Nesi, Edoardo (2010). Storia della mia gente. La rabbia e l’amore della mia vita da industriale di provincia. Milano: Bompiani. 2010.

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Di Edoardo Nesi abbiamo già parlato qui, recensendo il suo bellissimo romanzo L’età dell’oro e parlando del personaggio a tutto tondo di Ivo il Barrocciai.
Qui la storia del declino, vorrei dire della morte, di Prato e del suo sogno non è raccontato come romanzo, ma come cronaca e autobiografia collettiva. Quindi è molto più amara, e manca del riscatto dell’arte (lo so, non è un concetto molto chiaro e forse è un po’ retrivo, come le categorie crociane di poesia e impoesia, ma forse riuscite a capire lo stesso). Insomma, Ivo era sì il paradigma del piccolo imprenditore pratese e viveva una sua irresistibile ascesa, seguita da decline and fall. Ma era la potenza del personaggio, a tutto tondo, a rendere la storia avvincente e indimenticabile. Era anche, naturalmente, l’epopea della città, che ne era lo sfondo e il deuteragonista.
Qui la vicenda di Prato è la vita e la pelle di Nesi stesso, la storia della famiglia. Forse affiora troppo, anche se è comprensibile, il dolore e il rancore verso chi non ha capito o non è voluto intervenire. Prato non si poteva salvare dall’interno, ma si sarebbe potuto farlo dall’esterno? O è stata tagliata fuori ineluttabilmente dall’esplosione dell’economia cinese, come Bruges dall’avanzare della linea di costa?
Penso si capisca bene che le parti del libro che ho apprezzato meno sono quelle in cui Nesi lascia spazio ai temi dell’invettiva e della recriminazione. Ma poiché è un grande scrittore, molte pagine sono veramente belle e vere:
La cosa singolare e letteraria è che, per fare pari, Ines [la tessitura dei Nesi] non pagava né l’affitto ai proprietari del capannone, che eravamo noi, né lo stipendio agli amministratori, che eravamo sempre noi. L’incasso delle fatture del nostro unico cliente serviva a pagare la corrente elettrica, le spese legate alla produzione, la manutenzione delle macchine, i pochi ammortamenti, il ragioniere che teneva la contabilità, il commercialista e gli operai. E, naturalmente, l’IRAP dell’onorevole Visco – sempre sia lodato.
L’involontaria realizzazione dei principi dello statalismo comunista sovietico attraverso Ines non fu decisa a tavolino dal consiglio d’amministrazione, peraltro composto di vecchi liberali, ma diventò necessaria con l’aumentare pressoché giornaliero dei costi di struttura e il parallelo contrarsi dei ricavi, finché non restò l’unico tacito modo per non chiudere la tessitura – cosa che non volevamo fare, cascasse il mondo. Fu così che nacque l’ultima e la più curiosa delle innumerevoli incarnazioni dell’imprenditore: l’Imprenditore no-profit. [p. 95]
Non riesco a sfuggire all’impressione che questa dell’imprenditore no-profit è più di una trovata letteraria, è un’intuizione capace di spiegare molto del sistema produttivo italiano, fatto di imprese di sussistenza per le famiglie dell’imprenditore e delle sue maestranze, un grande ammortizzatore sociale, come lo stesso Nesi ipotizza tra il serio e il faceto (una modesta proposta à la Swift) nella pagina successiuva.
Non mancano anche le riflessioni sulla poetica, anzitutto su quella dello stesso Nesi. Trovo questa pagina bellissima:
Per sempre [il titolo del suo romanzo più recente] sta a significare che a quarantaquattro anni mi sono reso finalmente conto che il costo della vita sono i ricordi; che ogni legame con la mia giovinezza è ormai affidato solo alla memoria, mostro implacabile e impossibile da zittire; che esistono cose e persone e avvenimenti e amori e dolori e felicità laceranti che non riuscirò mai più a dimenticare e che saranno con me, appunto, per sempre; che la lavagna della mia vita, insomma, non si può cancellare, e ogni cosa che mi venisse in mente di scriverci sopra dovrà trovare posto nei pochi spazi ancora vuoti. [p. 83]
Sono stato a lungo tormentato dal significato delle parole sempre e mai, tra le più terribili della vita e dell’esperienza umana, parole che inducono tanto spavento da generare mostri privati e allucinazioni collettive, speranze e religioni. Mi sembra che Nesi, in un libro che parla di tutt’altro, abbia trovato una delle risposte.