Festa della Repubblica e parata militare

È partita dalla blogosfera (o facebook-sfera, non so) ed è poi stata raccolta da alcuni partiti la proposta di non fare la sfilata militare celebrativa del 2 giugno a via dei Fori imperiali a Roma. Quasi subito, il Quirinale ha detto che la sfilata ci sarà, ma sarà sobria. Ecco la dichiarazione ufficiale (che trovate qui):

“Le celebrazioni del 2 giugno per rafforzare la fermezza e la fiducia con cui affrontare problemi di oggi e di domani, a cominciare da quelli del terremoto”

Il Presidente della Repubblica ha ricevuto il Presidente del Senato, il Presidente della Camera dei Deputati e il Presidente del Consiglio per un ampio informale scambio di opinioni su problemi di comune interesse e urgenza istituzionale: in primo luogo quelli connessi alla condizione dei territori e delle popolazioni dell’Emilia su cui si è abbattuto un violento e distruttivo evento sismico, e relativi all’esigenza del massimo impegno delle forze dello Stato e della più ampia solidarietà nazionale per un’efficace risposta a bisogni acuti di assistenza e a prospettive di rapida ricostruzione. Tale impegno e solidarietà avrà modo di esprimersi ancora in occasione delle imminenti celebrazioni dell’anniversario della nascita della Repubblica.

Le tradizionali celebrazioni saranno improntate a criteri di particolare funzionalità e sobrietà, sia per i limiti entro cui si svolgerà la rassegna militare, sia per i caratteri che assumerà l’incontro in Quirinale con i rappresentanti del Corpo Diplomatico, di tutte le istituzioni e di significative espressioni della società civile. […]

Già prima di lasciare Pordenone, anticipando il rientro a Roma per il confronto istituzionale, il Presidente Napolitano aveva sottolineato perché la Repubblica non possa rinunciare a celebrare l’anniversario della sua nascita: “Credo che anche in questo momento la Repubblica, lo Stato e le Istituzioni debbono dare prova di fermezza e di serenità : non possiamo soltanto piangerci addosso. Una cosa è abbracciare le famiglie che piangono per i loro lutti; altra cosa è piangerci addosso come italiani e come istituzioni. Questo non possiamo farlo: abbiamo il dovere di dare un messaggio di fiducia, e ci sono le ragioni per poter dare questo messaggio di fiducia”. […]

Con tutto il rispetto e la deferenza, mi permetto di fare 2 osservazioni.

La prima è di carattere generale, e vuol essere un invito a riflettere sul significato del binomio Festa della Repubblica e parata militare. L’istituzione della Repubblica può essere celebrata in molti modi, e la parata militare non è certo l’unico. Peraltro, la forma repubblicana fu scelta per pacifico e democratico referendum popolare, e non propiziato da una sollevazione del popolo in armi (come fu in Francia per il 14 luglio 1789) o, peggio, imposta da un putsch militare. Questo basterebbe a rendere la scelta di incentrare le celebrazioni su una imponente sfilata di uomini e mezzi sull’ex-via dell’Impero piuttosto curiosa. A meno che – come spesso accade nei tortuosi ma non del tutto incomprensibili meandri della politica – la scelta non sia stata a suo tempo motivata dalla necessità di cooptare le forze armate (tradizionalmente fedeli alla monarchia savoiarda) alle neonate istituzioni repubblicane.

2 giugno

wikipedia.org

Resta il fatto che, personalmente, l’idea della parata militare mi sembra inopportuna, oltre che ripugnante, quando la Costituzione repubblicana afferma con palmare chiarezza il ripudio della guerra:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. [articolo 11]

A conclusione di questa prima osservazione, mi sembra condivisibile il punto di vista presentato da un altro blogger, metilparaben, nel suo post del 30 maggio 2012:

Bellezza e necessità

Dice: la guerra non è una cosa bella, ma a volte è necessaria.
Sarà.
Sta di fatto, però, che al mondo ci sono un sacco di cose non belle, eppure necessarie: ma il fatto che siano necessarie pur non essendo belle non implica la necessità di farle sfilare in parata per la gioia di grandi e piccini, spendendo soldi e impiegando risorse per organizzare lo spettacolo.
Gli eserciti sono stati inventati per fare la guerra: e quindi, anche se servono a fare una cosa brutta, possono essere necessari.
iò non giustifica il fatto che sfilino in parata: anzi, credo che sborsare fior di quattrini per farli sfilare in parata sia un’alzata d’ingegno insensata.
Altrimenti finisce che a forza di applaudirli qualcuno si confonde, e finisce per pensare che la guerra, oltre a poter essere necessaria, è pure una cosa bella.
Tutto qua.

La seconda osservazione è di carattere storico. Stanno provando a farci credere (ahimè, anche il Quirinale, e un bel po’ di organi d’informazione e di forze politiche, anche di sinistra o sedicenti tali) che la sfilata militare del 2 giugno c’è sempre stata e che sospenderla quest’anno sarebbe un insidioso precedente. Per nostra fortuna, l’agenzia giornalistica AGI racconta (anche se in modo un po’ confuso, che potete andare a leggere qui, “la tormentata storia della parata militare“). Provo a semplificare e a mettere in ordine cronologico, avvalendomi anche di wikipedia.

