Io ho scovato il passo in cui Plutarco ne parla, e ne sono abbastanza orgoglioso: è nella sua opera Moralia, al paragrafo 29. del capitolo 20, Questioni romane. Cito dall’edizione curata da Emanuele Lelli e Giuliano Pisani per l’editore Bompiani (Tutti i Moralia, 2017):
Perché non consentono che la sposa varchi da sola la soglia della casa, ma gli accompagnatori la prendono in braccio? Forse perché così portarono in casa le prime mogli, dopo averle rapite, mentre esse non entrarono da sole? o vogliono mostrare che entrano costrette, e non volontariamente, dove sono destinate a perdere la verginità? o è un simbolo del non uscire e non lasciare la casa da sola, se non fosse costretta, così come costretta è entrata?
Per quanto pittoresco sia il riferimento al Ratto delle sabine nella prima ipotesi, dalle altre due emerge chiaramente una concezione patriarcale del matrimonio, né poteva essere diversamente nella cultura romana e anche in quella ellenistica di Plutarco. Non si può certo giudicare il passo alla luce delle sensibilità (e suscettibilità) di oggi.
A me – però – sembra molto più poetica e curiosa la spiegazione che ne dà Svetlana Aleksievič (Nobel per la letteratura 2015) nel suo Tempo di seconda mano:
Lo sposo porta la sposa tra le braccia come fosse un bambino per non farsi accorgere dallo spirito della casa. Il domovoj non ama gli estranei, li scaccia. È lui il padrone della casa, bisogna piacergli. A-a-ah… (posizione Kindle 1493)
Ivan Jakovlevič Bilibin, Public domain, attraverso Wikimedia Commons
Il domovoj è nella mitologia slava una creatura maschile, spesso di piccola taglia e coperta di peli, che alligna tra le mura domestiche e protegge l’unità familiare. In quanto nume tutelare, il domovoj era tenuto in grande considerazione dagli abitanti della casa e trattato con ogni riguardo (https://it.wikipedia.org/wiki/Domovoj).
Abū ʿAlī al-Ḥusayn ibn ʿAbd Allāh ibn Sīnā, più noto in Occidente come Avicenna, iraniano, attivo a cavallo dell’anno Mille, è stato il più famoso medico dell’epoca d’oro dell’Islam, oltre che chimico, fisico, astronomo, filosofo e studioso di Aristotele. Dante lo celebra nella Divina Commedia (Inferno, canto IV, v. 143), collocandolo nel Limbo tra gli spiriti magni, e in particolare tra i filosofi (presieduti da Aristotele).
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, vidi ’l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’ïo Socrate e Platone, che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
Democrito che ’l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo, Tulïo e Lino e Seneca morale;
Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galïeno, Averoìs che ’l gran comento feo.
Unknown authorUnknown author, Public domain, via Wikimedia Commons
Avicenna morì nel 1037, a meno di sessant’anni, abbastanza malamente. Lo racconta un testo curioso, che trovo citato in Curiosity di Philip Ball (qui la mia recensione: https://borislimpopo.com/2013/11/21/philip-ball-curiosity-how-science-became-interested-in-everything/): il Musaeum clausum o Bibliotheca abscondita, pubblicato postumo da Sir Thomas Browne nel 1684. Il testo è una presa in giro degli antiquari che – senza alcuna conoscenza scientifica e con una buona dose di dabbenaggine – raccattavano qua e là oggetti strani, testimonianze di prodigi, reliquie di dubbia provenienza e libri antichi contraffatti. Lo stesso Athanasius Kircher, il grande gesuita tedesco, aveva allestito al Collegio romano una Wunderkammer – il nòcciolo originario del Museo kircheriano, considerato il primo al mondo (1651) – dove esponeva una testa parlante e una macchina per il moto perpetuo. Altri autori presero in giro la stessa mania, primo tra tutti (e ben prima di Browne) François Rabelais con la lista di libri inventati, con titoli tra il buffo e l’osceno, che occupa pagine e pagine del Capitolo VII del libro di Pantagruele. Il tutto sembra un’invenzione di Jorge Luis Borges, cui si attribuisce la frase: “Scrivere grandi libri è una faticosa assurdità; molto meglio è offrirne un riassunto come se quei libri esistessero davvero”.
Nell’elenco di Browne, accanto a rarità come “una pelle di serpente generato dal midollo spinale di un uomo” e “un grande uovo di struzzo, sul quale è dettagliatamente rappresentata la famosa battaglia di Alcazar, dove persero la vita tre re”, si cita tra i libri rari e sconosciuti “An exact account of the Life and Death of Avicenna confirming the account of his Death by taking nine Clysters together in a fit of the Colick” (Un resoconto esatto della vita e della morte di Avicenna, che conferma il resoconto della sua morte per aver preso nove clisteri contemporaneamente durante una colica intestinale).
