In questi giorni, sono in molti, anche qui a Roma (non i romanisti, penso, ma quelli che non volevano la Polverini), a dirmi di avere il magone. E io, da vecchio milanese emigrato, mi domando: ma lo sapranno che cosa vuol dire, “magone”, fuor di metafora?
Temo di no. Il termine è di origine germanica, e diffuso soltanto nei dialetti del Nord. Ma temo che anche nella ferace (e feroce) Padania, fortemente urbanizzata, e dove ormai i polli non pullulano, si ignori il significato originario e principale del termine.
Il problema è questo: i polli, e gli uccelli in generale, non hanno denti, essendo dotati di becco. Poco male: niente carie, niente malattie delle gengive, meno spese dal dentista eccetera. Ma come masticare il duro becchime? Niente paura, basta avere due stomaci. O meglio, la parte terminale dello stomaco come l’abbiamo anche noi, il piloro (la valvola muscolare che mette lo stomaco in comunicazione con l’intestino), negli uccelli è trasformato nel ventriglio (dal latino ventriculus) o stomaco trituratore: “molto sviluppato nei granivori, con pareti provviste di una muscolatura assai sviluppata e ricoperte all’interno da un rivestimento cuticolare corneo, talora con papille e tubercoli, adatto alla triturazione dell’alimento, che può essere anche favorita dalla presenza di pietruzze che gli stessi uccelli ingeriscono.” [Vocabolario Treccani online].
In tedesco lo stomaco si chiama Magen, e il mistero è svelato. Basta ricordarsi che la tristezza ti stringe lo stomaco, ed ecco il magone.
magóne s. m. [dal germ. mago], regionale. 1. Il ventriglio del pollo.
2. Accoramento, dispiacere (come di peso che resti sullo stomaco): avere il magone; provare un magone; E già premedito l’inevitabile magone. di cui Potrò dirmi che è la mia parte migliore (Maurizio Cucchi). [Vocabolario Treccani online]
Quanto mi esalto quando incontro una parola che non conoscevo (ognuno ha le sue perversioni, ma se uno ne ha abbastanza e non si fissa su nessuna, allora è a posto – lo dice più o meno Freud).
La parola di oggi è esemplàstico.
Se l’è inventata di sana pianta Samuel Taylor Coleridge, il poeta inglese, nella sua Biographia Literariadel 1817 (che all’epoca fu accolta come una prova che l’autore si era fumato il cervello a forza di oppio).
“Esemplastic. The word is not in Johnson, nor have I met with it elsewhere.” Neither have, I. I constructed it myself from the Greek words, eis en plattein, to shape into one; because, having to convey a new sense, I thought that a new term would both aid the recollection of my meaning, and prevent its being confounded with the usual import of the word, imagination. [Capitolo X]
Il Capitolo XIII è poi tutto dedicato “all’immaginazione, o al potere esemplastico”, e chiarisce molto bene – almeno per quello che ho capito io – il suo punto di vista:
Des Cartes, speaking as a naturalist, and in imitation of Archimedes, said: give me matter and motion and I will construct you the universe. We must of course understand him to have meant: I will render the construction of the universe intelligible. In the same sense the transcendental philosopher says: grant me a nature having two contrary forces, the one of which tends to expand infinitely, while the other strives to apprehend or find itself in this infinity, and I will cause the world of intelllgences with the whole system of their representations to rise up before you. Every other science presupposes intelligence as already existing and complete: the philosopher contemplates it in its growth, and as it were represents its history to the mind from its birth to its maturity.
[…]
The Imagination then I consider either as primary, or secondary. The primary Imagination I hold to be the living power and prime agent of all human perception, and as a repetition in the finite mind of the eternal act of creation in the infinite I AM. The secondary Imagination I consider as an echo of the former, co-existing with the conscious will, yet still as identical with the primary in the kind of its agency, and differing only in degree, and in the mode of its operation. It dissolves, diffuses, dissipates, in order to recreate: or where this process is rendered impossible, yet still at all events it struggles to idealize and to unify. It is essentially vital, even as all objects (as objects) are essentially fixed and dead.
