L’unione fa la forca [Proverbi pessimisti 16]

Di bruciante attualità in questa epoca di intolleranza e giudizi sommari.

Credere per aspettare [Proverbi pessimisti 15]

«Aspettare per credere, ma, anche, credere per aspettare.»

Non è mio, è di Gianni Mura, ma merita di essere inserito nella serie.

A meno che, a rifletterci un po’, non sia pessimista l’originale (aspettare per credere) e particolarmente ottimista il suo capovolgimento (credere per aspettare, spes ultra spem).

wikimedia.org/wikipedia/commons

Per aspera ad aspera [Proverbi pessimisti 14] & Chavez Ravine

Una vita tutta in salita.

wikimedia.org/wikipedia/commons (Calanchi di Aliano, Basilicata; Foto di Maddalena Franzosi)

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Carisma: Mara Carfagna

Seduce se tace, seduce se dice.

Grazie Makkox:

Idrogeno | Makkox

Mara Carfagna

ilpost.it / makkox

Incapace di intendere e di volere

Leggo una notizia d’agenzia:

(AGI) – Roma, 5 mar. – “Le dichiarazioni incommentabili di Umberto Bossi sul Presidente Monti, non lasciano spazio alcuno a considerazioni di tipo politico. Il Signor Umberto Bossi e’ chiaramente incapace di intendere e di volere”. Cosi’ Francesco Boccia, deputato del Pd, sulle dichiarazioni di Bossi su Monti. [AGI.it – Bossi: Boccia (PD), incapace di intendere e di volere]

Con tutto il rispetto, caro Boccia, non ci siamo. Il problema è che Bossi è verosimilmente:

Incapace di intendere, capace di volere.

E quel che è ancora peggio, è che è a capo di un partito in cui i fanatici non mancano, e sono forse la maggioranza. In cui forse, cioè, si troverebbe qualcuno disposto a mettere in atto le minacce del capo. Senza nemmeno tirare in ballo i “cattivi maestri” da una parte, o l’NSDAP dall’altra.

Umberto Bossi

adn.kronos / Foto Paolo Parenti

Qui o si disfa l’Italia o si muore

COPAFF: Commissione Tecnica Paritetica per l’Attuazione del Federalismo Fiscale

Chi è corretto arriva ultimo?

Il nome di questo blog, Sbagliando s’impera, è legato a uno dei miei proverbi pessimisti, e l’ho raccontato agli albori di questo blog, nel lontano marzo del 2007.

Quello che non avevo raccontato all’epoca è che l’idea di questo proverbio mi era venuta molti anni prima, alla fine degli anni Novanta, riflettendo sulla carriera di un mio ambizioso collega dell’epoca che, nonostante i molti errori commessi e il mancato raggiungimento di alcuni importanti obiettivi annunciati in pompa magna, appariva lanciato su una traiettoria di irresistibile ascesa. Sono passati molti anni, le nostre strade si sono a lungo allontanate e soltanto di recente si sono riavvicinate. Se così si può dire, perché nel frattempo la sua carriera è così progredita, mentre la mia ristagnava, che ormai ne intravvedo a stento le luci di posizione …

Ecco, all’origine del proverbio pessimista e del relativo gioco di parole c’era l’idea – come scrivevo nel 2007 – “che si assurge a posizioni di comando raramente per merito, e spesso per demerito.” E che comunque sono utili buone dosi di cinismo e di faccia tosta, e qualche compromesso etico e deontologico.

La storia mi è tornata alla mente leggendo un articolo su Wired. Pare che un famoso allenatore di baseball, Leo Durocher, abbia affermato nel 1948 (per smentire la frase attribuitagli qualche anno dopo) che “nice guys finish last”, cioè che (nello sport e, si suppone, nella vita) le persone che giocano correttamente, seguendo le regole, arrivano per ultime.

Ora uno studio in corso di pubblicazione sul Journal of Personality and Social Psychology da Beth A. Livingston, Timothy A. Judge e Charlice Hurst rivela che la “gradevolezza” è inversamente correlata con i livelli di reddito. La “gradevolezza” (agreeableness in inglese) è riferita a 6 dimensioni: fiducia, rettitudine, obbedienza alle norme, altruismo, modestia e buon carattere (trust, straightforwardness, compliance, altruism, modesty and tender-mindedness). Tutte caratteristiche apparentemente desiderabili sul luogo di lavoro. Chi non le possiede però non è immediatamente definibile come uno psicopatico (o più semplicemente uno stronzo), ma – secondo l’autore dell’articolo – possiede un tratto specifico:

They are willing to “aggressively advocate for their position during conflicts.” While more agreeable people are quick to compromise for the good of the group — conflict is never fun — their disagreeable colleagues insist on holding firm. They don’t mind fighting for what they want.

