Molti anni fa, quando Roberto Benigni era un comico, mi capitò di assistere a un suo spettacolo (gratuito: those were the days, my friend, we thought they’d never end) alla festa dell’unità del paesello avito, tra nugoli di zanzare.
Nel suo monologo, Benigni immaginava che dio avesse maliziosamente nascosto gli antibiotici nella muffa e si chiedesse, ridendo sotto i baffi: “Adesso voglio vedere quanto ci mettono a scoprirlo.”
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Sappiamo tutti come andò a finire: dopo innumerevoli morti d’infezione, nel 1928 Alexander Fleming notò che una sostanza in una muffa (le spore del Penicillum notatum) inibiva la crescita di una coltura di stafilococchi. Retrospettivamente, ci sembra ovvio.
Ma quello che non tutti sanno (non lo sapevo neppure io fino a stamattina) è che già John Tyndall nel 1876 e André Gracia negli anni Venti avevano notato lo stesso fenomeno, senza che gli passasse per la mente la possibilità di un impiego medico. Perché loro no e Fleming sì? Pare che la risposta sia questa: Fleming aveva vissuto la Grande Guerra ed era rimasto agghiacciato dal tributo di morte pagato dalle infezioni conseguenti alle ferite. La sua mente era aperta a cogliere le implicazioni di un effetto che ai suoi predecessori era apparso spurio.
Ci vollero comunque 13 anni per passare dall’osservazione di Fleming all’uso della penicillina come medicamento (come tecnologia medica).
Traggo questa notazione dal bellissimo libro The Nature of Technology di W. Brian Arthur (su cui tornerò con una recensione).