FANCY, on the contrary, has no other counters to play with, but fixities and definites. The fancy is indeed no other than a mode of memory emancipated from the order of time and space; while it is blended with, and modified by that empirical phaenomenon of the will, which we express by the word Choice. But equally with the ordinary memory the Fancy must receive all its materials ready made from the law of association.
Prima che mi tacciate di pedanteria, mi difenderò dall’accusa con le stesse argomentazioni di Coleridge:
“But this is pedantry!” Not necessarily so, I hope. If I am not misinformed, pedantry consists in the use of words unsuitable to the time, place, and company. The language of the market would be in the schools as pedantic, though it might not be reprobated by that name, as the language of the schools in the market. The mere man of the world, who insists that no other terms but such as occur in common conversation should be employed in a scientific disquisition, and with no greater precision, is as truly a pedant as the man of letters, who either over-rating the acquirements of his auditors, or misled by his own familiarity with technical or scholastic terms, converses at the wine-table with his mind fixed on his museum or laboratory […] [Capitolo X]
Unusual and new-coined words are doubtless an evil; but vagueness, confusion, and imperfect conveyance of our thoughts, are a far greater. [Capitolo XII]
Parola per me inesorabilmente legata a una storia di Paperone (non ricordo se di Carl Barks o Don Rosa).
1. (anticamente) Di piante, germogliare, mettere i germogli.
2.a. Venir fuori, spuntare, apparire e diffondersi quasi brulicando in grande quantità: una capanna abbandonata in cui pullulavano insetti d’ogni specie; per estensione e figuratamente: quartieri popolari, dove pullulano migliaia di bimbi scalzi (De Amicis); attorno al locale notturno pullulavano ragazzi (Claudio Piersanti); pullulavano iniziative culturali di grande interesse.
2. b. Con altra costruzione, essere pieno, gremito: le nostre città pullulano di turisti; le strade pullulavano di gente festosa.
3. Di un corso d’acqua, o d’una sorgente, gorgogliare, ribollire alla superficie: sotto l’acqua è gente che sospira, E fanno pullular quest’acqua al summo (Dante), dello Stige che per il sospirare delle anime che vi sono sommerse si copre alla superficie di bolle d’aria; la fonte pullulava sotto un arco chiomato di caprifogli e di pruni (D’Annunzio). [Vocabolario Treccani online]
Dal latino pullulare, derivato di pullŭlus, a sua volta diminutivo di pullus (pollo). Il fatto è che originariamente pullus denotava qualunque giovane animale, e anche germoglio di pianta (anche noi chiamiamo polloni i germogli che partono dal tronco di una pianta). La radice proto-indo-europea -PU significa “generare, procreare” e ne discendono tra l’altro il latino puer, in nostro pupo, l’inglese foal (“puledro”: ma anche il nostro puledro viene dal medesimo stipite).
Molti pesci – 21 famiglie – sono ermafroditi, cioè sono dotati degli organi sessuali maschili e femminili. In molti casi, l’ermafroditismo è sequenziale: certi tipi di pesce sono maschi da giovani e poi si trasformano in femmine (proterandria), per altri avviene il contrario (proteroginia).
Ancora più curiosi gli ermafroditi sincroni che hanno contemporaneamente i genitali tanto maschili quanto femminili. Tra gli ermafroditi sincroni c’è anche una specie di spigola (per la verità, stiamo parlando di sea bass, sotto il cui nome vanno pesci di specie anche molto differenti in diverse parti del mondo – quindi forse quello che dico non si attaglia ai branzini nostrani). Questi pesci formano coppie, in cui i ruoli sessuali si invertono più volte durante una stessa giornata. Tenete conto che una femmina può deporre le uova una decina di volte al giorno, che poi il maschio feconda esternamente, spruzzandole di sperma all’esterno. Ma produrre uova è molto più “costoso” che produrre sperma, ed è per questo che i ruoli maschile e femminile s’invertono in continuazione. La cooperazione è necessaria, e il (temporaneo) maschio che cerca di fare il furbo (o meglio il free-rider) viene immediatamente abbandonato dalla femmina. Per fortuna non succede spesso, cosicché le pregiate spigole abbondano sulla nostra tavola.
