Quando ho scoperto Bill Frisell, molti anni fa (esplorando Disfunzioni musicali) mi aveva fatto pensare irresistibilmente al Ray Bradbury delle Cronache marziane. La musica di Frisell, con le sue chitarre distorte, mi faceva pensare a un intero pianeta vagamente alieno, interamente coperto di praterie, dove il vento ululando piegava gli steli dell’erba. Una specie di smisurato Kansas, dove i coloni lottavano come pionieri contro una natura ostile.
Frisell – ormai quasi sessantenne – non ha mai smesso di esplorare mondi alieni, ma anche forme musicali, come testimoniano la sua discografia e le sue molte collaborazioni. Il concerto di ieri era essenzialmente un concerto di Vinicius Cantuária e delle sue canzoni. Eppure, era anche indiscutibilmente un concerto di Frisell: senza mai essere invadente, è riuscito a dare la sua impronta stilistica a ogni singolo brano. Uno di quei concerti in cui non guardi mai l’orologio e ti sembrano finire troppo presto.
Qui un brano dal concerto del 7 gennaio a Vienna, caldo caldo:
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