Do Nice Guys Finish Last? | Wired Science | Wired.com

When it comes to success, we assume that making it to the top requires ethical compromises. Perhaps we need to shout and scream like Steve Jobs, or cut legal corners like Gordon Gekko: the point is that those who win the game of life don’t obey the same rules as everyone else. And maybe that’s why they’re winning.

Well, it turns out Durocher and all those pessimists were right: nice guys really do finish last, or at least make significantly less money. According to a new study in the Journal of Personality and Social Psychology by Beth A. Livingston of Cornell, Timothy A. Judge of Notre Dame, and Charlice Hurst of the University of Western Ontario, levels of “agreeableness” are negatively correlated with the earnings of men.

Mazzetta

wired.com

Temere il meglio [Proverbi pessimisti 13]

Non è mio, ma di Gene Gnocchi (pensate a volte dove va a nascondersi l’arguzia, come la penicillina nella muffa). E a rigore non è nemmeno un proverbio. Ma non è niente male.

Pugno di burro in guanto di velluto [Proverbi pessimisti 12]

Come restare in un confortevole baratro (sommesso suggerimento per governi semi-tecnici).

Amoveatur ne promoveatur [Proverbi pessimisti 11]

È nota la locuzione latina: Promoveatur ut amoveatur. Wikipedia ne parla così [ma mi concedo qualche libertà]

Promoveatur ut amoveatur è una locuzione latina. La traduzione letterale è “sia promosso per rimuoverlo”. Viene usata spesso nel linguaggio burocratico per esprimere la necessità di liberare un ruolo chiave dell’organigramma dalla persona che lo occupa, promuovendo la stessa persona a un qualunque altro ruolo di rango superiore, per lo più meramente onorifico, essendo questo l’unico mezzo per poterlo “legalmente” [o comunque senza problemi, nota mia] allontanare dalla posizione occupata.
Volendo si potrebbe associare questa espressione al famoso Principio di Peter “Ogni membro di una gerarchia tende a essere promosso fino a raggiungere il proprio livello di incompetenza, dove si ferma.” [Qui Wikipedia ha una nota, che recita: La conseguenza di questo principio è: “Con il tempo, ogni ruolo dell’organigramma tende a essere occupato da un incompetente.”]
Si potrebbe cioè sostenere che talvolta l’unico modo per liberarsi di un incompetente sia quello di promuoverlo a una posizione nominalmente di prestigio, ma in realtà inutile, dove non possa fare danni.

Registro nel post di oggi un’altra pratica burocratico-amministrative, che in un certo senso ne è il complemento, e in un altro l’esatto opposto: Amoveatur ne promoveatur (eh sì, ho dovuto rispolverare il mio latino e spero di non avere fatto qualche errore da matita blu), cioè “sia spostato a una diversa posizione per non promuoverlo.”

Supponiamo – in via puramente teorica, naturalmente, perché non sono a conoscenza di alcun caso in cui questa pratica sia stata effettivamente attuata – che un candidato sia particolarmente adatto a ricoprire una posizione vacante (o di nuova creazione) di livello immediatamente superiore a quella attualmente ricoperta. Questo può accadere per diversi motivi (caratteristiche personali, curriculum vitae, esperienza maturata c0n successo nella posizione attualmente rivestita, job-description associata alla nuova posizione), ma per altri motivi (non necessariamente abietti) i vertici dell’amministrazione intendano assegnare la nuova posizione a un diverso candidato.

Come fare a sbarazzarsi dell’imbarazzante candidatura del quasi-incumbent? soprattutto se non sono disponibili altre possibili promozioni? Et voilà! Amoveatur ne promoveatur! Lo spostiamo ssenza promuoverlo in una posizione dello stesso livello di quella precedentemente occupata, evitando così che possa infastidire il candidato (e ormai vincitore) gradito all’amministrazione.

Naturalmente se il costo della prima pratica ricade sull’amministrazione e in ultima istanza sui contribuenti (osserva sapere.it: “un modo elegante ma costoso per aggirare l’ostacolo, non raccomandabile per i casi d’inefficienza organizzativa od operativa.”), il costo della seconda ricade in primo luogo sul “rimosso” (che non subisce conseguenze economiche ma certo viene fortemente demotivato dal mancato apprezzamento del proprio operato, che viene percepito come ingiusto) ma anche sull’efficienza (o l’efficientamento?) dell’amministrazione (che sposta un dirigente da una posizione in cui la sua competenza è relativamente maggiore a una in cui è meno preparato e meno motivato).