È chiaro adesso perché c’è chi la chiama spigola e chi branzino? Spigola quando depone le uova, branzino quando le feconda come maschio…
C’è un celebre romanzo di Ursula K. LeGuin, The Left Hand of Darkness (La mano sinistra delle tenebre) che si svolge sul pianeta Gethen, dove è sempre inverno. A questa assenza di dualità (o pluralità) delle stagioni, fa da contraltare l’assenza della dualità dei sessi (ma anche delle guerre, guarda caso): gli abitanti di Gethen sono neutri per la maggior parte del tempo, ma ogni 26 giorni vanno in calore (kemmer) per 2 giorni, e diventano maschi o femmine per effetto di uno scambio di feromoni con il/la partner (che diventa del sesso opposto). Uno dei due concepisce e resta incinta. Genly Ai, il protagonista, l’inviato dell’Ecumene, è un “normale” maschio, e le dinamiche dell’amicizia e dell’amore con un getheniano sono sconvolgenti. Leggetelo.
Un minuscolo assaggio:
Light is the left hand of darkness
and darkness the right hand of light.
Two are one, life and death, lying
together like lovers in kemmer,
like hands joined together,
like the end and the way.
Forse si è già capito che non sopporto nessuna censura (e forse si è capito che guardo poco o punto la televisione, ma non per questo sono disinformato).
La notizia di qualche giorno fa (18 marzo 2010) è questa (la riprendo da Ansa.it):
Aldo Busi escluso da tutte le trasmissioni Rai
Palesi e gravi violazioni di regole e disposizioni contrattuali, via dall’Isola
18 marzo, 18:08
ROMA – Dopo le dichiarazioni di Aldo Busi nella puntata di ieri dell’Isola dei famosi, la Rai ha deciso di escludere lo scrittore da tutte le trasmissioni. Lo annuncia una nota di Viale Mazzini. “Il direttore di Raidue, Massimo Liofredi, sentito il direttore generale della Rai Mauro Masi – spiega la nota – ha ravvisato nel comportamento dello stesso palesi e gravi violazioni delle regole e delle disposizioni contrattuali. Pertanto, Aldo Busi verrà escluso dalla partecipazione alle prossime puntate dell’Isola dei famosi e dalle altre trasmissioni della Rai”.
VENTURA: LA CENSURA NON E’ IL MEZZO MIGLIORE – Simona Ventura spera che il caso Busi si riapra e che la Rai ci ripensi. “La censura non è certo il mezzo migliore per chiarire dubbi o sciogliere eventuali questioni”, dice la conduttrice dell’Isola dei Famosi in una nota diffusa dall’ufficio stampa della trasmissione. “Mi rendo conto che le parole di Aldo Busi dette ieri sera durante la trasmissione possano essere parse fuori luogo e offensive per una parte del nostro pubblico e averne colpito la sensibilità. Detto questo, mi auguro vivamente – conclude – che la Rai ci ripensi e che si possa arrivare ad un accordo per avere con Busi stesso un confronto in un clima più sereno. La censura non è certo il mezzo migliore per chiarire dubbi o sciogliere eventuali questioni”. “Busi – hapoi detto la presentatrice – ha dato tantissimo a questo programma, mi sono dissociata da alcune cose che ha detto, ma io ascolto sempre, magari è lui che cerca di imporre la propria verità che in realtà è un’opinione”.
