Butterfield, Jeremy (2008). A Damp Squid: The English Language Laid Bare. New York: Oxford University Press. 2008.
Un agile libretto, di piacevolissima lettura, che mi sono divorato il giorno stesso che mi è arrivato da Amazon (complice un’indisposizione che mi ha tenuto a casa un giorno – che ho preso di ferie, ne tenga nota Brunetta).
In realtà, sotto l’apparenza del testo di analisi del “buon uso” della lingua inglese e di curiosità su alcuni errori frequenti e sull’origine di certe frasi idiomatiche – tra i tanti mi viene in mente il divertente Eats, Shoots & Leaves di Lynne Truss – questo libro si pone all’incrocio di 3 miei interessi, di cui ho dato ampia testimonianza su questo mio blog: quello per le parole e la loro origine, quello per l’uso di analisi quantitative per documentare la realtà e quello per la teoria evoluzionistica in senso lato (come algoritmo applicabile e applicato al di fuori della biologia).
Alla base del lavoro di Butterfield c’è un vocabolario speciale: l’Oxford English Dictionary, nella sua seconda e corrente edizione (OED2 del 1989), consta di circa 291.500 lemmi, in 21.730 pagine distribuite in 20 volumi. L’OED3 è in corso di redazione. Ma quello che rende l’OED speciale è il progetto su cui si basa – concepito dalla Philological Society nel 1857: documentare la lingua inglese nel suo uso dalle origini ai giorni nostri attraverso citazioni che ponessero le parole nel loro contesto d’uso.
The aim of this Dictionary is to present in alphabetical series the words that have formed the English vocabulary from the time of the earliest records [ca. AD740] down to the present day, with all the relevant facts concerning their form, sense-history, pronunciation, and etymology. It embraces not only the standard language of literature and conversation, whether current at the moment, or obsolete, or archaic, but also the main technical vocabulary, and a large measure of dialectal usage and slang. […] Hence we exclude all words that had become obsolete by 1150 [the end of the Old English era] … Dialectal words and forms which occur since 1500 are not admitted, except when they continue the history of the word or sense once in general use, illustrate the history of a word, or have themselves a certain literary currency. [dalla Prefazione dell’OED1, 1933]
Per ottenere questo risultato, fin dall’inizio dell’impresa si mise in campo un esercito di lettori volontari, cui erano assegnati testi da leggere, dai quali essi dovevano estrarre citazioni atte a illustrare l’uso effettivo delle parole nel loro contesto e inviarle ai redattori del dizionario. Il più famoso dei redattori ottocenteschi fu James Murray, che lavorò al progetto dal 1870 al 1915, anno della sua morte. Murray lavorava nello scriptorium, una baracca di ferro rivestita all’interno di ripiani, scaffali e 1.029 caselle per tenerci le schede con le citazioni. Qui sotto potete vedere Murray al lavoro.
In preparazione della seconda edizione, il corpus di citazioni e l’intero processo cominciarono a essere “computerizzati” a partire dal 1983. Il corpus di citazioni su cui si basa l’OED contiene attualmente oltre 2 miliardi di parole e consente di prensentarle nel loro contesto (KWIC: key word in context). Qui sotto un esempio (trovate di più sul sito dell’OED, dove c’è anche un bel tour del dizionario elettronico).
Ormai avrete capito: è sulla base di questo che Butterfield fa il suo lavoro. In questo modo è in grado di superare l’annosa (e pedante) diatriba tra prescrittivisti e descrittivisti documentando le trasformazioni della lingua inglese. La nascita di parole ed espressioni nuove. L’eredità dell’anglo-sassone, del vikingo, del francese, del latino e del greco. Le incertezze dello spelling e delle morfologie. Il tutto con una solida (solidissima) base quantitativa e con l’illustrazione convincente che la lingua si evolve sulla base di un algoritmo non troppo diverso da quello darwiniano.
A me ha entusiasmato. Se siete interessati a qualcuno di questi temi, piacerà anche a voi. Lo raccomando vivamente. Ed è anche molto divertente.