  • La prima parata si tenne il 2 giugno 1948 su via dei Fori imperiali.
  • Nel 1949, con l’ingresso dell’Italia nella NATO, si svolsero 10 sfilate in altrettante città d’Italia.
  • Nel 1950 la parata fu inserita per la prima volta nel protocollo delle celebrazioni ufficiali.
  • Nel 1963, papa Giovanni XXIII sta malissimo (morirà il 3 giugno) e la sfilata viene sospesa.
  • Nel 1976 – come ormai sanno anche i sassi – viene sospesa dal Ministro della difesa Arnaldo Forlani “a seguito della grave sciagura del Friuli e per far sì che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali.”
  • Nel 1977 (egge 5 marzo 1977, n.54), soprattutto a causa della congiuntura economica sfavorevole, la Festa della Repubblica è spostata alla prima domenica di giugno (data in cui, curiosamente, durante la monarchia si celebrava la festa nazionale dello Statuto albertino) e una sobria celebrazione delle Forze armate si svolge a piazza Venezia.
  • Nel 1978, nel suo discorso d’insediamento al Quirinale, Sandro Pertini pronuncia l’ormai celebre frase: “L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire.”
  • Dal 1983, però, le sfilate riprendono, in tono minore e non su via dei Fori imperiali (salvo che nel 1984).
  • Nel 1989 La parata militare è sostituita da una Mostra Storico Rievocativa in Piazza di Siena.
  • Nel 1990 e 1991 si torna a Piazza Venezia.
  • Nel 1991, nuova sospensione.
  • Nel 1992 il neo-eletto Oscar Luigi Scalfaro assiste alla sfilata su via dei Fori imperiali (ma senza cingolati per proteggere i monumenti: l’Italia ipocrita è anche questa!).
  • Ma poi è lo stesso Scalfaro a fermare la parata, sostituita dall’apertura alla popolazione dei giardini del Quirinale.
  • Nel 2001, il presidente Carlo Azeglio Ciampi la ripristina.

Nel 1976 Ugo Tognazzi è un tragicomico “generale in ritirata”.

… e adesso è ora che io vada …

Gerontocrazia: il decalogo anti-Pagliaccio | Solferino 28 anni

Solferino 28/anni ospita un’altra testimonianza esclusiva di giovane scrittore italiano. Dopo Giusi Marchetta e il suo Tutto il niente che rimane, tocca ad Alcìde Pierantozzi confrontarsi con il disagio generazionale. In maniera ironica e “sovversiva”. Nato a San Benedetto del Tronto nel 1985, Alcìde vive a Milano. Ha pubblicato i romanzi Uno in diviso (Hacca, 2006) e L’uomo e il suo amore (Rizzoli, 2008). Ecco qua i suoi Dieci consigli per evitare il Pagliaccio. Buona lettura.

Alcide Pierantozzi

vivimilano.corriere.it

Gerontocrazia: il decalogo anti-Pagliaccio | Solferino 28 anni

Dieci consigli per evitare il Pagliaccio

«It di Stefano King! It di Stefano King! Me lo compri, nonno?».

Non parlavo ancora l’italiano, tantomeno l’inglese, ma sapevo che in quel volume dalla copertina grigiastra, il cui titolo spiccava per un rosso particolarmente acceso, si nascondeva qualcosa di… come dire? Sì, qualcosa di molto “mio”. Non era un’impressione inesatta, era la stessa che avrebbe avuto un qualsiasi ragazzino cresciuto negli anni ’90, per sempre provato dalla faccia del raccapricciante pagliaccio. Nel film per la tv che ne aveva tratto un certo Tommy Lee Wallace, e che nessuno della mia età riuscì a guardare fino alla fine, un gruppo di adolescenti molto affiatati nel dare la caccia al mostro (o, ben più probabile, nell’evitarlo) lasciava presagire uno sfondo romantico. Uno sfondo “nostro”.

Insomma, voi ve lo ricordate che fine faceva il Pagliaccio? Anzi, il Mostro? Ecco, più che stendere l’elenco dei problemi che riguardano la mia generazione (alla quale questo film, e il celebre libro da cui è tratto, fece da déjà vu), preferirei compilare un catalogo di tipo sovversivo. I miei sono solo i consigli di chi, in un modo o nell’altro, si è ritrovato molto presto ad avere il Pagliaccio davanti, a volte nelle vesti di un professore, altre in quelle di un editore, altre ancora di un amico; molto spesso si è trattato di un Pagliaccio gerontosauro. Sono dieci suggerimenti che ho appuntato con schietto linguaggio campagnolo. Ecco a voi.

