Stonehenge e i maiali

Un articolo di Eva Frederick (“Ancient people may have used pig fat to build Stonehenge“), pubblicato su Science il 15 luglio 2019, presenta l’ipotesi che i costruttori del monumento megalitico di Stonehenge abbiano utilizzato grasso di maiale per lubrificare le slitte utilizzate per spostare gli enormi blocchi di pietra. L’autrice fa a sua volta riferimento a un articolo di Lisa-Marie Shillito pubblicato online lo stesso giorno dalla Cambridge University Press (“Building Stonehenge? An alternative interpretation of lipid residues in Neolithic Grooved Ware from Durrington Walls“).

Insomma, per farla breve. Gli archeologi hanno rinvenuto lì vicino vasellame della stessa epoca, sporco di strutto all’interno. L’ipotesi prevalente finora era che i recipienti fossero serviti a cuocere il cibo per le affamate maestranze impiegate nell’opera titanica. Se non che le condizioni delle ossa di maiale trovate nel sito non sono compatibili con la cottura in pentola di uno spezzatino, ma con la cottura alla brace su uno spiedo. Il vasellame sarebbe servito a raccogliere il grasso che colava dalle bestie arrostite, in modo da poterlo utilizzare per lubrificare le slitte di legno con cui i monoliti venivano trascinati sul cantiere di costruzione.

A me, originario della bassa padana, la scena commuove. Me li vedo, gli antichi abitanti del luogo, intenti a macellare e mangiare i maiali dopo una giornata di lavoro verosimilmente duro. E rinunciare allo strutto (sottratto al destino di generare lo gnocco fritto) per rendere quel lavoro un po’ meno duro. Del maiale non si butta niente…

Il maiale, negli antichi culti della dea, non aveva la brutta fama che ha ora (non solo tra ebrei e musulmani, dove è animale immondo, ma anche tra i cristiani, dove associarne il nome con dio è blasfemo). Era l’animale sacro della dea della vegetazione: Marija Gimbutas, in The Goddesses and Gods of Old Europe: 6500-3500 BC Myths and Cult Images, gli dedica un capitolo intero, “The pig, the sacred animal of the Goddess of Vegetation”:

The curious connection between the Vegetation Goddess and pigs as known from Classical Greek times goes back to the Neolithic era. Sculptures of pigs are known from all parts of Old Europe and date from every period. In number they equal the representations of dogs, bulls and he-goats. The fast-growing body of a pig will have impressed early agriculturists; its fattening must have been compared to corn growing and ripening, so that its soft fats apparently came to symbolize the earth itself, causing the pig to become a sacred animal probably no later than 6000 BC.
All early Vinča Pregnant Vegetation Goddess wears a pig’s mask, while the sacredness of the pig’s body is indicated by the Cucuteni pig sculptures which have traces of grain impression on them. Grain was impressed on the body of the pig as it was impressed on the body of the Vegetation Goddess. These figurines and the pig masks imply that the pig was a double of the Pregnant Vegetation Goddess and was her sacrificial animal. [p. 211]

Risultati immagini per pig-masked Goddess of vegetation
[ibid. p. 212]
Risultati immagini per pig-masked Goddess of vegetation
[ibid. p. 212]

Neal Stephenson – Fall, or Dodge in Hell

Stephenson, Neal (2019). Fall, or Dodge in Hell. London: The Borough Press. 2019. ISBN: 9780008168841. Pagine 720. 14,30€

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Romanzo molto complesso, oltre che molto lungo. Consigliato, ma forse non a chi non ha mei letto nulla di Stephenson.

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Sapiens e Neanderthal, un aggiornamento

Un articolo di Ed Yong pubblicato ieri su The Atlantic (Yong, Ed. Apidima 1 Is the Oldest Human Fossil Outside Africa – The Atlantic. 10 luglio 2019) – che a sua volta fa riferimento a un articolo pubblicato con la stessa data su Nature (Katerina Harvati, Carolin Röding, Abel M. Bosman, Fotios A. Karakostis, Rainer Grün, Chris Stringer, Panagiotis Karkanas, Nicholas C. Thompson, Vassilis Koutoulidis, Lia A. Moulopoulos, Vassilis G. Gorgoulis & Mirsini Kouloukoussa. Apidima Cave fossils provide earliest evidence of Homo sapiens in Eurasia) – ci permette qualche aggiornamento sull’argomento della coesistenza, in territorio europeo, dell’Homo sapiens e dell’Homo neanderthalensis, di cui abbiamo parlato di recente a proposito del libro di David Reich Who We Are and How We Got Here: Ancient DNA and the New Science of the Human Past).

