Noi credevamo

Noi credevamo, 2010, di Mario Martone, con Luigi Lo Cascio e un sacco di altra gente.

Noi credevamo

mymovies.it

Visione televisiva: lo dico perché i 205 minuti, per uno che ha smesso di fumare da poco più di un mese, sono comunque una sofferenza. E il cicchetto non aiuta, perché rischi di essere ubriaco ben prima della fine.

Commenti telegrafici:

  • Film lento ma a tratti molto bello. Forse più vicino ai classici sceneggiati televisivi di Sandro Bolchi, tanto per capirci, che a un film. Forse ce l’avrebbero dovuto far vedere separando i quattro capitoli.
  • Un prequel di La meglio gioventù, e questo l’avranno pensato, detto e scritto moliti. Ma anche un prequel di Novecento di Bertolucci, e questo forse l’hanno pensato in meno.
  • Giancarlo De Cataldo ha sceneggiato il romanzo di Anna Banti, e questo illumina (a posteriori, almeno per me) il suo romanzo I Traditori, di cui ho parlato qui.
  • Ho trovato la Cristina di Belgiojoso giovane di Francesca Inaudi affascinantissima.
  • Il film ha alcune immagini molto belle. Ho ammirato particolarmente la Parigi quasi impressionista del parco in riva alla Senna, poco prima dell’attentato di Felice Orsini a Napoleone III. Anche se, sospetto, la scena è stata girata al Valentino a Torino:

Perché non mi fido dei preti

Naturalmente non lo scopro oggi, ma stamattina mentre mi dedicavo a pigre abluzioni festive immerso nell’acqua calda ho avuto una modesta illuminazione che mi permette di esprimere la mia diffidenza in poche parole.

Non vi ammorberei con una scoperta tutto considerato personale se non pensassi che la mia motivazione possa essere rilevante anche per voi, i miei 25 lettori – Manzoni e io siamo rimasti sconvolti dall’apprendere che Leonardo ha una media di 10.000 visite al giorno.

E, come sarà subito chiaro, quando dico preti non mi riferisco soltanto ai sacerdoti cattolici, ma a tutti i professionisti di un aldilà-futuro spazio-temporale (imminente ma non immanente: c’entra poco, ma non resisto alla battuta).

Insomma, se credi in un aldilà-altrove infinitamente migliore del qui e ora, non ti poni nemmeno per un istante il problema se il fine giustifica i mezzi. Il fine è infinito e i mezzi finiti, non c’è partita. Anche se provi a impostare il problema in termini relativistici o di costi-benefici.

Incidentalmente, questo è anche il motivo per cui penso sia opportuna una certa diffidenza nei confronti degli economisti cattolici (temo siano portati a distorcere le loro analisi costi-benefici): per fortuna Monti è andato dai gesuiti, che dovrebbero avergli insegnato una forte repulsione per il machiavellismo.

Ed è anche il motivo per cui estendo la mia diffidenza ai marxisti (o ex-marxisti) di scuola gramsciana, perché Gramsci – nel suo recupero del pensiero di Machiavelli, incluso quello del fine che giustifica i mezzi – giustifica una politica a-morale del partito (il suo Principe) al servizio dell’obiettivo finale della società senza classi.

In realtà Machiavelli non ha mai scritto, alla lettera, che “il fine giustifica i mezzi.” La citazione del Principe che vi si avvicina di più è questa:

È necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità.

Alcuni sostengono che l’inciso “volendosi mantenere” restringa l’ambito di applicazione dell’affermazione. Secondo me, poiché il fine della politica è il mantenimento del potere, è proprio lì il cuore del problema.

Invece l’etica da cui cerco di farmi guidare, quella che penso sia un’etica autenticamente laica (e atea, ma questa etica è adatta anche a chi non ha certezza e sospende il giudizio), è che i mezzi devono essere giustificabili in sé. Non facile, certo, ma almeno non immediatamente auto-assolutorio di qualunque azione sbagliata o “non buona” in nome di un fine superiore e infinitamente ottimo.

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Una cartografia dell’Antropocene

Le immagini sono troppo belle per non condividerle con voi. Ma non posso riprodurle qui: vi suggerisco di andarle e vedere utilizzando questo link: A Cartography of the Anthropocene

Cartografie dell'antropocene

globaia.org

The Anthropocene. We’re already there. This is our time, our creation, our challenge.

Officially, this epoch does not exist. Yet. It may be added permanently to the geologic time scale in August 2012, at the 34th congress organized by the International Union of Geological Sciences, to be held in Brisbane, Australia. It is the International Commission on Stratigraphy that determines the denomination and the calibration of different divisions and subdivisions of geological time, which date back to the formation of the Earth, 4.6 billion years ago.