LUPI (PDL), INACCETTABILI ATTACCHI A PAPA DA BUSI – “Quello che è accaduto ieri sera durante la puntata dell”Isola dei famosì è inaccettabile”. Così Maurizio Lupi, Vice Presidente Pdl della Camera dei deputati e componente della commissione di Vigilanza Rai. “Aldo Busi – spiega – ha insultato, davanti ad una platea di milioni di telespettatori, il Papa. La Rai dovrebbe fare servizio pubblico, non mandare in onda a pagamento trasmissioni e personaggi che offendono il Santo Padre e tutti i credenti. Mi auguro che il Presidente Garimberti, di cui conosco l’assoluta sensibilità, insieme al direttore generale e al Consiglio di amministrazione, intervengano immediatamente per fermare questo scempio. Chiedo che Busi non partecipi più ai programmi della Rai”.
CESA, BUSI ATTACCA PAPA E MAGGIORANZA TACE – “La maggioranza, in Commissione di Vigilanza e nel Cda Rai, ha fatto di tutto in questi giorni per imbavagliare i talk show e perché in tv venissero bandite la politica e le critiche al governo. E’ singolare che altrettanto zelo non venga dimostrato nel controllo dei contenuti di altri programmi del servizio pubblico”. La denuncia è di Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc riferendosi agli attacchi di Aldo Busi al Papa nel corso dell’Isola dei Famosi”. Cesa spiega: “ieri in uno di questi, oltre a una ‘raffinata’ analisi politico-economica in diretta dal Nicaragua del noto economista Aldo Busi, dallo stesso personaggio è stata dileggiata senza ritegno davanti a milioni di telespettatori la guida spirituale dei cattolici nel mondo. L’azienda e la Vigilanza tolgano il paraocchi e guardino cosa succede negli altri programmi”.
CODACONS: SU BUSI GIUSTO STOP MA ANDAVA FERMATO PRIMA – Il Codacons plaude alla decisione della Rai di escludere Aldo Busi da tutte le trasmissioni dell’azienda, ma ritiene che il provvedimento sia tardivo. “Già dalla prima puntata dell’Isola dei Famosi lo scrittore andava mandato a casa – afferma il presidente Codacons, Carlo Rienzi – Busi, infatti, fin dalle prime battute del programma si é abbandonato ad un linguaggio volgare e ad espressioni di cattivo gusto, nel tentativo fallito di provocare e suscitare attenzione sul suo personaggio o su temi a lui cari. Linguaggio e provocazioni non graditi ai telespettatori, molti dei quali hanno scritto al Codacons denunciando le scurrilità dello scrittore”. “Giusta quindi la decisione della Rai di escludere Aldo Busi dalle trasmissioni dell’azienda, ma assolutamente tardiva, in quanto si chiude la stalla quando i buoi sono già scappati” – conclude Rienzi.
STORACE (DESTRA), CON BUSI IMMONDO SPETTACOLO – Per Francesco Storace, segretario nazionale de La destra, “é scandaloso che ci si preoccupi più delle trasmissioni di informazione che disinformano anziché del consueto e immondo spettacolo che continua a dare Aldo Busi in Rai con i soldi del canone. Gli inni alla pedofilia, gli insulti al Papa sono sconcertanti, indignano e rendono sempre più cupa una società ormai priva di etica. Sono queste le cose per cui certa gente dovrebbe andare in galera”.
Non la penso come questo bel coretto di “opinionisti”. Con me, non la pensa così la nostra Costituzione (un altro motivo per cambiarla?):
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. [art. 21, comma 1]
Ecco dunque gli interventi che hanno provocato la sua radiazione.
Pioviggina. Un sabato uggioso (ma speriamo, per oggi pomeriggio, in un bell’acquazzone, meglio se con grandine).
E partono, incontrollabili, i ricordi e le associazioni.
