31 dicembre – Anthony Hopkins

Compie oggi 70 anni.

Lo festeggiamo con la sua interpretazione più nota, quella di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti. Le battute sono di quelle indimenticabili: “Well, Clarice – have the lambs stopped screaming?” – “I do wish we could chat longer, but… I’m having an old friend for dinner. Bye.”

Per deformazione professionale, trovo anche fantastico il trattamento riservato da Hannibal Lecter a uno sfortunato rilevatore del censimento: “A census taker once tried to test me. I ate his liver with some fava beans and a nice chianti“. Chissà se era il censimento italiano…

Le sue diaboliche capacità d’interprete sono (in)verosimilmente una conseguenza dell’essere nato nei 12 giorni di Natale – oltre che per il fatto di discendere alla lontana, per parte di madre, dal poeta e visionario W. B. Yeats. Ma questa è tutta un’altra storia, che racconto qui sotto.

I 12 giorni di Natale

I 12 giorni di Natale sono il fossile di un problema di calendario. Sono i giorni intercalari che servivano a riallineare il calendario lunare a quello solare. Per questo sono giorno magici, e in alcune culture popolari si credeva che i bambini nati in quei giorni avessero poteri soprannaturali: streghe e benandanti

On the first day of Christmas,
my true love sent to me
A partridge in a pear tree.

On the second day of Christmas,
my true love sent to me
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the third day of Christmas,
my true love sent to me
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the fourth day of Christmas,
my true love sent to me
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the fifth day of Christmas,
my true love sent to me
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the sixth day of Christmas,
my true love sent to me
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the seventh day of Christmas,
my true love sent to me
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the eighth day of Christmas,
my true love sent to me
Eight maids a-milking,
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the ninth day of Christmas,
my true love sent to me
Nine ladies dancing,
Eight maids a-milking,
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the tenth day of Christmas,
my true love sent to me
Ten lords a-leaping,
Nine ladies dancing,
Eight maids a-milking,
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the eleventh day of Christmas,
my true love sent to me
Eleven pipers piping,
Ten lords a-leaping,
Nine ladies dancing,
Eight maids a-milking,
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree.

On the twelfth day of Christmas,
my true love sent to me
Twelve drummers drumming,
Eleven pipers piping,
Ten lords a-leaping,
Nine ladies dancing,
Eight maids a-milking,
Seven swans a-swimming,
Six geese a-laying,
Five golden rings,
Four calling birds,
Three French hens,
Two turtle doves,
And a partridge in a pear tree!

Naturalmente, con un po’ di sforzo un buon esegeta cristiano può trovarci un sacco di significati simbolici!

Religious symbolism of The 12 Days of Christmas

1 True Love refers to God
2 Turtle Doves refers to the Old and New Testaments
3 French Hens refers to Faith, Hope and Charity, the Theological Virtues
4 Calling Birds refers to the Four Gospels and/or the Four Evangelists
5 Golden Rings refers to the first Five Books of the Old Testament, the “Pentateuch”, which gives the history of man’s fall from grace.
6 Geese A-laying refers to the six days of creation
7 Swans A-swimming refers to the seven gifts of the Holy Spirit, the seven sacraments
8 Maids A-milking refers to the eight beatitudes
9 Ladies Dancing refers to the nine Fruits of the Holy Spirit
10 Lords A-leaping refers to the ten commandments
11 Pipers Piping refers to the eleven faithful apostles
12 Drummers Drumming refers to the twelve points of doctrine in the Apostle’s Creed

Dario Fo – Ma che aspettate a batterci le mani

Grazie a chi me l’ha fatto tornare in mente. L’ha scritta con Fiorenzo Carpi e, se non ricordo male, fu la sigla degli spettacoli che segnarono il ritorno di Dario Fo sulla Rai, nel 1978. Ma questa penso che sia la versione del 1991, su Rai 2.

Ma che aspettate a batterci le mani
a metter le bandiere sul balcone?
Sono arrivati i re dei ciarlatani
i veri guitti sopra il carrozzone.
Venite tutti in piazza fra due ore
vi riempirete gli occhi di parole
la gola di sospiri per amore
e il cuor farà tremila capriole.

Napoleone primo andava matto per ‘sto dramma
ed ogni sera con la sua mamma
ci veniva ad ascoltar.
Napoleon di Francia piange ancora e si dispera
da quel dì che verso sera ce ne andammo
senza recitar.

E pure voi ragazze piangerete
se il dramma non vedrete fino in fine
dove se state attente imparerete
a far l’amore come le regine
e non temete se stanotte è scuro
abbiamo trenta lune di cartone
con dentro le lanterne col carburo
da far sembrare la luna un solleone.

