Eugenio Montale, coetaneo di mio nonno, avrebbe compiuto 115 anni ieri, 12 ottobre.
Con un giorno di ritardo lo celebro con una sua poesia.
Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti, che roti la tua cresta
sopra l’aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muore più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
aligero folletto, e tu lo ignori
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L’ùpupa è calunniata dai poeti perché Ugo Foscolo, ne I sepolcri, ne fa erroneamente un lugubre uccello notturno:
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture.
Un altro poeta calunnaitore è Ovidio che, nelle Metamorfosi (VI, 420-675), associa l’ùpupa a uno dei miti più sanguinosi, che riporto qui sotto nel riassunto che ne fa Wikipedia:
Atene, assediata da non meglio specificati barbari, è stata liberata con l’aiuto di Tereo; in segno di riconoscenza, Pandione gli concede in sposa Procne, in un matrimonio in cui però a officiare non sono Giunone o Imeneo, ma le Eumenidi. Tereo e la moglie tornano dunque in Tracia, dove nasce il loro figlio Iti.
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Passano cinque anni felici, finché Procne prega Tereo di andare a Atene, a chiedere al vecchio Pandione di lasciare venire in Tracia Filomela, sua sorella, di cui sente grande mancanza. Tereo fa come chiede la moglie, ma appena vede Filomela ad Atene viene preso da una sconfinata passione per lei. Pandione non si accorge di nulla e permette a Filomela di lasciare Atene, sotto la promessa di un rapido ritorno, sebbene abbia dei presagi.
I presagi sono ben motivati: appena sbarcati, Tereo porta in una stalla Filomela e la violenta.wikipedia.org
In preda alla disperazione, Filomela lamenta la sua condizione di anima ferita e colpevole contro la propria volontà, assicurando che rivelerà quanto è avvenuto agli uomini, ai monti, agli dèi. Tereo, preso da rabbia e paura, le mozza dunque la lingua con spada e tenaglia. Dopodiché si reca nuovamente da Procne, con la falsa notizia della morte di Filomela. Passa un anno e Filomela finalmente riesce ad ingegnarsi di scrivere su una tela la denuncia di quanto ha subito e a farla portare da una serva a Procne.
Procne, scoperto il tutto, sfrutta la notte seguente, quella in cui la Tracia celebra i baccanali, per liberare la sorella. Quindi, in cerca di vendetta, uccide Iti, cucinandolo per Tereo. Dopo che questi ha mangiato, ignaro di tutto, la carne di suo figlio, Filomela salta fuori sozza di sangue e gli tira in faccia la testa recisa di Iti. Tereo si getta dunque dietro di loro, ma tutti e tre si trovano mutati in uccelli: Tereo in upupa, Filomela in usignolo, Procne in rondine.corpora Cecropidum pennis pendere putares:
pendebant pennis. quarum petit altera silvas,
altera tecta subit, neque adhuc de pectore caedis
excessere notae, signataque sanguine pluma est.
ille dolore suo poenaeque cupidine velox
vertitur in volucrem, cui stant in vertice cristae.
prominet inmodicum pro longa cuspide rostrum;
nomen epops volucri, facies armata videtur. [Ovidio, Metamorfosi, VI, 667-674]Questa l’ampia e libera traduzione di Giovanni Andrea dell’Anguillara (1563), che trovate su Wikisource:
Il dolor co’l desio de la vendetta
Rendon l’offeso Re si crudo, e insano,
Ch’anch’ei fuor del balcon si lancia, e getta
Per punir quelle due co’l ferro in mano,
E mentre, che per l’arla anch’ei s’affretta,
E si sostien per non cader su’l piano,
Come à le Greche insidiose avenne,
Vede le membra sue vestir di penne.Lascia il ferro crudel l’ irato artiglio,
Et à la bocca un lungo rostro innesta,
L’armano molte penne intorno il ciglio,
Et hà l’ insegne regie anchora in testa,
E dimostra il dolor, ch’egli hà del figlio
Con la sdegnata vista atra, e molesta.
Upupa alza la cresta, e bieco mira,
E mostra il cor non vendicato, e l’ ira.Nel più propinquo bosco entra, e s’asconde
La Greca, che restò senza favella,
La lingua hoggi hà spuntata, e corrisponde
In parte à la sua sorte iniqua, e fella,
Piangendo và il suo duol di fronde in fronde
Con una melodia soave, e bella.
Tien del suo incesto anchor vergogna, e cura,
E non osa albergar dentro à le mura.Progne, che diede à la vendetta effetto,
E fu d’ogni altro error monda, e innocente,
Il nido tornò à far nel regio tetto,
E non hebbe vergogna de la gente.
Del sangue del figliuol anchora hà il petto
Macchiato, e se talhor le torna à mente,
Tanta pietà per lui la move, e ancide,
Che si querela un pezzo, e al fine stride.
Secondo Robert Graves (The Greek Myths), che racconta una variante del mito eceletticamente composta da diverse fonti, spiega in questo modo la metamorfosi: la rondine non ha lingua e vola in tondo, come Procne camminava in tondo, prigioniera; l’usignolo canta tristemente «Ἵτυ, Ἴτυ!», che vuol dire: «Iti, Iti!», lamentando la morte che ha involontariamente procurato al bambino; l’upupa grida: «Ποῦ, pou?», che significa «Dove, dove?», mentre dà la caccia alla rondine.
Tra i calunniatori dell’ùpupa metterei anche l’Antico Testamento, che lo annovera tra gli uccelli impuri, di cui è vietato nutrirsi (Deuteronomio 14, 18; Levitico 11, 19) e il monaco normanno Filippo di Thaon che nel suo Bestiario ne fa (in modo a me peraltro incomprensibile) un simbolo del peccato:
E il sangue indica il peccato da cui gli uomini sono legati:
quando l’uomo dorme nel peccato, il peccato alla morte lo trae;
allora il diavolo vuole coglierlo di sorpresa e strangolarlo.
Per questo dobbiamo lodare ed adorare Dio,
perché tale insegnamento mostra agli uomini:
ci propone un grande esempio
con il comportamento dell’upupa.
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