Che dice la pioggerellina di marzo?
di Angiolo Silvio Novaro
Che dice la pioggerellina
Di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gèmmule d’oro?
Passata è l’uggiosa invernata,
Passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
Di fuor dalla nuvola bigia
Che in cielo si pigia,
Domani uscirà Primavera
Guernita di gemme e di gale,
Di lucido sole,
Di fresche viole,
Di primule rosse, di battiti d’ale,
Di nidi,
Di gridi,
Di rondini ed anche
Di stelle di mandorlo, bianche…
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gèmmule d’oro?
Ciò canta, ciò dice:
E il cuor che l’ascolta è felice.
Che dice la pioggerellina
Di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’ orto.
Queste erano le elementari, poi siamo diventati più grandi e abbiamo conosciuto questa canzone, tramite Mina (che sdegnavamo come roba da “matusa”):
Il testo italiano era di Giorgio Calabrese, ma l’originale era stato scritto da Antônio Carlos Brasileiro de Almeida Jobim (Tom per gli amici), che l’aveva scritta per sé e cantata, ma che era stata portata al successo da Elis Regina. La versione più famosa è quella che i due cantano insieme, nell’album Elis e Tom. Qui dal vivo. La risatina di Elis è una delle cose più sexy della storia della musica.
É pau, é pedra
É o fim do caminho
É um resto de toco
É um pouco sozinho
É um caco de vidro
É a vida, é o sol
É a noite, é a morte
É um laço, é o anzol
É peroba no campo
É o nó da madeira
Caingá candeia
É o matita pereira
É madeira de vento
Tombo da ribanceira
É o mistério profundo
É o queira ou não queira
É o vento ventando
É o fim da ladeira
É a viga, é o vão
Festa da cumeeira
É a chuva chovendo
É conversa ribeira
Das águas de março
É o fim da canseira
É o pé, é o chão
É a marcha estradeira
Passarinho na mão
Pedra de atiradeira
É uma ave no céu
É uma ave no chão
É um regato, é uma fonte
É um pedaço de pão
É o fundo do poço
É o fim do caminho
No rosto um desgosto
É um pouco sozinho
É um estepe, é um prego
É uma conta, é um conto
É um pingo pingando
É uma ponta, é um ponto
É um peixe, é um gesto
É uma prata brilhando
É a luz da manhã
É o tijolo chegando
É a lenha, é o dia
É o fim da picada
É a garrafa de cana
O estilhaço na estrada
É o projeto da casa
É o corpo na cama
É o carro enguiçado
É a lama, é a lama
É um passo, é uma ponte
É um sapo, é uma rã
É um resto de mato
Na luz da manhã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É pau, é pedra
É o fim do caminho
É um resto de toco
É um pouco sozinho
É uma cobra, é um pau
É João, é José
É um espinho na mão
É um corte no pé
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
É um passo, é uma ponte
É um sapo, é uma rã
É um belo horizonte
É uma febre terçã
São as águas de março fechando o verão
É a promessa de vida no teu coração
Poi è arrivata la traduzione di Ivano Fossati (qui sempre dal vivo):
E mah è forse è quando tu voli rimbalzo dell’eco è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte è credere no
margherita di campo è la riva lontana
è la riva lontana è, ahi! è la fata Morgana
è folata di vento onda dell’altalena un mistero profondo
una piccola pena
tramontana dai monti domenica sera è il contro è il pro
è voglia di primavera
è la pioggia che scende è vigilia di fiera è l’acqua di marzo
che c’era o non c’era
è si è no è il mondo com’era è Madamadorè burrasca passeggera
è una rondine al nord la cicogna e la gru, un torrente una fonte
una briciola in più
è il fondo del pozzo è la nave che parte un viso col broncio
perché stava in disparte
è spero è credo è una conta è un racconto una goccia che stilla
un incanto un incontro
è l’ombra di un gesto, è qualcosa che brilla il mattino che è qui
la sveglia che trilla
