Sono le 8:35 circa del 16 giugno 2017, venerdì. È in programma uno sciopero del trasporto pubblico locale. Fermata Termini della metropolitana di Roma. Gli altoparlanti annunciano il progresso delle ultime corse, che sono partite dai capolinea alle 8:30.
Quando esco nel mezzanino particolarmente affollato mi rendo conto che tutte le uscite, tranne una, sono bloccate da un cordone di militari in mimetica con il mitra a tracolla o di uomini della Polizia di Stato. Faccio un rapido calcolo: a Termini convergono i convogli partiti da 5 capolinea. Quelli che devono ancora arrivare sono almeno i 5 partiti dai capolinea da pochi minuti, ma con ogni probabilità ce ne sono in arrivo altri partiti prima, distanziati l’uno dall’altro di qualche minuto. Ogni convoglio ha una capienza nominale di circa 1200 persone, ma probabilmente in queste circostanze sono ancora più affollati. Anche se non tutti i passeggeri scenderanno a Termini, nei prossimi minuti alcune migliaia di persone affolleranno quel mezzanino con una sola via di fuga. Sono passati meno di quindici giorni dai 1527 feriti di Torino, poco più di 24 ore dall’incendio della Grenfell Tower.
Cerco con lo sguardo il banco informazioni dell’Atac: non c’è nessuno. Allora mi rivolgo al poliziotto più vicino e gli dico che le uscite sono anche vie di fuga e che tenerle chiuse mi sembra pericoloso, almeno fino a quando non arrivano più convogli e le persone hanno lasciato la stazione della metropolitana.
Sono un uomo di 65 anni, corporatura media, capelli bianchi e radi, pantaloni grigi, giacca blu, camicia e cravatta. Difficile da confondere con un black bloc, un casseur, un hooligan. Eppure…
Eppure il poliziotto, di tutta la testa più alto di me, mi sia avvicina minaccioso e si mette a urlare: che è un pubblico ufficiale, e come mi permetto, che mi devo vergognare. Ha gli occhi iniettati di sangue e le pupille dilatate (lo so, sembra un luogo comune, ma è vero). Urla e mi arrivano in faccia le gocce di saliva. L’occhio mi corre alla targhetta che ha sul petto: c’è scritto POLIZIA, senza un nome né una matricola.
Gli chiedo di dirmi il suo nome: mi ride in faccia, e urla ancora di più. Provo a ripetere le mie ragioni, e a questo punto alzo la voce anch’io. Non l’avessi mai fatto: mi mette le mani addosso. Mi prende per le braccia all’altezza delle spalle e mi scuote forte. Non riesco a muovermi. Ho veramente paura.
Mi guardo attorno, cerco di incontrare lo sguardo di qualcuna delle decine di persone lì attorno. Nessuno si avvicina. Ma li capisco: anch’io nei loro panni farei così.
Finalmente arriva un superiore. Meno male, penso io. Invece quello mi prende in consegna dal collega, mi chiede un documento e mi scheda. Come un criminale. La gente passa e si dice: chissà che cos’ha combinato quel vecchio, sarà un ladro? Tremo come una foglia, il cuore batte veloce, fatico a reggermi in piedi.
Non so a che cosa servirà quella identificazione, se avrà conseguenze, se è solo servita a spaventarmi di più.
So però che conclusioni trarre dall’episodio, e le voglio condividere. Uno sciopero del trasporto locale (e sono frequenti, lo sapete bene) è stato trasformato in un problema di ordine pubblico: chi lo ha deciso, e perché? Nel corso degli scioperi precedenti, ci sono stati episodi o disordini tali da giustificare questo dispiegamento di polizia? E poi, la polizia era lì per proteggere i cittadini? per aiutarli a defluire ordinatamente? Non mi sembra proprio. Per chiudere i varchi? Per consentire al personale di stazione in sciopero di andarsene prima dal luogo di lavoro? Chi ha deciso che questo è un compito della polizia?
E perché il poliziotto che ho incontrato io era in quello smodato stato di eccitazione alle 8:30 di mattina? Si era caricato così da solo (e allora forse è inadatto al servizio)? Lo avevano caricato i suoi superiori con uno di quei discorsi che si vedono nei film americani (ragazzi, là fuori c’è l’inferno, ma faremo vedere di che pasta siamo fatti)? Aveva assunto – dio non voglia – sostanze eccitanti?
Domani, lunedì 26 giugno c’è un nuovo sciopero… Mi prendo un giorno di ferie.
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