Ma che aspettate a batterci le mani
a metter le bandiere sul balcone
sono arrivati i re dei ciarlatani
i veri guitti sopra il carrozzone.
Vedrete una regina scellerata
innamorata cotta del figlioccio
far fuori tre mariti e una cognata
e dar la colpa al fato del fattaccio.

Napoleon francese per vederci da vicino
venne apposta sul Ticino
contro i crucchi a guerreggiar.
Napoleone primo che in prigione stava all’Elba
vi scappò un mattino all’alba
per venire a batterci le mani.

Ma che aspettate a batterci le mani
a metter le bandiere sul balcone…

Ancora Vecchioni, a grande richiesta

In effetti Donna felicità è ai limiti dell’osceno.

E devo confessare che non mi piace nemmeno questa (L’ultimo spettacolo), che ci propone Jacopo Belbo: perché Vecchioni sembra sempre che stia per piangere? Le parole sono belle, ma – a parte qualche inciso – la canzone a me pare troppo elementare, troppo inno (nel senso di anthem)… anche se cresce e la seconda metà è meglio della prima. Mi perdonino i fan.

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Toti Scialoja, un assaggio

Ti ricordi gli storni che a stormi
nei tramonti dei nostri bei giorni
quando i treni si fanno notturni
attorniavano Terni e dintorni?

Bei tramonti che accesero Terni
rispecchiandone il fuoco dei forni
mentre i cieli diventano inferni
taciturni se ruotano stormi.

Neri stormi sui monti di Terni
che di sera perdendo i contorni
frastornavano i nostri ritorni
con l’eterno stormire degli orni.

Son trascorsi gli autunni e gli inverni
sono andati e tornati gli stormi
sulla Nera su Terni su Narni
sulle pere forate dai vermi.

***
Locomotiva avanti, locomotiva indietro,
cento camaleonti mi guardano dal vetro.
La comitiva è affranta, la comitiva è muta,
son tutti al finestrino nessuno mi saluta.
La commozione è forte, la commozione è piena,
quando schiacciano ai vetri le squame della schiena.
 ***

La stanza la stizza l’astuzia
di quando vivevi a Venezia
ed eri zanzara… la pazza
zanzara – che all’alba è un’inezia.

***

Passa in cielo una folaga…
Ne segue un’altra, analoga.

***

La cincia maschio che fischia a Schio
corre un bel rischio: ci fischio anch’io!

***

Son teneri, rosei ed inermi
i vermi di Forte dei Marmi
che in coro mi cantano : “Dormi!”.
Cullato dal canto dei vermi
se dormo non posso sognarmi
che un mare di vermi che mormori.

***

Ogni topo di chiavica
appena nato naviga.

 ***

Si fa bruno a Brunico il cielo all’imbrunire.
Dentro l’ombra al lombrico non resta che lombrire.

Carducci, la vendetta

T’amo pio bove, anzi ne amo nove
T’amo passerotto, anzi ne amo otto
Vi amo civette, anzi ne amo sette
Vi amo osèi, anzi ne amo sei
Amo chi delinque, anzi ne amo cinque
T’amo mio gatto, anzi ne amo quattro
T’amo scimpanzè, anzi ne amo tre
T’amo pio bue, anzi ne amo due
Non amo nessuno, Carducci importuno

Grazie al compianto Toti Scialoja per l’idea originaria.

Garrire

Un dubbio che mi tormenta da anni: perché garrìscono sia le bandiere al vento sia le rondini?

Ma – direte voi – non hai tormenti peggiori, che te li meriteresti anche?

Io sono arrivato fin qui, e non è molto (cito dal De Mauro online, ma i vocabolari sono pressoché concordi e non sciolgono il mio dilemma):

  • di uccello, emettere garriti: ascoltare le rondini garrire.
  • di vela, bandiera, drappo e simili, sbattere, sventolare rumorosamente: nera | dietro garria co ’l vento imperial bandiera (Carducci)
  • (obsoleto) chiacchierare, ciarlare vanamente | fare rimproveri: garrire a qualcuno | litigare; imprecare, inveire; anche, transitivo, sgridare, rimproverare: pur che mia coscienza non mi garra (Dante).

Per il verso degli uccelli, la radice indoeuropea sarebbe gar (gridare, emettere un suono), da cui il sanscrito gir (voce) e girâ (canto): ne deriverebbero, anche tramite il latino e il greco, parole italiane apparentemente disparate come gracchiare, gracidare, gallo, gru e gergo.