è la legna sul fuoco, il pane, la biada, la caraffa di vino
il viavai della strada
è un progetto di casa è lo scialle di lana, un incanto cantato
è un’andana è un’altana
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è mah è forse è quando tu voli rimbalzo dell’eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro, è la luna e il falò
è il sonno e la morte è credere no
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
è la pioggia di marzo, è quello che è
la speranza di vita che porti con te
Ma naturalmente, nel frattempo, era uscita (1980) Una giornata uggiosa di Lucio Battisti, l’ultima del sodalizio con Mogol (autore del testo):
Sogno un cimitero di campagna e io là
all’ombra di un ciliegio in fiore senza età
per riposare un poco 2 o 300 anni
giusto per capir di più e placar gli affanni
Sogno al mio risveglio di trovarti accanto
intatta con le stesse mutandine rosa
non più bandiera di un vivissimo tormento
ma solo l’ornamento di una bella sposa
Ma che colore ha una giornata uggiosa
ma che sapore ha una vita mal spesa
Ma che colore ha una giornata uggiosa
ma che sapore ha una vita mal spesa
Sogno di abbracciare un amico vero
che non voglia vendicarsi su di me di un suo momento amaro
e gente giusta che rifiuti d’esser preda
di facili entusiasmi e ideologie alla moda
Ma che colore ha una giornata uggiosa
ma che sapore ha una vita mal spesa
Ma che colore ha una giornata uggiosa
ma che sapore ha una vita mal spesa
Sogno il mio paese infine dignitoso
e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa
di non sognare la Nuovissima Zelanda
Per fuggire via da te Brianza velenosa
Ma che colore ha una giornata uggiosa
ma che sapore ha una vita mal spesa
E poi, naturalmente, sono arrivati i figli e con loro la filastrocca “Piove pioviccica…”. Vedo che sul web ferve il dibattito su quali siano le esatte parole dell’originale. Non so, ma certo quella più vicina a quella che recitavano ossessivamente i miei figli è questa:
Piove pioviccica,
il culo ti si appiccica,
accendi la candela,
il culo ti si pela,
lo metti in mezzo all’acqua,
il culo ti si sciacqua
La data di oggi, negli Stati uniti, si scrive 3.14 (dài che lo sapevate, l’11 settembre loro lo scrivono 9.11): per questo, dal 1988, questo giorno è dedicato al π (sì, lo ammetto: da una sparuta minoranza di maniaci).
Martin Gardner – uno dei principali profeti del culto matemagico seguito dalla sparuta minoranza – ha scritto:
Il numero pi greco, correttamente interpretato, contiene l’intera storia dell’umanità.
Iniziatore delle celebrazioni fu il fisico Larry Shaw nel 1988, all’Exploratorium di San Francisco.
Riprendo (e traduco) da FlowingData un post comparso lo scorso 4 marzo 2010. Mi sembra un punto di vista interessante, in un momento storico in cui in Italia ci si appresta a chiudere le facoltà di statistica.
Mi definisco statistico perché, beh, sono laureato in statistica. Eppure, se mi fate domande specifiche sul test delle ipotesi o sulla dimensione campionaria, probabilmente la mia risposta non sarà del tutto corretta.
L’altro giorno stavo cercando di ricordarmi quando fosse stata l’ultima volta che ho fatto il test di un’ipotesi o condotto un’analisi formale. Non ci sono riuscito. Sono dovuto andare a scovare vecchi appunti dei tempi dell’università. È stato 4 anni fa, durante l’ultimo anno di corso. Ero bravo all’università, e sono sicuro che mi basterebbe una bella rinfrescata per essere in grado di farlo di nuovo. Ma non è la risposta che cercavo. La verità è che non sono cose che faccio abitualmente.
Invece, le cose veramente importanti che ho imparato non sono quelle formali, ma altre, che si sono dimostrate estremamente utili quando lavoro o gioco con i dati. Eccole, un po’ alla rinfusa.