Caro amico,

  1. Fidati solo delle persone che stimi. Avere un immediato ritorno economico non è fondamentale, ammesso che il tuo tempo sia a disposizione di un maestro, e non di un Pagliaccio. Se credi che stare alle dipendenze di un Pagliaccio prima o poi ti gioverà, facendoti salire di grado, allora sei destinato a fallire. Sarai un servo a vita.
  2. Tratta male il Pagliaccio che non ti rispetta. Mettigli i bastoni tra le ruote. Umilialo davanti a tutti. Cariche di potere enormi spesso sono gestite da Pagliacci che se la fanno sotto dalla paura. Approfittane.
  3. Mostra al Pagliaccio la tua cultura. La cultura è l’unica cosa che spaventa il Pagliaccio. Ricordati che il 90% dei Pagliacci con cui ti ritroverai a che fare ne sa meno di te. Se senti di non essere rispettato, umiliali con la tua cultura. Ricorda loro che devono cambiare mestiere, che non li vuoi lì dove sono.
  4. Non aspettarti che una mano santa scenda dall’alto e venga a pescarti dal tuo squallido monolocale. Lavora con il massimo impegno e alza il telefono, chiama direttamente le persone con cui vuoi lavorare e, senza troppi giri di parole, chiedi un incontro.
  5. Scarica tutti i film che vuoi guardare, e guardali. Ruba tutti i libri di cui hai bisogno, e leggili. Lascia i pochi soldi che hai solo per il cibo e per le sigarette.
  6. Non vergognarti di chiedere. A volte il Pagliaccio si maschera da servo, e ti dice che è il discendente di un sistema più grande, e che quindi non può fare nulla per te. Non è vero: il sistema più grande ignora l’esistenza stessa del Pagliaccio.
  7. 7vita di lavorare con chiunque faccia il proprio lavoro senza correre alcun rischio, vivendo 24 ore su 24 con l’unico obiettivo di mantenere il proprio culo al caldo. Costui è un Pagliaccio, e durerà poco. Dedica il tuo tempo solo agli ardimentosi.
  8. Se lavori nel campo della cultura, e ti ritrovi davanti un Pagliaccio che non sa dirti niente della Metafisica di Aristotele, alzati e vattene. E non dimenticarti di ridergli in faccia.
  9. Se hai inclinazioni artistiche, e credi di possedere un qualche talento, lascia perdere l’Università. Studia da solo, lasciati contaminare da tutto quello che ti circonda. Tuttavia, se hai inclinazioni culturali di altro tipo (ad esempio: traduzione, editoria, filosofia, scienza) resta nell’ambito dell’accademia. Se sei bravo, eviterai l’incontro diretto con i Pagliacci, ritrovandoti subito – e con qualche fortuna – a lavorare al grado più alto.
  10. Ricordati che sei vivo, e non lo sarai per molto. Sembrerebbe un monito alla Coelho, o una minaccia Maya, invece (e tu lo sai) è la verità.

Alcìde Pierantozzi

twitter@alciterribile

Perché il Bayern ha perso la finale di Champions’ League

Olaf Storbeck è il corrispondente da Londra dell’Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco, e l’autore (insieme a Norbert Häring) di Economics 2.0: What the Best Minds in Economics Can Teach You About Business and Life (tradotto anche in italiano: Economics 2.0).

Dopo la sconfitta subita dal Bayern di Monaco nella finale di Champions’ League contro il Chelsea ha pubblicato un articolo sul suo blog Economics IntelligenceAn economic explanation of Bayern’s failure – cercando di capire le ragioni economiche della sconfitta della squadra tedesca (e anche le ragioni della sua previsione errata: sempre ricorrendo al ragionamento economico, aveva infatti previsto, pochi giorni prima, la vittoria del team bavarese – The Economics of Success – Why Bayern Munich will beat Chelsea).

La prima previsione era stata basata su una stima della forza relativa delle due squadre: il valore di mercato dei giocatori del Bayern era circa del 30% superiore a quello del Chelsea (291 contro 203 milioni di euro). La metodologia in questione era già stata adottata con successo dal think-tank tedesco DIW, che in questo modo aveva previsto i vincitori degli Europei del 2008 e dei Mondiali del 2006 e del 2010.

Penalty

wikipedia.org

Il pensiero economico, per fortuna, ha più di una freccia nella sua faretra. Oltre a spiegare perché il Bayern avrebbe dovuto vincere, può spiegare anche perché abbia perso.

Secondo la teoria proposta da Thomas Dohmen, un economista tedesco che insegna all’Università di Maastricht nei Paesi Bassi, il Bayern ha perso ai rigori proprio perché giocava in casa. In un suo paper del 2005 (Do Professionals Choke under Pressure?), Dohmen ha analizzato 3.619 rigori tirati tra il 1963 (1ª stagione della Bundesliga) e la stagione 2003-2004 nel massimo campionato tedesco. In media, non vengono realizzati 26 tiri dal dischetto su 100 (19 sono parati dal portiere, 7 mancano lo specchio della porta). Nella finale di coppa, il Bayern ne ha sbagliato la metà (3 sui 6 tirati, 1 nei supplementari e 5 nella “lotteria dei rigori”).

Questo, secondo Dohmen, è un problema tipico della squadra di casa, ed è particolarmente evidente nei casi in cui il rigore è tirato fuori o si stampa sui legni:  succede nel 5,6% dei casi alla squadra in trasferta, ma nel 7,5% dei rigori tirati dalla squadra che gioca in casa. In altre parole, i professionisti soccombono alle aspettative dei tifosi.

Penalty

Dohmen 2005

Argomenta Dohmen:

The evidence suggests that the social environment has an impact on the performance of individuals. In particular, players of the home team are more likely to choke. This is a very robust finding in the data. It provides evidence against the social support hypothesis, but in support of the hypothesis that positive public expectations induce choking.

