 95 tesi di Martin Lutero

Secondo tradizione, furono affisse (posted!) sulla porta della Chiesa di Wittenberg, il 31 ottobre 1517.

Tutti ne parlano, ma quasi nessuno le ha lette (neppure io, fino a oggi). Eccole qua:

  1. Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo dicendo: “Fate penitenza ecc.” volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
  2. Questa parola non può intendersi nel senso di penitenza sacramentale (cioè confessione e soddisfazione, che si celebra per il ministero dei sacerdoti).
  3. Non intende però solo la penitenza interiore, anzi quella interiore è nulla se non produce esteriormente varie mortificazioni della carne.
  4. Rimane cioè l’espiazione sin che rimane l’odio di sé (che è la vera penitenza interiore), cioè sino all’ingresso nel regno dei cieli.
  5. Il papa non vuole né può rimettere alcuna pena fuorché quelle che ha imposte per volontà propria o dei canoni.
  6. Il papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa rimarrebbe certamente.
  7. Sicuramente Dio non rimette la colpa a nessuno, senza sottometterlo contemporaneamente al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.
  8. I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla si deve imporre in base ad essi ai moribondi.
  9. Lo Spirito Santo dunque, nel papa, ci benefica eccettuando sempre nei suoi decreti i casi di morte e di necessità.
  10. Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti, i quali riservano penitenze canoniche per il purgatorio ai moribondi.
  11. Tali zizzanie del mutare una pena canonica in una pena del Purgatorio certo appaiono seminate mentre i vescovi dormivano.
  12. Una volta le pene canoniche erano imposte non dopo, ma prima dell’assoluzione, come prova della vera contrizione.
  13. I morituri soddisfano ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.
  14. La integrità o carità perfetta del morente, porta necessariamente con sé un gran timore, tanto maggiore quanto essa è minore.
  15. Questo timore e orrore basta da solo, per tacere d’altro, a costituire la pena del purgatorio, poiché è prossimo all’orrore della disperazione.
  16. L’inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
  17. Sembra necessario che nelle anime del purgatorio di tanto diminuisca l’orrore di quanto aumenti la carità.
  18. Né appare approvato sulla base della ragione e delle scritture, che queste anime siano fuori della capacità di meritare o dell’accrescimento della carità.
  19. Né appare provato che esse siano certe e sicure della loro beatitudine, almeno tutte, sebbene noi ne siamo certissimi.
  20. Dunque il papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente di tutte, ma solo di quelle imposte da lui.
  21. Sbagliano pertanto quei predicatori d’indulgenze, i quali dicono che per le indulgenze papali l’uomo è sciolto e salvato da ogni pena.
  22. Il papa, anzi, non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.
  23. Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le pene, è certo che essa può esser data solo ai perfettissimi, cioè a pochissimi.
  24. È perciò inevitabile che la maggior parte del popolo sia ingannata da tale indiscriminata e pomposa promessa di liberazione dalla pena.
  25. La stessa potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l’ha ogni vescovo e curato in particolare nella propria diocesi o parrocchia.
  26. Il papa fa benissimo quando concede alle anime la remissione non per il potere delle chiavi (che non ha) ma a modo di suffragio
  27. Predicano da uomini, coloro che dicono che subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa, l’anima se ne vola via.
  28. Certo è che al tintinnio della moneta nella cesta possono aumentare la petulanza e l’avarizia: invece il suffragio della chiesa è in potere di Dio solo.
  29. Chi sa se tutte le anime del purgatorio desiderano essere liberate, come si narra di S. Severino e di S. Pasquale?.
  30. Nessuno è certo della sincerità della propria contrizione, tanto meno del conseguimento della remissione plenaria.
  31. Tanto è raro il vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente le indulgenze, cioè rarissimo.
  32. Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere sicuri della loro salute sulla base delle lettere di indulgenza.
  33. Specialmente sono da evitare coloro che dicono che tali perdoni del papa sono quel dono inestimabile di Dio mediante il quale l’uomo è riconciliato con Dio.
  34. Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze riguardano solo le pene della soddisfazione sacramentale stabilite dall’uomo.
  35. Non predicano cristianamente quelli che insegnano che non è necessaria la contrizione per chi riscatta le anime o acquista lettere confessionali.
  36. Qualsiasi cristiano veramente compiuto ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza.
  37. Qualunque vero cristiano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza.
  38. Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non deve essere disprezzata in nessun modo perché, come ho detto [v. tesi n°6], è la dichiarazione della remissione divina.
  39. È straordinariamente difficile anche per i teologi più saggi esaltare davanti al popolo ad un tempo la prodigalità delle indulgenze e la verità della contrizione.
  40. La vera contrizione cerca ed ama le pene, la larghezza delle indulgenze produce rilassamento e fa odiare le pene o almeno ne dà occasione.
  41. I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza, perché il popolo non intenda erroneamente che essi sono preferibili a tutte le altre buone opere di carità.
  42. Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del papa equiparare in alcun modo l’acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.
  43. Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
  44. Poiché la carità cresce con le opere di carità e fa l’uomo migliore, mentre con le indulgenze non diventa migliore ma solo più libero dalla pena.
  45. Occorre insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e trascurandolo dà per le indulgenze si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio.
  46. Si deve insegnare ai cristiani che se non abbondano i beni superflui, debbono tenere il necessario per la loro casa e non spenderlo per le indulgenze.
  47. Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze è libero e non di precetto.
  48. Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno così desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni piuttosto che monete sonanti.