Unofficially however, the term is used more frequently in the scientific literature and, more recently, in publications dedicated to the general public.

So, might you ask, what is the Anthropocene?

First, the etymology. The Ancient Greek [anthropos] means “human being” while [kainos] means “new, current.” The Anthropocene would thus be best defined as the new human-dominated period of the Earth’s history.

The term was proposed in 2000 by Paul J. Crutzen, Nobel Prize in 1995 for his work on atmospheric chemistry and his research on stratospheric ozone depletion (the so-called “hole”), and by Eugene F. Stoermer in a publication (p. 17) of the International Geosphere-Biosphere Programme. But the concept itself, the idea that human activity affects the Earth to the point where it can cross a new age, is not new and dates back to the late nineteenth century. Different terms were proposed over the decades, such as Anthropozoic (Stoppani, 1873), Noosphere (de Chardin, 1922; Vernadsky, 1936), Eremozoic (Wilson, 1992), and Anthrocene (Revkin, 1992). It seems that the success of the term chosen by Crutzen and Stoermer is due to the luck of having been made at the appropriate time, when humankind became more than ever aware of the extent of its impact on global environment. It should be noted that Edward O. Wilson (who suggested Eremozoic, “the age of loneliness”) popularized the terms “biodiversity” and “biophilia.”

Technically, the Anthropocene is the most recent period of the Quaternary, succeding to the Holocene. The Quaternary is a period of the Earth’s history characterized by numerous and cyclical glaciations, starting 2,588,000 years ago (2.588 Ma). The Quaternary is divided into three epochs: the Pleistocene, the Holocene, and now the Anthropocene.

The Pleistocene (2.588 Ma to 11.7 Ka) was a tumultuous era, during which more than eleven major glaciations occurred. Furthermore, the Pleistocene is also the time of early humans, the exit of our ancestors from Africa, the invention of the first tools, the evolution of bipedalism, the invention of graphic arts, cultural and linguistic refinements, and the dominance of Homo sapiens on the other hominids.

The Holocene (11.7 ka until about 1800 AD) was a time comparatively smoother in terms of climate variability. At the end of the last Ice Age, 12,000 years ago, a more stable climate regime settled on Earth. The ice gave way to temperate climates, and already, humans were present on all continents. It took a few thousand years for agriculture (domestication of land by humans for food mainly) to take off in the Fertile Crescent and elsewhere in Africa, China, New Guinea and South America. Thus went human progress, managing with success to feed ever more humans.

We are officially still in the Holocene. In fact, we are in the Phanerozoic Eon, Cenozoic era, Quaternary period and Holocene epoch. But now, the Earth’s system does not seem to behave the same way as, say, at the time of Hesiod, Dante or Cervantes. The Earth of the 21st century is warming, overcrowded, partly deforested, and more toxic and interconnected than ever. The comforting envelope of the Holocene, which has fostered the birth of civilizations, is now punctured.

Il peggior articolo “scientifico” del 2011

È stato pubblicato dal Daily Mail, un quotidiano britannico, il 2 dicembre 2011.

Azzardo la mia traduzione, perché merita di essere conosciuto anche da chi non sa l’inglese.

Fare sesso durante l’adolescenza (tra i 13 e i 19 anni: questa è la traduzione di teenager) può portare a cattivo umore, cambiamenti nello sviluppo cerebrale e tessuti degli organi riproduttivi più piccoli, secondo gli scienziati.
I ricercatori della facoltà di medicina dell’università dello Stato drellì’Ohio hanno scoperto che questi cambiamenti intervengono quando l’esperienza sessuale è fatta mentre il cervello si sta ancora sviluppando.
Uno degli autori, John Morris, afferma: “Avere un’esperienza sessuale in questo arco di tempo, all’inizio dell’esistenza, non è privo di conseguenze.”

Riporto ora l’originale inglese, completo della foto che illustra l’articolo:

Having sex during teenage years could lead to bad moods, changes in brain development and smaller reproductive tissues, according to scientists.
Researchers from Ohio State University College of Medicine found that these changes can occur because the sexual experience is taking place while the brain is still developing.
Study co-author John Morris said: ‘Having a sexual experience during this time point, early in life, is not without consequence.’

Le conseguenze dell'amore

'Consequences': Teenage sex could lead to altered moods and behaviour say Ohio State University scientists - dailymail.co.uk

Dov’è il problema? La ricerca dell’Ohio State University College of Medicine è stata condotta sui criceti. Ripeto: criceti.