E conclude:

The finding, which is consistent with the hypothesis that positive public expectations or a friendly environment induce individuals to choke, has ramifications for questions of workplace design and performance measurement. The empirical result of this paper implies, for example, that workers who might feel being observed, especially by well disposed co-workers or spectators, perform worse than they otherwise would.

Come evitare di farsi infinocchiare: un decalogo anti-bùbbole

Essere curiosi è alla base del progresso scientifico, oltre che dell’arricchimento delle conoscenze personali. Ma ha i suoi rischi. Il principale è quello di essere indotti a credere a delle bubbole. Ecco, dunque, che un po’ di sano scetticismo non guasta e che il direttore dello Skeptic Magazine, Michael Shermer, ci propone un decalogo per stabilire la credibilità di un’asserzione, senza cadere nel cinismo.

Michael Shermer

wikipedia.org

Ecco il decalogo anti-panzane:

  1. Quanto è attendibile la fonte dell’asserzione?
  2. La stessa fonte fa altre asserzioni simili?
  3. Le asserzioni sono state validate da qualcun altro?
  4. Quanto asserito concorda con quello che sappiamo di come funziona il mondo?
  5. Qualcuno ha provato a “falsificare” l’asserzione?
  6. In che direzione punta la maggior parte delle prove?
  7. Chi sostiene l’asserzione opera secondo le regole della scienza?
  8. Chi sostiene l’asserzione porta a sostegno della sua tesi delle prove positive?
  9. La nuova teoria dà conto dello stesso numero di fenomeni di cui dava conto la vecchia?
  10. L’asserzione è motivata da credenze personali?

Il video è realizzato dalla Richard Dawkins Foundation for Reason and Science e io l’ho trovato sul sempre prezioso Brain Pickings di Maria Popova: The Baloney Detection Kit: A 10-Point Checklist for Science Literacy.

Piazza della Loggia

La ferita quest’anno sanguina più che mai

Sbagliando s'impera

Stiamo ancora discettando, alla luce del film di Marco Tullio Giordana (e all’ombra del libro di Paolo Cucchiarelli), della strage di Piazza Fontana, e oggi si riapre un’altra ferita, quella della strage di Brescia del 28 maggio 1974. Una strage fascista al di là di ogni ragionevole dubbio, mi verrebbe da dire: la bomba scoppia durante una manifestazione antifascista mentre parla un sindacalista della CGIL. Nessun colpevole per la giustizia italiana (che continuo a rispettare, beninteso, come ogni bravo cittadino).

Cito da un intervento di Riccardo Venturi, che ho trovato qui ma che rinvia a un documento non facilissimo da trovare, Canzoni e stragi di Stato:

Esaurita la lunga sezione sulla strage di Piazza Fontana e sugli episodi ad essa collegati, è necessario seguire la scia di sangue di morte che, da Milano, porta alla vicina Brescia. Una strage i cui “protagonisti” sono gli stessi. Lo stesso stato…

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10 miti tecnologici da non prendere sul serio

Ti hanno mai detto – in genere è uno che si spaccia per molto più esperto e aggiornato di te – che per prolungare la vita della tua batteria devi scaricarla completamente? che è illegale modificare il telefonino, magari comprato all’estero, affinché funzioni con qualunque gestore? che è meglio aspettare la prossima generazione di processori?

Bubbole. Inutili nella migliore delle ipotesi, nella peggiore dannose per te e per i tuoi aggeggi tecnologici.

Lifehacker ha messo insieme una classifica dei miti più diffusi e persistenti. L’originale è qui: Top 10 Pervasive Tech Myths That Are Only Wasting Your Time.

  1. Aspetta a comprare il nuovo modello, il prossimo avrà un processore più potente, più RAM, un nuovo chip … Oggi le specifiche tecniche non contano poi molto. E poi c’è sempre l’annuncio di un nuovo modello che sarà meglio di quello lanciato 15 giorni fa. Compra quello che ti serve quando ti serve.
  2. La musica lossless ha una resa migliore dell’MP3. In effetti, è il bitrate che conta. Ma la differenza tra MP3 e formati lossless è impercettibile, a meno che tu non abbia un impianto super (e sto parlando di soldi veri) e di un orecchio educato e funzionante (se hai più di 30 anni, lascia perdere). Se non ci credi, puoi fare la prova tu stesso qui.
  3. I task killer sono necessari a migliorare la performance. Stiamo parlando di applicazioni che chiudono le app aperte in background: non è vero che prolungano la durata della batteria, né che migliorano le prestazioni. Ma è vero che possono danneggiare irreparabilmente le app stesse o il sistema operativo.
  4. Il jailbreaking del tuo telefono è illegale. Annulla la tua garanzia, questo sì. Ma non è illegale. Sei il proprietario dell’apparecchio e puoi farci quello che vuoi. Negli USA lo ha confermato ufficialmente il Copyright office.
  5. Chi usa il Mac non si deve preoccupare del malware. Per prima cosa non è vero: ce ne è meno per il Mac, ma gli esempi non mancano. Ma soprattutto: non è bello che soltanto perché quel virus che hai ricevuto per e-mail non ha infettato te è una cosa commendevole passarlo al malcapitato utente Windows che corrisponde con te!
  6. Comprare una garanzia estesa per il tuo nuovo aggeggio è una buona idea. In genere le garanzie estese non coprono tutto tutto tutto, e poi ci pensa la legge di Murphy a fare il resto. Fatti un piccolo fondo imprevisti da solo.
  7. Dovresti sempre far scaricare completamente le batterie. Era vero per le vecchie batterie al nickel/cadmio, che soffrivano del cosiddetto effetto memoria. Le attuali batterie agli ioni di litio non ne soffrono.
  8. Le reti wifi pubbliche, se protette da password, sono al sicuro dagli hackers. Certo, sono più sicure. Ma sono pur sempre reti pubbliche. Non si può escludere che un hacker abbia la password, magari lecitamente.. E quindi, continua a proteggerti da chi potrebbe sbirciare il tuo traffico e le tue transazioni.
  9. PeerBlock copre le tue tracce su BitTorrent. PeerBlock e software analoghi criptano il tuo traffico e quindi, nella migliore delle ipotesi, impediscono al tuo ISP di vedere che cosa stai facendo ed eventualmente di limitarti. Ma se quello che cerchi è l’anonimato, ti serve un VPN o quantomeno un proxy service come BTGuard.
  10. Il software X (inserisci a tuo piacere) migliora drammaticamente la performance del tuo computer. Uno dei miti più difficili da sradicare. In genere non fanno niente, talora peggiorano la performance. Nulla è meglio di non mettere troppe porcherie sul pc e di fare una regolare manutenzione. E ve lo dice uno che di schifezze ne installa moltissime!

