Proprio nei giorni in cui Samsung annunciava all’IFA di Berlino il suo smartwatch Galaxy Gear, giovedì 5 settembre 2013 a me è arrivato dopo una lunghissima attesa il Pebble, l’orologino finanziato in crowdfunding da kickstarter.com. Su questa piattaforma, Pebble Technology (di Palo Alto, CA, nella Silicon Valley) aveva chiesto un finanziamento di 100.000 $: in 37 giorni, tra l’11 aprile e il 18 maggio 2012, ne ha raccolti oltre 10 milioni da quasi 70.000 sottoscrittori.

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Quelli di Pebble Technology, per la verità, non lo chiamano smartwatch, ma E-Paper Watch, perché la tecnologia dello schermo è quella dell’e-paper: per capirsi, quella dei lettori di e-book. Rispetto alla tecnologia amoled del Galaxy Gear: bianco e nero, ma ottima leggibilità all’aperto. In realtà, mi pare di capire che il Pebble è tutta un’altra cosa: un accessorio dell’iPhone, non su un suo (potenziale) sostituto (dal Galaxy Gear si potrà fotografare e telefonare).
Adesso mi allontano dalle veline degli uffici stampa e vi dico la mia.
Intanto: perché ho comprato questo aggeggio? Soddisfa un qualche mio bisogno o desiderio (per esprimersi come si faceva nel 1977)? Certamente sì, ma non bisogni materiali, ma il desiderio incontenibile di avere tra i primi un oggetto, meglio se tecnologico: lo faccio almeno dal 1975 (la mia prima calcolatrice Texas Instruments programmabile) e nella nostra famiglia il primo personal computer (un Apple IIe) è arrivato prima del primogenito. In inglese si dice che sono un inveterato early adopter (Google translator si rifiuta di tradurlo).
La confezione è un pacchetto molto bello, che si apre strappando una linguetta (il Kindle di Amazon ha fatto scuola). Fabbricato in Cina, a me è arrivato con le poste di Singapore, in meno di 3 settimane. Dentro il pacchetto, in un’imbottitura integrata e sagomata, l’orologino e un cavetto USB per caricarlo.
L’orologio in sé è leggerissimo (40 g), di plastica lucida non particolarmente bella (Steve Jobs glielo avrebbe fatto mangiare, ai suoi). Di plastica anche lo schermo. Il cinturino, invece, è di gomma nera opaca (la dimensione è standard e dunque può essere sostituito agevolmente, il che mi fa pensare che si romperà presto). È spesso meno di 1 cm (meno del mio abituale Tissot Touch). Lo schermo è rettangolare: l’altezza è pressoché uguale a quella del Tissot, la larghezza inferiore, e al polso sta “normale” (mentre sospetto che il Galaxy Gear ti faccia sembrare strano). Ha 3 tasti sulla destra, 1 sulla sinistra: i tasti sono brutti e plasticosi, non facilissimi da schiacciare. Sulla sinistra c’è anche il connettore per la ricarica con quel cavetto USB di cui abbiamo già parlato. L’interfaccia non è standard: ci sono 2 contatti elettrici che aderiscono magneticamente: pertanto la connessione si stacca facilmente. D’altra parte era l’unica possibilità, temo, volendo conservare l’impermeabilità dell’oggetto.
L’orologio si collega all’iPhone (o all’iPad o a un telefonino Android) via Bluetooth e tutte le configurazioni si scaricano attraverso il sito e l’app. Oltre a poter scaricare vari display per visualizzare l’ora, il Pebble annuncia vibrando le telefonate e fa vedere chi sta chiamando, permette di controllare la musica e di ricevere le notifiche (posta e messaggi, fondamentalmente). L’altra funzione utile per me è quella di controllare RunKeeper (un’app per gestire la mia attività di fitness walker). Ma è integralmente programmabile, anche se non credo che mi metterò a scrivere codice.
La batteria dovrebbe, secondo loro, durare più di 7 giorni, ma ha me ha piantato in asso dopo poco più di 4 giorni. Ma va bene così.
Insomma, il Pebble serve fondamentalmente a non estrarre e guardare ossessivamente l’iPhone durante le riunioni o quando ci sono altre persone che si aspettano di avere tutta la tua attenzione. Non come nel clip virale che è circolato in questi giorni.
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