Una solenne panzana, direte voi. E invece la notizia è confermata dall’autorevole Encyclopedia Britannica, in un articolo a firma di Michael Flannery, Professor and Associate Director for Historical Collections, University of Alabama at Birmingham:
While in the company of ʿAlā al-Dawlah, Avicenna fell ill with colic. He treated himself by employing the heroic measure of eight self-administered celery-seed enemas in one day. However, the preparation was either inadvertently or intentionally altered by an attendant to include five measures of active ingredient instead of the prescribed two. That caused ulceration of the intestines. Following up with mithridate (a mild opium remedy attributed to Mithradates VI Eupator, king of Pontus [120–63 BCE]), a slave attempted to poison Avicenna by surreptitiously adding a surfeit of opium. Weakened but indefatigable, he accompanied ʿAlā al-Dawlah on his march to Hamadan. On the way he took a severe turn for the worse, lingered for a while, and died in the holy month of Ramadan.
Mentre era in compagnia di ʿAlā al-Dawlah, Avicenna si ammalò di coliche. Si curò impiegando la misura eroica di otto clisteri di semi di sedano autosomministrati in un giorno. Tuttavia, la preparazione fu inavvertitamente o intenzionalmente alterata da un assistente, che vi mise cinque misure dell’ingrediente attivo invece delle due prescritte. Questo causò un’ulcerazione dell’intestino, che tentò di curare con il mitridato (un blando rimedio a base di oppio attribuito a Mitradate VI Eupatore, re del Ponto [120-63 a.C.]). Ma uno schiavo tentò di avvelenare Avicenna aggiungendo surrettiziamente una dose eccessiva di oppio. Indebolito ma instancabile, accompagnò ʿAlā al-Dawlah nella sua marcia verso Hamadan. Durante il tragitto ebbe un grave peggioramento, resistette un po’ ma poi morì nel mese sacro di Ramadan.
Insomma, l’unica inesattezza di Browne era sul numero di clisteri (soltanto otto, non nove). E Avicenna è un martire del metodo scientifico, anche se è lecito qualche dubbio sulle sue scelte terapeutiche e soprattutto sulla capacità di selezionare assistenti fidati.
Convincere e persuadere hanno significati sottilmente diversi. D’altra parte, i sinonimi perfetti non esistono, ed è per questo che – soprattutto quando si ricerca la precisione, o in ambito tecnico – è meglio ripetere un termine piuttosto che cercare un sinonimo imperfetto (o, peggio, una perifrasi). Con buona pace della vostra maestra delle elementari.
In inglese, la distinzione è molto netta, tanto che alcuni considerano un errore usare i due verbi come sinonimi.
To convince is to cause (someone) to believe firmly in the truth of something.
To persuade is to induce (someone) to do something through reasoning or argument.
Some traditionalists deplore the blurring of distinction between convince and persuade, maintaining that convince should be reserved for situations in which someone’s belief is changed but no action is taken as a result (he convinced me that he was right) while persuade should be used for situations in which action results (he persuaded me rather than he convinced me to seek more advice). [lexico.com]
In italiano, la stessa distinzione, ancorché più tenuemente, è implicita nelle definizioni del Vocabolario Treccani:
Convincere è (primariamente) “indurre uno a riconoscere una cosa, ad ammettere un fatto, vincendo con prove o con buoni argomenti ogni suo dubbio o opinione contraria” e solo in secondo luogo “anche, persuadere uno a fare o non fare una cosa, a seguire un comportamento, dimostrandone la necessità o l’opportunità”.
La maestra delle elementari aveva ragione sull’accento: persuadére, non persuàdere.
Le elucubrazioni che trovate qua e là sul web, secondo cui persuadere (che contiene la radice di soave) è più delicato di convincere (che è un composto di vincere), per cui nel marketing e nel corteggiamento è meglio persuadere che convincere, non mi sembrano molto fondate: in entrambi i casi si cerca di indurre un comportamento, non di cambiare un’opinione…
Molti sanno che a 22 anni Charles Darwin fece il giro del mondo a bordo di un brigantino della Marina militare inglese, l’HMS Beagle. Non fu esattamente un anno sabbatico: Darwin, di buona famiglia borghese, si era già laureato a Cambridge e fu prescelto come naturalista di bordo per quella che era a tutti gli effetti una spedizione di esplorazione scientifica. Durante il viaggio – durato cinque anni e documentato da Darwin nel suo TheVoyage of the Beagle, pubblicato nel 1939 (nella collana I Millenni di Einaudi c’è la bella traduzione di Mario Magistretti, intitolata Viaggio di un naturalista intorno al mondo) – Darwin sviluppò le prime idee sull’evoluzione.
Comandante della nave era il capitano Robert FitzRoy, che aveva solo qualche anno più di Darwin. Di ritorno dal viaggio, FitzRoy fece una bella carriera: fu deputato e anche governatore della Nuova Zelanda. Nel 1850 si ritirò da servizio attivo e divenne membro della Royal Society.
Hemus, Charles 1849?-1925, Public domain, attraverso Wikimedia Commons
Nel 1854 fu nominato capo di una struttura di nuova istituzione, che sarebbe poi diventato l’Ufficio meteorologico. Aveva tre collaboratori. Perfezionò le tecniche di previsione basate su strumenti e dati scientifici, stabilì una rete di 15 osservatori collegati con il telegrafo e inventò il termine “previsioni del tempo” (weather forecast).
Nel 1861 The Times iniziò a pubblicare quotidianamente le previsioni preparate dall’ufficio di FitzRoy. Nasceva ufficialmente l’ossessione britannica per il tempo.