Criceto

wikipedia.org

E gli autori sono stati bene attenti a precisare (incalzati dal giornalista del Daily Mail, immagino) che i risultati non si possono estendere agli esseri umani.

Credete che esageri? Andate a controllare qui: Teenage sex ‘affects mood, brain development and reproductive tissues in later life’ | Mail Online.

Lo “speciale” natalizio di Guerre stellari, 1978

Dagli archivi di Dangerous Minds. Pubblicato la prima volta il 24 dicembre 2010 e di nuovo lo stesso giorno quest’anno..

I’m probably among a handful of people who prefer the universally reviled Star Wars Holiday Special to any of the actual Star Wars movies. Broadcast once in 1978 on CBS and then quickly banished to TV purgatory, this holiday fiasco is one of the strangest things ever to be piped into the living rooms of an unsuspecting America. At 8 p.m. on November 17, 1978, Star War fans were plunged into stunned disbelief as their sacred mythology was reduced to something more akin to an earthbound shitfest than a spectacle in a galaxy far far away. The only thing missing from the special that would have transmutated its alchemy into the realm of the genuinely mindaltering would have been an appearance by Divine, Edie the Egg Lady and the ghost of Alfred Jarry.

In a highly amusing article that appeared in the December 2008 issue of Vanity Fair, writer Frank DiGiacomo describes George Lucas’s cathode ray bomb as…

[…] a campy 70s variety show that makes suspension of disbelief impossible. In between minutes-long stretches of guttural, untranslated Wookie dialog that could almost pass for avant-garde cinema, Maude’s Bea Arthur sings and dances with the aliens from the movie’s cantina scene; The Honeymooners’ Art Carney consoles Chewbacca’s family with such comedy chestnuts as “Why all the long, hairy faces?”; Harvey Korman mugs shamelessly as a multi-limbed intergalactic Julia Child cooking “Bantha Surprise”; the Jefferson Starship pops up to play a number about U.F.O.’s; and original Star Wars cast members Harrison Ford, Carrie Fisher, and Mark Hamill walk around looking cosmically miserable.”

I highly recommend you read the entire article by clicking here. It’s a lot of fun.

With a happy holiday heart, I present for your viewing pleasure the gloriously bizarre Star Wars Holiday Special, which has never been re-aired on TV or officially released on video. And as a bonus, this video includes all the original commercials for Star Wars merchandise.

The 50 second text crawl at the beginning is silent.

Astro del ciel in Frippertronics

Un regalo di natale in ritardo per Il barbarico re. E anche per GPO, così prendo i 2 proverbiali piccioni con la proverbiale fava. O, come direbbe lo stesso Fripp, two birds one shot.

Correva l’anno 1979. Il barbarico re era un’ipotesi piuttosto remota nelle priorità di quelli che sarebbero diventati i suoi genitori. Robert Fripp aveva trascurato la musica per un po’ e si era trasferito a New York. Brian Eno lo aveva introdotto ai loop analogici che sarebbero diventati noti come Frippertronics e aveva prodotti il primo album solo di Fripp, Exposure. Da quelle parti c’erano anche Peter Gabriel, i Talking Heads (I Zimbra) e Blondie (Fade Away and Radiate).

Fripp suona le prime 4 battute di Silent Night (Astro del ciel) e poi lascia che i Frippertronics facciano il resto. Che a me pare bellissimo e molto natalizio.

Pubblicato originariamente come un flexi-disc (qualcuno se li ricorda, quei 45 giri su plastichetta sottile che si rompevano subito?) allegato al numero 3 della rivista Praxis di Chicago del dicembre 1979, oltre che come cartoncino d’auguri della casa discografuica EG Records, ora è riprodotto sul CD dei King Crimson “Sex Sleep Eat Drink Dream” (1995).

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La scienza della perseveranza

Nel suo blog The Athlete’s Way, lo psicologo-atleta Christopher Bergland (è un campione di Triple Ironman, che consiste nel fare di seguito 3 percorsi, uno a nuoto di 7,2 miglia, uno in bici si 336 miglia e uno di corsa di 78,6 miglia: il suo record è 38 ore e 46 minuti) afferma:

Perseverance separates the winners from the losers in both sports and life. Are you someone who perseveres despite difficulties and setbacks, or do you tend to throw in the towel and call it quits when faced with a challenge or adversity? What makes some people able to keep pushing and complete a task while others habitually fizzle and don’t follow through? (The Neuroscience of Perseverance | Psychology Today)

