Non abbiamo il wifi, parlate tra di voi. Considerazioni sul digital divide e sull’arretratezza mentale dell’Italia

Condivido e non saprei scriverlo meglio

Il nuovo mondo di Galatea

Dedico questo post al cartello “Non abbiamo un wifi, parlate fra di voi” che ho visto comparire in numerosi esercizi commerciali, ed anche postare su internet come se si trattasse di una esilarante battuta.

Premetto: io di solito quando vado fuori e sono in compagnia è raro che tiri fuori il cellulare per chattare o messaggiare, o anche per telefonare, perché trovo una forma di maleducazione, quando si è a tavola con altri, isolarsi. Se però c’è una molla che potrebbe spingermi a tirare fuori lo smartphone ed ostentatamente usarlo in un bar o in un ristorante, anche consumando l’intera scheda personale, è proprio un cartello come quello, che secondo me, oltre ad essere abbastanza stupido, è anche il sintomo del pauroso arretramento culturale del nostro paese.

Caro gestore che appendi il cartello, io rispetto la tua decisione di non fornire ai tuoi possibili clienti il wifi gratis, che è…

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Religione, opinione, espulsione, Costituzione

Chi mi conosce anche superficialmente, sia pure soltanto per essere un lettore di questo blog, sa che sono ateo e anticlericale, contrario a ogni fanatismo, apprendista praticante delle fatiche del pensiero razionale. Non penso, perciò, di potere essere accusato di simpatia per il predicatore che ha invitato il suo dio a sterminare tutti i credenti in una religione diversa.

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La pratica di invocare l’aiuto divino nello sterminio dei nemici è antica e diffusa, soprattutto nelle religioni “del libro”: i credenti delle tre grandi religioni monoteistiche convergono nel figurarsi una divinità personale modellata sull’archetipo del patriarca mediorientale, una sorta di grande vecchio irascibile e geloso, pronto a intervenire a favore del “suo” popolo. La Bibbia – come sa chi l’ha letta (pochissimi, in Italia, dove tutti però fingono di saperla lunga) – pullula di episodi terrificanti e cruenti, con tutti i maschi nemici passati a fil di spada, mamme bambini e vecchi sterminati con una meticolosità degna delle SS e le giovani vergini rapite e deportate come prede di guerra. Un elenco parziale (ancorché dichiaratamente di parte) lo trovate qui. Ma vi assicuro (io la Bibbia l’ho letta davvero, dalla prima all’ultima pagina) che basta aprire l’Antico testamento a caso, soprattutto nei libri che raccontano la “storia” del popolo ebraico (piuttosto che quelli poetici, profetici o sapienziali) per trovare questi massacri.

Stando così le cose, non è stupefacente che fedeli e sacerdoti invochino l’aiuto di dio per lo sterminio dei nemici, come ha fatto l’imam di San Donà di Piave.

Questo, ad esempio, è Isaia – non l’ultimo dei predicatori di campagna, ma un profeta tra i sommi, accreditato tra i cristiani per aver previsto l’avvento di Gesù. È dio in persona che sta parlando al profeta:

Io avverserò i tuoi avversari;
io salverò i tuoi figli.
Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori,
si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto.
Allora ogni uomo saprà
che io sono il Signore, tuo salvatore,
io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe. [Isaia 49: 25-26. La traduzione è quella ufficiale della CEI-Conferenza episcopale italiana]

Ricordiamo anche che l’appellativo tradizionale del dio dell’Antico testamento era “dio degli eserciti” – che nei testi liturgici viene tradotto pudicamente (e cosmologicamente) “dio dell’universo” – e che di conseguenza il segno che gli viene richiesto più di frequente è un segno di potenza militare.

Di qui anche, prevedibilmente, una lunga sequenza di affermazioni a sostegno della tesi che dio è dalla parte tua, che gli sei fedele e che lo stai invocando: dal “deus lo volt” con cui Pietro l’eremita predicava la prima crociata, la crociata dei pezzenti; all’agghiacciante “Gott mit uns” sulla fibbia dei cinturoni degli eserciti tedeschi della prima e della seconda guerra mondiale (ma era già il motto dei cavaliere teutonici e fu adottato anche dall’impero russo, Съ нами богъ!), a “In God We Trust” motto nazionale degli Stati Uniti d’America (fino al 1956 era E pluribus unum che a me, per quel che conta, piace molto di più), fino alla nota canzone di Bob Dylan, With God on our Side. Ma non crediate che noi italiani ci possiamo chiamare fuori: basterebbe forse il “dio stramaledica gli inglesi” di mussoliniana memoria.