  49. Si deve insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi, se per causa loro si perde il timor di Dio.
  50. Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di S. Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.
  51. Si deve insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe, anche a costo di vendere – se fosse necessario – la basilica di 5. Pietro, dare dei propri soldi a molti di quelli ai quali alcuni predicatori di indulgenze estorcono denaro.
  52. È vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenza. anche se un commissario e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.
  53. Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali perché si predichino le indulgenze fanno tacere completamente la parola di Dio in tutte le altre chiese.
  54. Si fa ingiuria alla parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo eguale o maggiore all’indulgenza che ad essa.
  55. È sicuramente desiderio del papa che se si celebra l’indulgenza, che è cosa minima, con una sola campana, una sola processione, una sola cerimonia, il vangelo, che è la cosa più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.
  56. I tesori della Chiesa, dai quali il papa attinge le indulgenze, non sono sufficientemente ricordati nè conosciuti presso il popolo cristiano.
  57. Certo è evidente che non sono beni temporali, che molti predicatori non li profonderebbero tanto facilmente ma piuttosto li raccoglierebbero.
  58. Nè sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre, indipendentemente dal papa, la grazia dell’uomo interiore, la croce, la morte e l’inferno dell’uomo esteriore.
  59. S. Lorenzo chiamò tesoro della Chiesa i poveri, ma egli usava il linguaggio del suo tempo.
  60. Senza temerarietà diciamo che questo tesoro è costituito dalle chiavi della Chiesa donate per merito di Cristo.
  61. È chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi basta la sola potestà del papa.
  62. Vero tesoro della Chiesa di Cristo è il sacrosanto Vangelo, gloria e grazia di Dio.
  63. Ma questo tesoro è a ragione odiosissimo perché dei primi fa gli ultimi.
  64. Ma il tesoro delle indulgenze è a ragione gratissimo perché degli ultimi fa i primi.
  65. Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali un tempo si pescavano uomini ricchi.
  66. Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
  67. Le indulgenze che i predicatori proclamano grazie grandissime, si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono.
  68. Sono in realtà le minime paragonate alla grazia di Dio e alla pietà della croce.
  69. I vescovi e i parroci sono tenuti a ricevere con ogni riverenza i commissari dei perdoni apostolici.
  70. Ma più sono tenuti a vigilare con gli occhi e le orecchie che essi non predichino, invece del mandato avuto dal papa, le loro fantasie.
  71. Chi parla contro la verità dei perdoni apostolici sia anatema e maledetto.
  72. Chi invece si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore di indulgenze, sia benedetto.
  73. Come il papa giustamente fulmina coloro che operano qualsiasi macchinazione a danno della vendita delle indulgenze.
  74. Cosi molto più gravemente intende fulminare quelli che col pretesto delle indulgenze operano a danno della santa carità e verità.
  75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio, è essere pazzi.
  76. Al contrario diciamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.
  77. Dire che neanche S. Pietro se pure fosse papa, potrebbe dare grazie maggiori, è bestemmia contro S. Pietro e il papa.
  78. Diciamo invece che questo e qualsiasi papa ne ha di maggiori, cioè l’evangelo, le virtù, i doni di guarigione, ecc. secondo I Corinti 12.
  79. Dire che la croce eretta solennemente con le armi papali equivale la croce di Cristo, è blasfemo.
  80. I vescovi i parroci e i teologi che consentono che tali discorsi siano tenuti al popolo ne renderanno conto.
  81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa si che non sia facile neppure ad uomini dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle calunnie e dalle sottili obiezioni dei laici.
  82. Per esempio: perché il papa non vuota il purgatorio a motivo della santissima carità e della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero infinite di anime in forza del funestissimo denaro dato per la costruzione della basilica, che è una ragione debolissima?
  83. Parimenti: perché continuano le esequie e gli anniversari dei defunti e invece il papa non restituisce ma anzi permette di ricevere lasciti istituiti per loro, mentre è già un’ingiustizia pregare per dei redenti?
  84. Parimenti: che è questa nuova di Dio e del papa, per cui si concede ad un uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un’anima pia e amica di Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di tale anima pia e diletta?
  85. Ancora: perché canoni penitenziali per se stessi e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a motivo della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora col denaro come se avessero ancora vigore?
  86. Ancora: perché il papa le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi Crassi, non costruisce una sola basilica di S. Pietro con i propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?
  87. Ancora: cosa rimette o partecipa il papa a coloro che con la contrizione perfetta hanno diritto alla piena remissione e partecipazione?
  88. Ancora: quale maggior bene si recherebbe alla Chiesa, se il papa, come fa ogni tanto, così cento volte ogni giorno attribuisse queste remissioni e partecipazioni a ciascun fedele?
  89. Dato che il papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime piuttosto che il danaro perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse, quando sono ancora efficaci?
  90. Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
  91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate, anzi non esisterebbero.
  92. Addio dunque a tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano “Pace. pace”, mentre non v’è pace.
  93. Valenti tutti quei profeti, i quali dicono al popolo cristiano «Croce, croce», mentre non v’è croce.
  94. Bisogna esortare i cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le mortificazioni e gli inferni.
  95. E così confidino di entrare in cielo piuttosto attraverso molte tribolazioni che per la sicurezza della pace.

