Cazzimpèrio

Una parola nuova, almeno per me, che romano non sono.

Secondo il Vocabolario Treccani online è un “cibo composto di cacio grattato con burro, uova sbattute, latte o brodo”, si dovrebbe scrivere cacimpèrio o cacimpèro e, quanto all’etimologia, sarebbe un composto di cacio e di un secondo elemento ignoto. Poi, bontà sua, aggiunge che in alcune regioni centrali e meridionali è sinonimo di pinzimonio.

Ma se mi baso sulla ben più autorevole competenza gastronomica di Marco Guarnaschelli Gotti, sulla sua fondamentale Grande enciclopedia illustrata della gastronomia (io ho la vecchia e bellissima edizione del 1990), trovo la grafia cazzimpèrio e il rinvio a pinzimonio. L’altro significato di cacimperio Guarnaschelli Gotti l’attesta alla voce fonduta, ricordando che così la chiamava (peraltro disprezzandola, nel confronto con la fondue d’oltralpe) l’Artusi.

Quanto all’etimologia, resto dell’opinione che il cacio, almeno per quanto riguarda il pinzimonio, non c’entri nulla, e nemmeno il cazzo (nonostante la suggestiva proposta di Piero Camporesi che, commentano Artusi, ricorda che pinzimonio in romagnolo si dice cazzimpevar e rinvia agli effetti afrodisiaci dell’emulsione d’olio sale e pepe). Penso piuttosto alla radice kas- che riconosciamo nella casseruola.

Certo, il riferimento sessuale resta sullo sfondo (ma quante parole italiane non sono usate o usabili nei doppisensi?). Tre poesie in romanesco citano il cazzimpèrio:

  1. Un sonetto di Giuseppe Giacchino Belli, La vita de le donne (datato 10 febbraio 1832), troppo osceno per riportarlo qui (se siete curiosi potete trovarlo in Tutti i sonetti romaneschi pubblicati da Liber Liber al numero 408).
  2. Un secondo sonetto dello stesso autore, di poco anteriore e un po’ meno osceno, tanto che mi azzardo a riportarlo (si astengano le mammolette e gli stomaci delicati):

    294. La bbotta de fianco

    E cchi vv’ha ddetto mai, sora piccosa,
    che in ne la zucca nun ciavete sale?
    Io nun ho detto mai sta simir-cosa,
    ché discennola a vvoi, direbbe male.

    Anzi, le bburle a pparte, sora Rosa:
    pô esse tistimonio er zor Pascuale
    si jjerzera vôtanno l’orinale
    nun disse che vvoi sete appititosa.

    E cciaggiontai, guardate si cce cojjo,
    c’ortr’ar zale c’avete in ner griterio
    tienete er pepe drento a cquell’imbrojjo.

    Scappò allora ridenno er sor Zaverio:
    «Co ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo
    poderissimo facce er cazzimperio».

    10 novembre 1831

  3. Una poesia di Trilussa, in cui si immagina che già ai tempi di Nerone esistesse un’ostaria del Cazzimperio:E, lì, se tinse er grugno de carbone,
    se messe una giaccaccia e serio serio
    agnede all’osteria der Cazzimperio
    framezzo a li gregari de Nerone.
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