Quanto è lontano nel futuro il futuro della fantascienza?

È una domanda che vi è passata spesso per la testa e cui non sapevate rispondere? Oppure è una domanda che vi sembra così oziosa che vi chiedete come qualcuno possa perderci del tempo?

A entrambe queste domante la risposta c’è. La domanda se l’è posta in un tweet del 17 aprile 2012 Tom Coates:

Detto fatto. Stephanie Fox di io9 (una rivista online che si presenta così: io9 is entertainment, science, and futuristic culture for people who want to escape the everyday) l’ha accontentato con il grafico qui sotto:

Il futuro della fantascienza

io9.com

Per prima cosa 2 ricercatori di io9, Ben Vrignon e Gordon Jackson, hanno costruito il loro dataset con un campione di 250 opere di fantascienza (libri, film, serie tv e fumetti) in lingua inglese, facilmente reperibili negli Stati Uniti e relative al periodo 1880-2010.

Le opere sono state suddivise per decenni (li vedete rappresentati nelle righe del grafico) e per “tipo di futuro” cui l’opera stessa fa riferimento. Qui è stato necessario un po’ d’arbitrio. Si è definito “futuro prossimo” (near future nel grafico) quello immaginato in un arco temporale da 0 a 50 anni dopo l’anno in cui l’opera è stata scritta; “futuro medio” (middle future) quello tra i 51 e i 500 dopo la creazione dell’opera; “futuro remoto” (far future) quello oltre i 500 anni (501 e oltre).

La classificazione è arbitraria nelle soglie temporali adottae, ma non nel criterio di fondo: il futuro prossimo è quello di opere che estrapolano il presente, riflettendo sui contenuti del presente che sono già (per così dire) fantascientifici. 2 esempi, uno dal passato e uno dal presente: 1984 di George Orwell e tutta l’opera di William Gibson, i cui ultimi romanzi sono ambientati in un futuro del dopodomani (meno di così c’è solo il presente alternativo di 1Q84 di Murakami Haruki). il futuro remoto, per contrasto, è quello in cui gli essere umani sono scomparsi e divenuti irriconoscibili per come si sono evoluti (l’esempio classico, direi, è La macchina del tempo di H. G. Wells); lo stesso vale per il pianeta Terra. Il futuro medio è, appunto, quello che sta in mezzo tra questi 2 estremi: il tempo della fantascienza classica alla Star Trek, per capirsi.

Come leggere il grafico? Nel grafico, come abbiamo detto, le righe rappresentano singoli decenni. Le 3 barre colorate rappresentano l’incidenza delle 3 tipologie di opere in ciascun decennio, posto a 100 il totale. Così, ad esempio, negli anni Ottanta del secolo XIX il 13% delle opere considerate tratta del futuro prossimo, il 52,2% nel futuro medio e il restante 34,8% nel futuro remoto.

io9 azzarda anche qualche prima lettura:

  1. Ci sono soltanto 2 decenni in cui i tre periodi (futuro prossimo, medio e remoto) sono grosso modo equivalenti: gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento: entrambi, almeno negli Stati Uniti, periodi di boom economico e di forte dinamismo sociale, che possono aver spinto l’interesse dei lettori tanto alle prospettive immediate quanto al lontano futuro delle utopie (e distopie).
  2. È curioso che entrambi i decenni considerati si siano chiusi con una recessione (la prima molto più grave, ovviamente), ma che i lettori abbiano reagito apparentemente in modo opposto, nel primo caso privilegiando il futuro remoto (gli anni Trenta detengono il record di incidenza delle storie ambientate lontano nel tempo), nel secondo all’opposto ripiegando su quello più vicino (gli anni Settanta segnano anche il minimo delle storie ambientate nel futuro remoto).
  3. In altri decenni il futuro sembra essere proprio dietro l’angolo: accade così all’inizio del Novecento e nei suoi anni Ottanta, decenni in cui le storie ambientate nel futuro prossimo sono più della metà del totale del decennio. Quello che hanno in comune questi due periodi è l’accelerazione del progresso tecnologico: i primi del Novecento sono stati gli anni della diffusione di massa del telefono, del cinema, dell’elettricità in casa e dell’automobile (la Ford modello T è del 1908). Gli anni Ottanta sono quelli del personal computer.
  4. Il futuro ha teso ad avvicinarsi (crescita sistematica della quota di storie ambientate nel futuro prossimo) per tutto il dopoguerra: verosimilmente un effetto dell’accelerazione e della pervasività del cambiamento tecnologico.
  5. A partire dagli anni Novanta si registra però un’inversione di tendenza e cresce la quota delle storie del futuro remoto, spesso post-umane. Un effetto della grande incertezza – anche economica – di questi anni e dell’insicurezza seguita, soprattutto negli Stati Uniti, all’11 settembre? Risorge la tentazione di rifugiarsi nel futuro remoto, un surrogato secolare dell’aldilà, come prospettiva consolatoria?