Che dire? Non è certo uno di quei testi sacri che, anche se non sei credente, ti mettono in soggezione per l’afflato dell’ispirazione o la nobiltà dei sentimenti e delle aspirazioni. Non è il discorso della montagna, e nemmeno una predica del Savonarola. È un testo politico, anzi burocratico, che puzza un po’ di prete di campagna pedante e indignato. Eppure, queste 95 tesi, come tanti altri testi sacri, sono intrise di sangue, hanno prodotto secoli di guerre, atroci sofferenze, carestie, tradimenti.

Chi volesse confrontarsi con il latino dell’originale, lo trova qui.

Giudicate da soli

No alla scuola dei padroni, via il governo, dimissioni!

Giovanna Marini fa il controcanto.

Dedicato ai miei figli: “Non siam scappati più!”

100.000

Consentitemi una piccola celebrazione.

Questo blog, che ha poco più di un anno e mezzo di vita, ha superato oggi il traguardo delle 100.000 visite. A me sembra una cosa enorme! Altro che i 25 lettori di Manzoni! Adesso mi monto la testa!

Grazie a tutti voi, che avete contribuito a questo successo.

Rosso come una sposa

Ibrahimi, Anilda (2008). Rosso come una sposa. Torino:Einaudi. 2008.

Ecco un altro libro sulla nonna, mi sono detto quando l’ho iniziato. Perché ne abbiamo letti tanti, di libri sulla nonna. Italiani, ma soprattutto stranieri, possibilmente un po’ esotici. Nonne sudamericane o indiane. Qualcuna italiana, ma fortemente caratterizzata “etnicamente”.

Impressione fallace. Questo romanzo è un po’ diverso, ha un colpo d’ala. Non è un capolavoro, beninteso, ma si raccomanda per una lingua limpida ed efficace, e per uno sguardo nostalgico sì, ma temperato dall’ironia.

Forse – se dovessi azzardare una similitudine – si avvicina piuttosto a Persepolis di Marjane Satrapi. Ogni capitolo è come scandito dal ritmo della striscia a fumetti, autoconcluso.

Aspetto Anilda Ibrahimi alla prova del secondo romanzo, perché (ma posso sbagliarmi) l’autrice ha più di un libro nelle sue corde.

Concludo con la citazione di un bel proverbio albanese (citato, va da sé, dalla nonna):

Nella vita bisogna imparare due cose: non mettersi mai davanti al più forte o dietro l’asino, perché entrambi non ragionano e ti prendono a calci in faccia [p. 182].

L’eretico

Altieri, Alan D. (2005). L’eretico. Milano: TEA. 2007.

Un’immonda porcata. Non leggetelo. Oppure leggetelo (sono libertario) ma poi non prendetevela con me.

