Deaglio, Enrico (2019). La bomba: Cinquant’anni di Piazza Fontana. Milano: Feltrinelli. 2019. ISBN: 9788858836767. Pagine 267. 9,99€.

Enrico Deaglio ha la capacità di scrivere in modo chiaro e coinvolgente. Inoltre, anche per la sua storia personale e politica, conosce molto bene questa vicenda e gli anni in cui si svolge. Di conseguenza, il suo libro è uno dei migliori tra quelli, ormai moltissimi, che parlano di Piazza Fontana.
Per me, come per molti della mia generazione, il 12 dicembre 1969 è stata una tappa fondamentale del mio percorso di crescita. Ne ho parlato molte volte in questo blog e vi rimando a quegli interventi nel caso abbiate la curiosità di saperne di più sul mio punto di vista (li riporto in ordine di data di pubblicazione):
- Nelle mani giuste
- 12 dicembre 1969
- La notte che Pinelli
- Sofri – 43 anni
- Ancora su Piazza Fontana: Corrado Stajano e Goffredo Fofi
- Piazza della Loggia
- Piazza Fontana, 45 anni: c’è ancora tempo per la verità?
Deaglio documenta anche gli sviluppi intervenuti in anni più recenti, dopo il 2014: in particolare il ruolo svolto dall’Ufficio affari riservati del Ministero dell’interno e le interferenze di una squadra capitanata da Silvano Russomanno, presente alla questura di Milano già poche ore dopo la strage.
Il libro di Deaglio si perde un po’ nelle ultime pagine, sulle circostanze dell’omicidio di Calabresi.
C’è una caduta di stile, o un piccolo infortunio, che da Deaglio – sempre molto attento ala proprietà del linguaggio. A proposito della crescita dei gruppi dell’estrema sinistra, e in particolare delle Brigate rosse, parla di un aumento “in misura esponenziale” (pos. 1966), dimenticando che questa locuzione non significa semplicemente ‘in misura notevole’, ma fa riferimento a una precisa modalità di crescita, definita e misurabile matematicamente…
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Qualche citazione:
[…] la “narrazione”, termine oggi in voga per indicare la Menzogna […] pos. 229)
Faceva però parte di un grandissimo complesso di case popolari costruito da architetti razionalisti sotto il fascismo (iniziato nel 1935) e terminato agli albori della Repubblica nel 1947. Erano innamorati del cemento che prevedeva un quartiere di case basse ad “altissima densità abitativa” sull’asse di una diagonale centrale – via Aretusa e viale Mar Jonio, tutti i nomi qui rimandano all’antichità mediterranea; Preneste, per esempio, è l’antico nome di Palestrina. Era, ai tempi della nostra storia – quando Giuseppe Pinelli e Licia Rognini si sposarono e ci vennero ad abitare – un vero quartiere di popolo: artigiani, operai, impiegati di basso livello, poliziotti, metronotte, sarte a domicilio, un po’ di malavita, un po’ di donne che facevano la vita, tutti che si parlavano attraverso i pianerottoli, una linea del tram che collegava con il centro, un po’ di negozi, una scuola elementare, dove andavano Silvia e Claudia, all’epoca di nove e otto anni, le figlie del ferroviere anarchico. (pos. 775)
[…] Enrico Rovelli, di cui sapremo presto che era una spia “pregiata”, regolarmente stipendiata, patrimonio personale del commissario Luigi Calabresi […] (pos. 816)
Lui stesso [Paolo Faccioli] aveva rivelato di essere stato picchiato, minacciato, privato del sonno e della luce, dai questurini di Milano, tra cui i brigadieri Mucilli e Panessa, e il dottor Calabresi. (pos. 1038)
Ma che cosa voleva dire l’autrice con il titolo La figlia del tempo? Il riferimento era per palati fini, una citazione da Francis Bacon che definiva la “Verità” figlia del Tempo “e non dell’Autorità”. Il ragionamento in sé era profondo e duplice, perché negava all’Autorità, per esempio alla Chiesa o a un tribunale, il monopolio della Verità e lo affidava invece al Tempo, ovvero alle mutevoli correnti della fragile opinione degli esseri umani e di chi li manipola. (pos. 1356)
“Questo non sciupatemelo, mi occorre,” raccomanda con un mezzo sorriso il commissario Luigi Calabresi a quelli dell’Ufficio politico che stanno interrogando l’anarchico [Valpreda] appena arrivato in questura. (pos. 2156)
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sabato, 4 gennaio 2020 alle 0:16
Buonasera,
non trovando da nessuna parte la sua email le scrivo qui.
Ho letto in un vecchio post che conosceva Marco Ferronato, di cui sentii parlare diversi anni fa quando stavo a Roma da una ragazza che faceva l’archivista per Zeffirelli.
Mi piacerebbe saperne di più… so per certo che collaborò con Petri nella trasposizione filmica di un romanzo di Sciascia (film a mio avviso stupendo) ma ad esempio non ricordo se fosse uno sceneggiatore o un critico cinematografico.
Saluti,
bruno
lunedì, 3 febbraio 2020 alle 15:19
Marco Ferronato è stato mio professore di filosofia al liceo. All’epoca era un padre gesuita, il che spiega la sua collaborazione con Petri per Todo Modo (peraltro riconosciuta nei titoli): il personaggio di don Gaetano interpretato da Marcello Mastroianni. Era una persona straordinaria, che ho avuto la fortuna di conoscere bene per un periodo della mia giovinezza (poi mi sono trasferito da Milano a Roma e l’ho perso di vista). aveva un profondo amore e una profonda conoscenza del cinema. Organizzava, prima alla mia scuola (il Leone XIII) e poi per l’Opera universitaria della Statale di Milano, degli splendidi cineforum in cui invitava gli autori a discutere con noi ragazzi. Un’esperienza indimenticabile e indimenticata. Morì precocemente.