L’articolo di io9 è qui: A Chart that Reveals How Science Fiction Futures Changed Over Time.

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L’aquila con il coltello: Hitchcock e Jannacci avevano ragione

Non è un fotomontaggio. Almeno così ci assicura il Daily Mail.

Il fotografo olandese Han Bouwmeester, a Västerbotten in Svezia per un reportage fotografico sulle aquile, aveva usato il coltello per preparare dei pezzi di carne come esca. Il coltello – dimenticato a terra dal fotografo (eppure la mamma glielo diceva sempre che chi è disordinato si mette nei guai) – si è dimostrato per l’aquila un’esca più attraente della carne. Doveva aver sentito famoso apologo del pesce e della canna da pesca: aiuti più una persona insegnandogli a pescare che non fornendogli ogni tanto un pesce da mangiare.

Golden eagles: Picture shows bird of prey soaring away clutching a KNIFE | Mail Online

A forgetful photographer had the shock of his life when this soaring golden eagle made off with his knife.

Dutch snapper Han Bouwmeester had been using the utensil, in Västerbotten, Sweden, to carve up chunks of meat in a bid to attract the birds of prey.

But, busy with the task in hand, the wildlife aficionado clumsily dropped it in the snow.

L'aquila e il coltello

dailymail.co.uk

Il coltello

dailymail.co.uk

Hitchcock aveva ragione:

E anche Enzo Jannacci, naturalmente (qui in una versione aggiornata nelle immagini rispetto a quella che ho già messo altrove):

Kitty Ferguson – The Music of Pythagoras

Ferguson, Kitty (2008). The Music of Pythagoras: How an Ancient Brotherhood Cracked the Code of the Universe and Lit the Path from Antiquity to Outer Space. New York: Walker & Company. 2008. ISBN 9780802716316. Pagine 384. 31,91 €

The Music of Pythagoras

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Mi accorgo che da qualche tempo sembrano prevalere, nelle mie recensioni e dunque nel mio apprezzamento dei libri che leggo, gli aspetti negativi su quelli positivi. Ci tengo, invece, a dare di me l’immagine di un inveterato ottimista, invece che di un pedante criticone: antepongo quindi gli aspetti positivi di questo libro su quelli negativi.

La sovraccoperta, che vedete qui sopra, è bellissima e raffinatissima.

Il testo è chiaro e comprensibile.

Adesso le critiche: di Pitagora non si sa quasi nulla. Questa circostanza rende tutta la prima parte del libro – 100 pagine a essere generosi, anche di più se vogliamo aggiungere che si sa ben poco anche dei pitagorici e che con questo ci si spinge fino all’epoca romana – del tutto congetturale e un po’ inane. Insomma, non c’è semplicemente abbastanza materiale per tentare di scrivere una biografia di Pitagora (ed è qui che i tentativi di Kitty Ferguson, che vanno avanti per pagine, fanno venire la tentazione di mollare il libro). E sui primi pitagorici non andiamo molto meglio.

Il resto del volume è dedicato alle influenze di Pitagora sul pensiero medievale, moderno e contemporaneo. E qui sorge un secondo problema: data tutta l’incertezza sulla figura storica di Pitagora, che non ha scritto nemmeno un rigo e di cui è dubbia persino l’esistenza, quasi tutto quello che sappiamo di lui e delle sue dottrine è filtrato da Platone e dal platonismo. E dunque è abbastanza difficile separare l’influsso del pitagorismo da quello del platonismo e del neoplatonismo. A me – ma sarò certamente un sempliciotto – basta e avanza leggere la storia della filosofia e della scienza come percorsa dalle correnti sotterranee dell’aristotelismo (nelle sue diverse incarnazioni) e del platonismo (nelle sue diverse incarnazioni). Se poi Platone sia più figlio di Pitagora che di Socrate mi sembra una questione relativamente poco interessante.

Dev’essere colpa di Raffaello.

Platone e Aristotele

wikipedia.org

Oppure di quello che non si studia negli Stati Uniti.