Un libro veramente sgradevole. Come se al mondo (o almeno nel mondo del 1630) non ci fosse altro che sangue interiora merda e altri liquami. La ricerca puntigliosa dello sgradevole. Un’attenta opera di editing dedicata a farcire ogni pagina del massimo di sgradevolezza. Apro a caso (ma veramente a caso!), giusto per darvi un’idea:

La gola di Hans Ruther va in eruzione, aperta lungo l’intera arcata sottomandibolare. Sorella Renate riceve l’intera pompata in piana faccia. Il sangue l’acceca, le schizza dentro la gola. La cosa dalle tenebre strappa via una dentata di polpa gocciolante dal basso ventre di Hans Ruther. Dietro di lui, sorella Renate barcolla, urla, vomita. Crolla sul pavimento viscido [p. 156].

Così per 396 pagine. Non scherzo.

Ho aperto ancora a caso: “s’inarcò, emise un gorgoglio, vomitò una boccata di fetida aria ventrale…” [p. 276] (e non è che le pagine dispari siano meglio).

Dove non ci si dedica allo splatter, la ricostruzione storica è piena di errori.

Ultima fregatura: il romanzo non giunge a nessuna conclusione, perché è soltanto la prima parte di una trilogia. Intere vicende (Laura Farnese e Alessandro Colonna, per esempio) non hanno alcuna funzione nell’economia di questa storia! Ma non corro certo a cercare gli altri 2 volumi…

Pubblicato su Recensioni. 2 Comments »

Cristo informa

Fotografata ieri su un muro di Genova, a Piazza Principe. In pieno Festival della scienza!

OK, parliamone. Nascere, vivere, morire. E dopo, nulla?

Sì, nulla. Io e molti altri pensiamo che, dopo, non ci sia nulla. Pensiamo che il nostro destino sia che gli atomi, le molecole, la materia di cui siamo composti ritornino nel grande vortice del possibile.

E che in realtà, anche nel corso di quello che chiamiamo “la nostra vita”, il ricambio tra quello che chiamiamo il nostro corpo e il grande vortice del possibile sia continuo.

E allora dove sta la differenza? La differenza sta nel fatto che un insieme organizzato di materia sia cosciente di sé. Questo è quello davanti al quale provo la meraviglia e lo sgomento che altri provano per un dio al di fuori di sé.

Qui si capisce anche dove il manifesto, secondo me, è un imbroglio. Nascere e morire sono due istanti; vivere è una durata.

Nascere e morire sono l’approssimazione dell’inizio e della fine del sé, dell’autocoscienza (o meglio della consapevolezza del sé – in inglese conscience e consciousness sono due parole diverse). Ne facciamo un feticcio, e ne discende tutto il dibattito sull’aborto e l’eutanasia. Ma in realtà, quello che vogliamo approssimare sono due “momenti”, o forse due “fasi” : quello in cui iniziamo a percepirci come “noi stessi” e quello in cui cessiamo di farlo. Ero Boris anche prima di essere cosciente di me come soggetto del mio primo agire e percepire? Lo sarò ancora quando avrò perso il lume della ragione?

Vivere è durata. Vivere è quello per cui vale la pena di essere qui. Ha uno scopo, altro da quello che gli attribuisco giorno per giorno, costruendolo? Penso di no. Ma quello che ho è comunque ricchissimo. Sgomento e meraviglia, appunto. E se il presente è una finzione della coscienza, tanto meglio. Bella finzione. Bella invenzione dilatare il presente, la dimensione dell’esserci.

Del vivere, di tutto quello che sta in mezzo tra il nascere e il morire, mi prendo tutto, buono e cattivo. Me lo centellino anche quando è amaro come il fiele. Me lo godo, quando posso e come posso, come dice il poeta. Di quello che c’è al di là del confine non mi interesse se non per la curiosità, scientifica e infantile insieme, che dedichiamo al “fuori di noi”. Mi auguro solo che il passaggio della seconda frontiera sia dolce, o destinato all’oblio, come il passaggio della prima…

Cinque Terre: omaggio a Montale

Monterosso, Vernazza, Corniglia, nidi di falchi e di gabbiani, Manarola e Riomaggiore sono, procedendo da ponente a levante, i nomi di pochi paesi o frazioni di paesi così asserragliati fra le rupi e il mare. (Eugenio Montale, Fuori di casa)

E ancora

La Storia

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.

La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

Nature sulla politica della ricerca in Italia

Sì, lo so, quei comunisti di Nature! Degni compari dei comunisti di The Economist.