Apidima 1 (left) is a modern human; Apidima 2 (right) is a Neanderthal.
Apidima 1 (left) is a modern human; Apidima 2 (right) is a Neanderthal.
[KATERINA HARVATI / EBERHARD KARLS UNIVERSITY OF TÜBINGEN]

Nel 1978, in una grotta chiamata Apidima all’estremità meridionale della Grecia (sul dito medio del Peloponneso), un gruppo di antropologi ha trovato una coppia di crani umani. Per anni si è creduto fossero entrambi Neanderthal. Ma in realtà appartengono a due epoche e a due specie diverse. Trascurato per anni e soltanto da poco analizzato con tecniche aggiornate, Apidima 1 è risultato essere era uno di noi, un Homo sapiens, un umano moderno di 210.000 anni fa: si tratterebbe dunque dell’esemplare più antico di Homo sapiens fuori dall’Africa. La scoperta ha tre conseguenze importanti:

  1. Pre-data di circa 30.000 anni la presenza nota di esseri umani moderni al di fuori dell’Africa.
  2. Tutti gli altri fossili di Homo sapiens trovati in Europa risalgono a 40.000 anni fa o meno.
  3. Apidima 1 è più vecchio del cranio di Neanderthal trovato nello stesso sito.

Messi insieme, questi elementi fanno scricchiolare le teorie finora prevalenti, secondo le quali i Neanderthal si sarebbero evoluti in Europa lentamente e relativamente isolati. Quando gli umani moderni si sono espansi fuori dall’Africa, la loro migrazione verso l’Europa – ostacolata dalla diffusa presenza dei Neanderthal – si sarebbe arrestata in Medio Oriente e poi spostata verso l’Asia, senza lasciare fossili europei fino a circa 40.000 anni fa.

“The idea of Europe as ‘fortress Neanderthal’ has been gaining ground,” – commenta Rebecca Wragg Sykes dell’Università di Bordeaux – but identifying a 210,000-year-old Homo sapiens skull from Europe “really undermines that.”

E aggiunge: “Obviously everyone is going to want to see DNA out of that skull”.

Anch’io, per quello che conta. La saga continua…

Arcivescovo organizza esorcismo di massa aspergendo di acqua santa dall’elicottero una città colombiana

Curiosa notizia pubblicata da The Guardian ieri (10 luglio 2019).

Stilt houses, known as palafitos, with modern buildings in downtown Buenaventura in the distance
Stilt houses, known as palafitos, in Buenaventura, Colombia’s main Pacific port. Photograph: Bloomberg/Getty

Il Monsignor Rubén Darío Jaramillo Montoya, vescovo di Buenaventura, pregherà per eliminare l’infestazione demoniaca del territorio. La decisione è stata assunta dopo che una bambina di 10 anni era stata torturata e uccisa. La città è da tempo assediata dalla violenza, dal contrabbando di droga e dalla povertà.

Fonte: Bishop will take to the skies to exorcise entire Colombian city | World news | The Guardian

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Giornate torride e assolate: vestirsi di bianco o di nero?

Se lo chiede Wired in un articolo pubblicato ieri (Hett Allain. “Should you wear white or black on hot days? Here’s the data“. 9 luglio 2019).

Domanda peregrina, direte voi. Chiaramente di bianco.

Risposta sostanzialmente corretta, ma non così immediata.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bedouin_Riyadh,_Saudi_Arabia,_1964
Wilhelm von Schreeb, Sweden [Public domain], via Wikimedia Commons

Perché allora i beduini si vestono spesso di nero?

E perché una rivista autorevole come Nature si pone seriamente la domanda (Shkolnik, Amiram; C. Richard Taylor; Virginia Finch & Arieh Borut. ” Why do Bedouins wear black robes in hot deserts?“. 24 gennaio 1980).

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Robert Menasse – La capitale

Menasse, Robert (2017). La capitale (Die Hauptstadt. Trad. it. Marina Pugliano e Valentina Tortelli). Palermo: Sellerio. 2018. ISBN: 9788838938405. Pagine 452. 9,99€

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Curioso romanzo, questo, che si muove su molti registri narrativi. Promosso come il primo romanzo dedicato a Bruxelles, capitale dell’Unione europea per accidente (doveva esserlo a rotazione la capitale di ciascuno degli Stati membri, in ordine alfabetico, ma il meccanismo si è inceppato subito), nell’imminenza di elezioni europee che alcuni si aspettavano dirompenti, La capitale è molto di più. Ma anche un po’ di meno.

È decisamente un romanzo, anche se molti vi hanno letto elementi saggistici: Menasse è semplicemente ben documentato e conosce bene pregi, difetti e tic della burocrazia comunitaria. Io però vi consiglio di leggerlo come romanzo, gustandone le molte qualità e sopportandone i limiti.

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