La scuola di Atene

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Occorre ammettere, però, che Kitty Ferguson è consapevole del problema, anche se lo liquida con poco più di una battuta:

When the members of Plato’s Academy before and after his death in 348/347 B. C. thought about Pythagoras and called themselves Pythagorean, they had in mind mainly Pythagoras as seen through Plato’s eyes. However, to say that Pythagoras was reinvented as a “late Platonist,” as some scholars insist, is to be too glib and overconfident about where to draw the lines between original Pythagorean thought, Pythagorean thought shortly after Pythagoras’ death, Archytas, Plato, and Plato’s pupils, some of whom attributed their own ideas to more ancient Pythagoreans and even to Pythagoras. As time passed, the line between Platonism and what called itself Pythagorean became increasingly difficult to discern. Eventually the two were indistinguishable. [pp. 145-146]

D’altro canto, la tesi che tutto quello che di Platone non ci piace venga da Pitagora era già stata esposta da Bertrand Russell nella sua Storia della filosofia occidentale e Kitty Ferguson ne è ben consapevole:

Vehemently rejecting the idea that humans have any grounds for discussion of an ideal world beyond what can be extrapolated in a reasonable manner from what we experience with our five senses, Russell was convinced that “what appears as Platonism is, when analyzed, found to be in essence Pythagoreanism.” It was from Pythagoras that Plato got the “Orphic element” in his philosophy, “the religious trend, the belief in immortality, the other-worldliness, the priestly tone, all that is involved in the simile of the cave, his respect for mathematics, and his intimate intermingling of intellect and mysticism.” Russell blamed  Pythagoras for what he saw as Plato’s view that the realm of mathematics was a realm that was an ideal, of which everyday, sense-based, empirical experience would always fall short. [p. 298]

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Qualche citazione.

The music interval of the octave was the “first consonance,” which Philolaus identified by the name harmonia. The “second consonance” was the interval of a fifth; the next was the interval of a fourth. Add the four nu,mbers in these ratios (1, 2, 3, 4) and the result is 10, the perfect number.
The numbers 1, 2, 3, and 4 had additional significance for Philolaus. They underly the progression from point to line to surface to solid. [p. 107]

[a p. 239 si cita un passe del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti tradotta in inglese, ma io – traduzione per traduzione – vi propongo quella in italiano di Cosimo Bartoli]
Certamente io sempre più mi confermo nell’opinione di Pittagora, che la natura sia simile a se stessa in tutte le sue cose. Diffatti quei medesimi numeri, per i quali avviene che il concento delle voci apparisca gratissimo agli orecchi degli uomini, sono quelli stessi che empiono anche e gli occhi, e l’animo di piacere maraviglioso. Caveremo adunque tutta la regola del finimento dai musici, a cui perfettissimamente sono noti questi tali numeri; e da quelle cose inoltre, nelle quali la natura dimostri di se alcuna cosa degna ed onorata. [p. 450 dell’edizione facsimile in .pdf che si scarica qui]

Kepler combined the intervals into two kinds of musical scales. One had a major third and sixth in it and was the durus scale, close to what we call the major scale. (The major scale beginning on C, for example, includes the intervals C to E and C to A.) The other, with a minor third and sixth, was called the mollis scale, close to what we call the minor. (The minor scale beginning on C, for example, includes the intervals C to E flat and C to A flat.) Likewise, chords based on major thirds and sixths were durus; chords based on major thirds and sixths were mollis. [In German, dur in music still means “major”; moll is “minor”: nota a piè di pagina dell’autrice] It requires no musical training to hear the difference between the two scales or chords and experience the emotional effect of this difference: the durus (major) is happy and the mollis (minor) sad. [pp. 268-269. L’esposizione di Kitty Ferguson lascia con l’impressione che sia stato Keplero a introdurre la terminologia durus/mollis, ma a me non risulta così; mi propongo di approfondire]

As Kepler calculated it, two-note harmonies of this sort occur almost every day, and Mercury, Earth, and Mars even sing three-part harmony fairly often. Venus, with so little eccentricity to its orbit, hardly varies its pitch at all, making it a sort of Johnny One-Note in the choir. If there is to be harmony with Venus, it must be when another planet slides into harmony with her, not the other way around. Four-note harmonies occur either because Mercury, Earth, and Mars are in adjustment with Venus’ monotone, or because they have waited long enough for the slow-changing bass voice of Jupiter of Saturn to ease into the right note. “Harmonies of four planets, ” wrote Kepler, “begin to spread out among the centuries; those of five planets, among myriad of years.” As for the harmony among all six planets – that grand and greatest “universal harmony” – the chord would be huge, spanning more than seven octaves. (You could not play it on most modern pianos. You would need an organ.) Kepler thought it might be possible for it to occur in the heavens only once in the entire history of the universe. Perhaps one might determine the moment of creation by calculating the past moment when all six planets joined in harmony. Kepler thought about the words of Job to Job: “Where were you when I laid the Earth’s foundation … when the morning stars sang together?” [p. 272. L’influenza di questo pensiero kepleriano – e pitagorico – conserva importanza, se non nelle scienze, almeno nella letteratura e delle arti: è uno dei temi sotterranei di Anathem di Neil Stephenson, e naturalmente del progetto Clock of the Long Now di Danny Hillis e della musica che ha ispirato a Brian Eno, January 07003: Bell Studies for the Clock of the Long Now]

The Catholic church, for centuries the guardian and bastion of learning, had turned foolish to the point of malign senility and condemned herself and Italy – the ancient home of Pythagoras – to what was virtually a new scientific dark age. The center of scientific endeavor and achievement moved, irretrievably, to northern Europe and England. [p. 278]