Ma il garrire delle bandiere? per il rumore che fanno sventolando? non mi convince!

Perché il proto-indoeuropeo gar, secondo Grassmann (apparentemente un’autorità in materia) significherebbe anche innalzare? Non sarebbe male, se non fosse che Grassmann, fondatore misconosciuto dell’algebra lineare, si è dedicato alla linguistica come ripiego dopo il mancato riconoscimento del suo lavoro come matematico…

Il dubbio resta. Ma non ho dubbi almeno su questo: preferisco sentir garrire le rondini che veder garrire le bandiere.

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Singapore

Una delle canzoni più brutte della storia. E l’ha scritta Roberto Vecchioni.

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Sbucciando la cipolla

Grass, Günter (2006). Sbucciando la cipolla. Torino: Einaudi. 2007.

Il libro ha suscitato in Germania vivo interesse e ancora più vivaci polemiche perché Grass, un’icona della socialdemocrazia tedesca, in queste sue memorie autobiografiche racconta di essersi arruolato, sedicenne, come volontario nelle Waffen-SS. Certo, siamo molto lontani dal protagonista de Le benevole: Grass aveva poco più di 15 anni all’epoca dei fatti. Berlino sotto i bombardamenti, la disfatta dell’esercito nazista, i morti la fuga e la fame sono visti da Grass con gli occhi spaventati e confusi di un ragazzo. Non è reticente, ma i ricordi si confondono e Grass non lo nasconde.

Ma non mi sembra questo – per me che non sono tedesco – il cuore del libro. Sbucciando la cipolla è soprattutto un romanzo di formazione, nelle due accezioni del termine: romanzo, perché nonostante la materia autobiografica, emergono le qualità del grande scrittore, anche attraverso la mediazione della traduzione (di Claudio Groff); di formazione, perché seguiamo dall’interno, fino alla metà degli anni Cinquanta, la storia di una vocazione che stenta a trovare la sua strada e si fa largo attraverso le difficoltà materiali e il magma della Germania della dissoluzione e della ricostruzione. La ricerca della propria identità di Grass coincide con la ricerca di una nuova identità della Germania – come nei suoi romanzi.

Per questo il libro – che mi è sembrato molto bello – cresce pagina dopo pagina. Vale la pena di lasciare parlare lo stesso Grass.

In seguito ho rivoltato spesso i mucchi di fieno a destra e a sinistra del campo, non tanto per la giovane donna sul cui largo viso batteva la luce della luna e dimoravano efelidi non contate, quanto alla ricerca di me stesso, del mio Io scomparso degli anni giovanili; ma tutto si è ridotto soltanto al rumore e all’odore di fondo del mio primo, troppo frettoloso tentativo di essere una sola carne in due; uno sforzo che chiamano anche amore (p. 193).

Tutto svanito. È rimasto solo qualche disco, pezzi da collezione di cui sono geloso. E due amici, che ho lasciato dietro di me, restano saldi nel mio ricordo: una prigione sovraffollata, dalla quale nessuno viene rilasciato (p. 314).

Dal libro ho anche imparato dell’esistenza di Otto Pankok, artista di cui Grass è stato allievo. Tornerò su di lui perché è stato un cantore degli zingari, e un pacifista, come dimostra l’opera (famosissima in Germania) qui sotto.

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Mellow

L’aggettivo inglese, secondo il Merriam-Webster online, significa:

  1. di un frutto, tenero e dolce perché maturo
  2. di un vino, ben invecchiato e piacevolmente “mite” (noi diremmo rotondo, senza le spigolosità dell’eccesso di tannini)
  3. di una persona, reso gentile dall’età e dall’esperienza
  4. di una persona, di carattere ricco e a tutto tondo, senza stridore e ostentazione
  5. di una persona, caldo e rilassato, per effetto (o come per effetto) di una lieve ebbrezza
  6. di una persona, piacevole, gradevole
  7. di una persona, rilassato nell’affrontare la vita (laid-back)
  8. del terreno, soffice e argilloso.

Bene, così attrezzati possiamo apprezzare una canzone di Donovan, l’inno nazionale dei laid-back degli anni Sessanta, la cui mellowness ci sembra più da attribuire alla cannabis che all’alcol.

Il corto circuito è con lo slogan ripreso dal sindaco di Londra, Ken Livingstone, per migliorare l’impronta ecologica della città risparmiando acqua.

If it’s yellow,
let it mellow.
If it’s brown,
flush it down.

Il consiglio è ecologicamente solido. Avete bisogno che ve lo spieghi?