Alla luce di queste tradizionali invocazioni al proprio dio affinché stermini i propri nemici, quella di Abd Al-Barr Al-Rawdhi, imam marocchino di una comunità islamica di San Donà di Piave, non mi sembrano particolarmente originali o particolarmente cruente. Secondo l’Avvenire (quotidiano della CEI) avrebbe detto:

«O​h Allah, contali uno a uno e uccidili fino all’ultimo». O, secondo un’altra traduzione, «A morte tutti gli ebrei», tutti, «fino all’ultimo, senza risparmiare uno solo di loro», perché questo renderebbe «felici» i musulmani. E ancora: «Allah, trasforma il loro cibo in veleno». [Francesco Dal Mas, Espulso imam di San Donà: «Incita all’odio». L’Avvenire. 5 agosto 2014]

* * *

Qui arrivo alla domanda che mi interessa: sono giusti i provvedimenti di fermo e di espulsione?

Intanto: lo si può espellere perché è un cittadino straniero. Se fosse italiano non lo si potrebbe fare: non legalmente, quanto meno.

Il ministro Alfano – che pure è laureato in giurisprudenza – non ha dubbi:

[…] il titolare del Viminale ha disposto l’espulsione dell’imam marocchino, per grave turbamento dell’ordine pubblico e pericolo per la sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi. «Non è accettabile che venga pronunciata un’orazione di chiaro tenore antisemita, contenente espliciti incitamenti alla violenza e all’odio religioso», ha spiegato Alfano. «Per questo ne ho disposto l’immediata espulsione dal territorio nazionale. La mia decisione valga da monito per tutti coloro che pensano che in Italia si possa predicare odio». [è sempre l’articolo de l’Avvenire]

In un’intervista a Libero del 6 agosto 2014, ripresa sul sito del ministro, Alfano dichiara (tra l’altro):

Il comportamento dell`imam era inaccettabile. Il fatto che Libero lo abbia rilanciato in questo modo ha reso ancora più eclatante quello che già era noto ai nostri uffici tramite le attività di analisi e di indagine. Ho provato un sentimento di indignazione e di preoccupazione, che si è tradotto nella necessità di assumere un provvedimento immediato che desse la certezza agli italiani che nel nostro paese c’è la libertà di professione dei culti, ma non la libertà di professione degli odi.

Mi dispiace, signor ministro, non sono d’accordo. E mi piacerebbe che il presidente della Repubblica intervenisse – anche se mi rendo conto che sarebbe un intervento impopolare – come garante della Costituzione a ricordare che la libertà di religione e quella di opinione sono fondanti della nostra convivenza civile e sono valori democratici e liberali per cui ci si batte dal secolo dei lumi.

Se non lo fa nessun altro, lo faccio io, invitandovi a leggere le parole semplici e chiare della Costituzione.

Articolo 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Articolo 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Invece non trovo nella Costituzione, per quanti sforzi faccia, una clausola che limita la libertà di opinione nel caso della “professione degli odi”.

Gentle Giant – Milano, Palalido, 4 gennaio 1973

Tra le molte possibili declinazioni del concetto di essere un loser (o, come traducono nei doppiaggi cinematografici e televisivi, uno sfigato) si potrebbe introdurre questa, a mo’ di compendio: non ho mai sentito dal vivo i Genesis, però ho sentito i Gentle Giant.

wikimedia.org/wikipedia/commons

Non che fossero poi malaccio, ma al confronto dei “grandi” del prog inglese, i Gentle Giant stavano nel peloton insieme agli Hatfield and the North cantati da Jonathan Coe in un suo romanzo (‘The Rotters’ Club – tradotto in Italia La banda dei brocchi – che è il titolo del secondo LP del gruppo).

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