Masons, illuminists, and intellectual revolutionaries associated Pythagoras with prime numbers, though there had been no suggestion in antiquity of such a link. Great significance was attached to what were believed to have been the central prime numbers of Pythagorean mysticism: 1, 3, 5, and 7. […] In a moment of leftist paranoia about a possible Jesuit plot for a secret takeover of Masonry, there was a suggestion that 17 was the number needed to understand the Jesuit plan. A rightist pamphleteer turned that idea around and proceeded, ingeniously, to show how all of revolutionary history derived from the number 17. [p. 289]

Powers & Duncan – The Werewolf’s Guide to Life: A Manual for the Newly Bitten

Powers, Bob & Ritch Duncan (2009). The Werewolf’s Guide to Life: A Manual for the Newly Bitten. New York: Crown Publishing. 2009. ISBN 9780307589408. Pagine 256. 12.64$

The Werewolf's Guide to Life: A Manual for the Newly Bitten

waterstones.com

Dietro questo libro c’è una sola idea – carina, ma una sola. Troppo poco per tirarla in lungo per 256 pagine.

L’idea è quella di trattare la licantropia come una condizione clinica o psicologica, e scriverci su una parodia dei manuali di self-help che affollano le librerie. Un’idea divertente per le prime 10 pagine. Via, le prime 20.

Non varrebbe nemmeno la pena di recensirlo se non fosse per un morboso particolare: alle 9 di sera del 6 novembre 2011 la polizia di Milwaukee (Wisconsin, USA), cui era stato segnalato un caso di accoltellamento, ha trovato all’incrocio di 2 strade di un quartiere residenziale un ragazzo di 18 anni sanguinante per oltre 300 ferite da taglio. Il ragazzo raccontava agli agenti di essere venuto in corriera da Phoenix (Arizona) per incontrare una ragazza conosciuta online, ma che dopo essersi recato al suo appartamento era stato legato e ferito per un paio di giorni.

Mentre il ragazzo veniva ricoverato in ospedale, gli astuti agenti seguivano le tracce di sangue fino alla porta di un appartamento, che trovavano aperto e con molte altre tracce di sangue sul pavimento e su un letto, dove era evidente anche un rudimentale sistema di detenzione a base di nastro adesivo (that’s America for you, where duct tape is really tough!).

Gli agenti erano ancora nell’appartamento quando si avvicinava una giovane donna e diceva: «Immagino stiate cercando me». Identificata per Rebecca Chandler, 22 anni, la ragazza dichiarava di essersi intrattenuta sessualmente con il ragazzo, che il bondage e il tagliuzzamento erano consensuali ma che la situazione era sfuggita di mano. Raccontava anche, in una deposizione giurata, di condividere l’appartamento con una certa Scarlett, che aveva partecipato ai giochi erotici, era responsabile della maggior parte delle ferite e forse coinvolta in pratiche sataniche.

Nell’appartamento c’erano soltanto 2 libri, The Necromantic Ritual Book e The Werewolf’s Guide to Life (persino la polizia di Milwaukee si è accorta trattarsi di un libro umoristico, ma questo non ha impedito alla stampa di sollevare un polverone sull’effetto nefasto che libri siffatti possono avere su menti impreparate).

The Necromantic Ritual Book

thesmokinggun.com

Scarlett si è poi rivelata essere Raven Larrabee, di 20 anni. Qui sotto le foto segnaletiche delle 2 “streghe”.

Chandler e Raven

thesmokinggun.com

La storia è raccontata qui (e c’è anche la copia dell’affidavit del poliziotto che ha scoperto il fattaccio).

Su facebook si trova anche l’autodifesa (?!) di Raven Larrabee alias Scarlett alias Wolf Shepard che ammette che The Werewolf’s Guide to Life è una parodia e non un vero manuale!

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Nonostante tutto, qualche citazione, se non altro per darvi l’idea del genere di humour. Il riferimento è come di consueto alle posizioni sul Kindle:

TOP 10 WORST PLACES TO BE DURING A MOON
10. In a movie theatre
9. On a commercial passenger flight
8. Driving
7. Hosting a children’s sleepover
6. On a military base
5. In jail
4. In a hospital
3. In a mall
2. On a cruise
1. Piccadilly Circus or Times Square [1237]

Werewolves have been accused of a great many things over the centuries, but never of being picky eaters. [1401]

Here are some sample first lines to break the ice on this very touchy conversation:
1. You know how all my hair grew back? It wasn’t the Rogaine.
2. Remember when you confessed that you only floss when you know you have a dentist appointment coming up? Well, I have a confession too.
3. I have six months to live. Kidding! I’m just a werewolf.
4. You know how I said that I volunteered to be a Cub Scout troop leader even though we don’t have any kids, and every month I have to take the troop on a three-day camping trip? Well, that wasn’t entirely the truth.
5. I have good news and bad news. The good news is I’m not a vampire. [1628]

For every objectionable, repulsive, or dangerous activity imaginable, there is someone out there who’s into it. The more irresponsible the behavior, the stronger some will try to embrace that behavior. It is hard to imagine that anyone would ever actually try to become a werewolf, but believe it or not, there are those out there who are into it. [2441]