Christopher Bergland

psychologytoday.com

Se avete letto la mia recensione di The Compass of Pleasure su questo blog sapete già che la risposta sintetica a queste domande è: il circuito del neurotrasmettitore dopamina. E poiché la dopamina è legata all’instaurarsi di abitudini durature, è possibile anche creare un’abitudine alla perseveranza. Bergland suggerisce 7 ricette per attivare la produzione di dopamina a domanda:

  1. Imparate ad associare la perseveranza e il raggiungimento di un obiettivo a sensazioni di benessere (sì, come i topi di laboratorio dell’esperimento di Olds e Milner nel 1954, di cui parla anche Linden)
  2. Cambiate prospettiva e considerate la perseveranza la premessa del piacere (la ricerca del piacere vince sulla forza di volontà a mani basse)
  3. Fate in modo di raggiungere sempre qualche obiettivo, anche minimo, per alzare il livello di dopamina: basta un sudoku o un videogioco (bassi livelli di dopamina rendono apatici)
  4. Crearsi delle aspettative e “crederci” contribuisce alla produzione di dopamina
  5. Siate metodici e datevi delle scadenze (ogni traguardo raggiunto stimola la produzione di dopamina)
  6. Trasformate una montagna apprentemente insormontabile in una serie di scalate, e assegnate a ciascuna un traguardo (vedi sopra)
  7. Siate i tifosi di voi stessi, ditevi: “Sì, ce l’ho fatta!”

Flavor network and the principles of food pairing | Scientific Reports | Nature

Albert-László Barabási è un fisico celebre per le sue ricerche sulla teoria delle reti. In particolare, si deve a lui e a Réka Albert l’omonimo modello (Barabási, Albert-László and Réka Albert, “Emergence of scaling in random networks”, Science, 286:509-512, October 15, 1999)e la spiegazione dei motivi per cui esso emerge facilmente in sistemi naturali, tecnologici e sociali molto diversi tra loro. È nato in Romania nella comunità ungherese degli Székely (lo dico perché il suo ultimo libro, Bursts, parla a lungo delle vicende storiche di questa comunità, con più di una punta di sciovinismo).

Barabási è soprattutto una persona di varie e inarrestibili curiosità. Nell’ultima ricerca cui ha collaborato si occupa delle diversità culturali delle pratiche culinarie. Ma ci sono combinazioni universali degli ingredienti, al di là  delle ricette e dei gusti individuali? Con un approccio strettamente fondato sui dati, Barabási e i suoi collaboratori giungono alla conclusione che c’è un approccio profondamente diverso tra la cucina occidentale (dove sono frequenti coppie di ingredienti che condividono delle componenti di sapore) e quella dell’Estremo Oriente (che tende al contrario a evitare ingredienti che condividono le stesse componenti di sapore).

L’articolo è pubblicato su Nature e può essere scaricato liberamente. Vi consiglio vivamente di leggerlo.

Flavor network and the principles of food pairing : Scientific Reports : Nature Publishing Group

The cultural diversity of culinary practice, as illustrated by the variety of regional cuisines, raises the question of whether there are any general patterns that determine the ingredient combinations used in food today or principles that transcend individual tastes and recipes. We introduce a flavor network that captures the flavor compounds shared by culinary ingredients. Western cuisines show a tendency to use ingredient pairs that share many flavor compounds, supporting the so-called food pairing hypothesis. By contrast, East Asian cuisines tend to avoid compound sharing ingredients. Given the increasing availability of information on food preparation, our data-driven investigation opens new avenues towards a systematic understanding of culinary practice.

Io intanto vi faccio vedere un po’ di figure, giusto per farvi venire appetito.

Cominciamo con la rete dei sapori:

Uno sguardo d’insieme alla rete dei sapori:

I principi di fondo:

E, naturalmente, ora vado a cena.

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Virginia e Babbo Natale

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Anche se questo è il Natale melenso che non sopporto.

Virginia

Wikipedia.org

Guida all’acquisto dei regali per economisti comportamentali

In questo periodo dell’anno, sappiamo tutti che l’acquisto dei regali è un’attività costosa e stressante. Negli Stati Uniti la spesa media pro capite è di 700 $. E poi, meglio un regalo molto personale, o andare sul sicuro e comprare uno di quei “buoni” che sono la vera novità dell’anno? Il regalo deve rispecchiare i desideri di chi riceve o i gusti di chi dona?

Pacchetto

Domande difficili e apparentemente intramontabili, cui The Atlantic risponde mettendo in campo il parere degli economisti comportamentali.