Attenzione ai dettagli
Spesso sono le piccole cose a risultare le più importanti. Un giorno il professore ci proiettò un grafico: era una nuvola di punti con una curva di regressione. Ci chiese che cosa vedevamo. Beh, cresceva all’inizio, diventava pressoché orizzontale nel mezzo, e poi saliva ancora. Quello che non avevo notato era un punto dove la curva iniziava a crescere. Era quello che avremmo dovuto notare.
La lezione era che le tendenze e le configurazioni generali sono importanti, ma lo sono anche gli outlier, i dati mancanti e le incongruenze.
Il quadro generale
Nonostante quello che ho appena detto, è importante non farsi prendere troppo da singoli punti o da una piccola parte di un dataset veramente grande. L’abbiamo visto di recente a proposito di recessione e ripresa. Come qualcuno ha notato, se si fa un passo indietro e si prende in considerazione un arco di tempo più lungo, il contrasto tra l’era di Bush e quella di Obama non è poi così impressionante.
Senza programmi predefiniti
Non dovrebbe essere nemmeno necessario dirlo: avvicinatevi ai dati il più oggettivamente possibile.Non sto dicendo che non dovete avere idea di che cosa state cercando, ma non permettete ai vostri preconcetti di influenzare i risultati. Perché se cercate abbastanza a lungo una certa configurazione, probabilmente finirete per trovarla. Sì, ma a scapito di risultati più accurati.
Guarda all’esterno dei dati
Contesto, contesto, contesto. A volte ve lo forniscono i metadati. A volte altri dati.
Più cose sapete sul modo in cui i dati sono stati raccolti, da dove vengono, a quando si riferiscono, che cosa d’altro stava succedendo in quel periodo, più i vostri risultati saranno ricchi d’informazione e più fiducia potrete riporre nelle vostre scoperte.
Chiedetevi perché
Infine – e questa è la cosa più importante che ho imparato – chiedetevi sempre perché. Quando vedete un’anomalia in un grafico, dovreste chiedervi perché c’è. Se trovate qualche correlazione, chiedetevi se ha senso o no. Se ce l’ha, bene, ma se non ce l’ha bisogna scavare più a fondo. I numeri sono una gran cosa, ma ricordatevi che – quando ci sono di mezzo le persone – gli errori sono sempre possibili.
Vado molto raramente a teatro, per una ragione principale (tra quelle secondarie c’è la pigrizia): il teatro non mi piace e non lo capisco.
L’altra sera, per un motivo che con il teatro aveva ben poco a che fare, sono andato a vedere uno spettacolo, di autore contemporaneo, in un piccolo teatro di Trastevere. E ho capito che cosa mi urta – anche più delle voci impostate, della mimica esagerata (il che potrebbe essere ascritto a carenze degli attori), della improbabilità dei dialoghi (il che potrebbe essere ascritto alla pochezza degli autori).
Insomma, per tutto il tempo, il protagonista si è lamentato del caldo, a parole, asciugandosi la fronte con un fazzoletto (credevo di essere rimasto l’ultimo sulla faccia della terra a usare i fazzoletti di lino), passandosi il dito tra collo e colletto della camicia (peraltro sbottonato). Indossava una camicia e sopra un gilet di lana senza maniche, di quelli con i disegni a rombi. “Ma se hai caldo, toglitelo”, pensavo io. Chiunque di noi l’avrebbe fatto, in una situazione non teatrale. Avrei voluto gridarglielo.
[Non sono così stupido o così ingenuo da non capire che l’autore, il regista e l’autore volevano usare il caldo come metafora di una situazione soffocante sotto il profilo psicologico. E so anche che il teatro non è necessariamente naturalistico, che si sono versati fiumi d’inchiostro sullo straniamento e tutta quella roba lì. Ma insomma: prima sfilati quel gilet e poi parliamo dei tuoi guai.]