Nature 455, 835-836 (16 October 2008) | doi:10.1038/455835b; Published online 15 October 2008

Cut-throat savings

Abstract: In an attempt to boost its struggling economy, Italy’s government is focusing on easy, but unwise, targets.

It is a dark and angry time for scientists in Italy, faced as they are with a government acting out its own peculiar cost-cutting philosophy. Last week, tens of thousands of researchers took to the streets to register their opposition to a proposed bill designed to control civil-service spending. If passed, as expected, the bill would dispose of nearly 2,000 temporary research staff, who are the backbone of the country’s grossly understaffed research institutions — and about half of whom had already been selected for permanent jobs.

Even as the scientists were marching, Silvio Berlusconi’s centre-right government, which took office in May, decreed that the budgets of both universities and research could be used as funds to shore up Italy’s banks and credit institutes. This is not the first time that Berlusconi has targeted universities. In August, he signed a decree that cut university budgets by 10% and allowed only one in five of any vacant academic positions to be filled. It also allowed universities to convert into private foundations to bring in additional income. Given the current climate, university rectors believe that the latter step will be used to justify further budget cuts, and that it will eventually compel them to drop courses that have little commercial value, such as the classics, or even basic sciences. As that bombshell hit at the beginning of the summer holidays, the implications have only just been fully recognized — too late, as the decree is now being transformed into law.

Meanwhile, the government’s minister for education, universities and research, Mariastella Gelmini, has remained silent on all issues related to her ministry except secondary schools, and has allowed major and destructive governmental decisions to be carried through without raising objection. She has refused to meet with scientists and academics to hear their concerns, or explain to them the policies that seem to require their sacrifice. And she has failed to delegate an undersecretary to handle these issues in her place.

Scientific organizations affected by the civil-service bill have instead been received by the bill’s designer, Renato Brunetta, minister of public administration and innovation. Brunetta maintains that little can be done to stop or change the bill — even though it is still being discussed in committees, and has yet to be voted on by both chambers. In a newspaper interview, Brunetta also likened researchers to capitani di ventura, or Renaissance mercenary adventurers, saying that to give them permanent jobs would be “a little like killing them”. This misrepresents an issue that researchers have explained to him — that any country’s scientific base requires a healthy ratio of permanent to temporary staff, with the latter (such as postdocs) circulating between solid, well equipped, permanent research labs. In Italy, scientists tried to tell Brunetta, this ratio has become very unhealthy.

The Berlusconi government may feel that draconian budget measures are necessary, but its attacks on Italy’s research base are unwise and short-sighted. The government has treated research as just another expense to be cut, when in fact it is better seen as an investment in building a twenty-first-century knowledge economy. Indeed, Italy has already embraced this concept by signing up to the European Union’s 2000 Lisbon agenda, in which member states pledged to raise their research and development (R&D) budgets to 3% of their gross domestic product. Italy, a G8 country, has one of the lowest R&D expenditures in that group — at barely 1.1%, less than half that of comparable countries such as France and Germany.

The government needs to consider more than short-term gains brought about through a system of decrees made easy by compliant ministers. If it wants to prepare a realistic future for Italy, as it should, it should not idly reference the distant past, but understand how research works in Europe in the present.

Broker

Se ne sente parlare molto, in piena crisi finanziaria. Un broker (la parola è inglese) è un “intermediario, specialmente a livello internazionale, negli acquisti e nelle vendite di merci, titoli azionari, polizze assicurative e simili” (De Mauro online).

Attenti ai falsi amici! Un broker non è, come potrebbe far pensare l’assonanza con il verbo to break, uno che rompe (d’accordo, lo so, la maggior parte degli assicuratori, soprattutto quelli che ti telefonano a casa all’ora di cena per proporti i loro prodotti, rompono eccome).

La parola, invece, ha un’origine strana. Arriva all’inglese, attraverso i normanni, dal francese brocour o abrocour. A loro volta i francesi l’avevano derivato dallo spagnolo alboroque, un regalo che ritualmente si scambiavano le parti dopo aver concluso un accordo commerciale. E gli spagnoli avevano appreso l’usanza e il nome dai mori che dominarono la Spagna nel medioevo: al-baraka, in arabo, è la benedizione (quasi tutte le parole che iniziano per al-, come albicocca algebra algoritmo eccetera vengono dall’arabo, dove al è l’articolo…). Barak, a sua volta, è una radice semitica comune, che ricorre anche nei nomi propri, come quello del presidente egiziano Mubarak e del candidato democratico Barack Obama (oltre che del filosofo Baruch Spinoza).

Pubblicato su Parole. 3 Comments »