The Behavioral Economist’s Guide to Buying Presents – The Atlantic

  1. Qual è il regalo migliore? Denaro contante!
    In un celebre articolo del 1993 (The Deadweight Loss of Christmas) Joel Waldfogel mostra, sulla base di un esperimento condotto su un campione di studenti di Yale, che chi riceve un regalo ne stima il valore in una cifra tra il 10 e il 30% più bassa di quanto ha effettivamente speso chi il regalo l’ha comprato. Naturalmente, ci sono differenze basate sul grado di conoscenza e di parentela: nonni e zii fanno i regali peggiori (quelli che valutiamo molto meno di quello che sono costati); fidanzati e fidanzate i migliori. Nel dubbio, regalare soldi è dunque meno romantico, ma più efficiente.
  2. Troppo impersonale: e se non voglio regalare soldi? Concentrati sul messaggio.
    I regali sono messaggi: che cosa vuoi dire? Afferma Mary Finley Wolfinbarger (Motivations and Simbolism in Gift-Giving Behavior): “in primitive cultures, the gift was equally economic and symbolic. In societies with well-developed markets, it is hardly surprising that the gift has been at least partially stripped of its economic importance, leaving in a much more prominent position the symbolic value…”
    Secondo Canice Prendergast e Lars Stole (The non-monetary nature of gifts) i regali hanno anche un ruolo nella scelta del partner: “an individual who can show that he understands the preferences of his partner is likely to be a more desirable partner than one who has no idea what his partner wants or believes in.”
    Insomma, è diverso regalare al tuo partner un whisky qualsiasi, o la sua marca preferita.
  3. E allora, che cosa regalo al mio fidanzato o alla mia fidanzata? A un maschio un gadget, a una donna una cosa costosa e inutile.
    Russell W. Belk e Gregory S. Coon (Gift Giving as Agapic Love: An Alternative to the Exchange Paradigm Based on Dating Experiences) hanno individuato tre principali scopi del regalo: lo scambio sociale (il regalo come pegno di una promessa), lo scambio economico (per i maschi, il regalo è un modo di ottenere sesso in cambio) e l’amore “agapico” o disinteressato (più importante per le donne). Per questo, concludono, agli uomini regalate qualcosa di utile, alle donne qualcosa di sentimentale e stravagante.
  4. E se quest’anno non volessi comprare regali? Che cosa direbbe su di me? Che sei probabilmente un maschio, e per di più pidocchioso.
    In uno studio ormai classico (Christmas Gifts and Kin Networks), il sociologo Theodore Caplow argomenta che lo scambio natalizio di doni è un rituale complesso che coinvolge l’intera popolazione, governato da regole non scritte ma non per questo meno sanzionate, volto soprattutto a rafforzare legami considerati importanti ma a rischio (come, in America, quelli matrimoniali e dunque tra le famiglie dei coniugi).
  5. Mi avete convinto, compro i regali. Ma li devo impacchettare? Sì.
    Libero di non crederlo, ma gli economisti studiano anche questo. Un team di ricerca australiano (To wrap or not wrap? What is expected? Some initial findings from a study on gift wrapping) conclude (sulla base di 20 interviste, ahimè) che un regalo deve sembrare un regalo, e dunque deve essere infiocchettato.

Sull’argomento intrerviene anche Dan Ariely, autore del best-seller Predictably Irrational, sul suo blog chiedendosi Fare regali è irrazionale?

Ariely distingue vari tipi di regali:

  1. lo scambio economico: regalo a mio nipote delle calze perché sua madre mi ha detto che ne ha bisogno…
  2. lo scambio sociale: ci invitano a cena e portiamo un “pensierino.” Nulla a che fare con l’efficienza economica, stiamo rafforzando un legame sociale.
  3. il regalo paternalistico: ti regalo qualcosa che dovresti conoscere e apprezzare (un disco o un libro) o apprendere (lezioni di yoga o di muisca).
  4. il regalo empatico: per scegliere il tuo regalo provo a mettermi nei tuoi panni. È un serio investimento sociale.
  5. il regalo desiderante: regalo un oggetto che mi piace ma che se comprassi per me mi farebbe sentire in colpa. Sotto il profilo economico è insensato: se una cosa mi piace e posso permettermela me la dovrei comprare.

Un’ultima raccomandazione di Ariely: se volete essere ricordati e massimizzare la connessione sociale, non regalate nulla di deperibile. Non fiori o dolci, ma un vaso o una stampa, Non importa se a chi lo riceve non dovesse piacere particolarmente, conta che sia duraturo. Meglio ancora, qualcosa che si usa a intermittenza. Un oggetto che sta sempre sotto i vostri occhi, dopo un po’ sparisce. Regalate un robot da cucina.

O delle cuffie per la musica: ogni volta che le ascolterà, sarà come parlare all’orecchio