Se lo chiede Wired in un articolo pubblicato ieri (Hett Allain. “Should you wear white or black on hot days? Here’s the data“. 9 luglio 2019).
Domanda peregrina, direte voi. Chiaramente di bianco.
Risposta sostanzialmente corretta, ma non così immediata.

Wilhelm von Schreeb, Sweden [Public domain], via Wikimedia Commons
Perché allora i beduini si vestono spesso di nero?
E perché una rivista autorevole come Nature si pone seriamente la domanda (Shkolnik, Amiram; C. Richard Taylor; Virginia Finch & Arieh Borut. ” Why do Bedouins wear black robes in hot deserts?“. 24 gennaio 1980).
Andiamo con ordine. La risposta istintiva è che la maglietta bianca è più fresca perché riflette più radiazione solare: per questo è bianca. La maglietta nera ne assorbe molta di più, e per questo è nera. Fin qui tutto bene. Soltanto, stiamo parlando della luce visibile dai nostri occhi. È questa radiazione visibile che produce il bianco, il nero e tutti i colori.
La nostra ipotesi implicita è che questo sia vero anche per la radiazione invisibile: in questo caso quella infrarossa, che percepiamo come calore (radiazione termica) anche se non la vediamo. È un’ipotesi suffragata dalla scienza?
Sì. Anche se noi non vediamo queste radiazioni infrarosse, lo fanno per noi le macchine fotografiche a infrarossi (IR camera) e, soprattutto, lo ha fatto per noi Hett Allain nell’articolo su Wired. La maglietta nera assorbe molta più radiazione infrarossa di quella bianca (la bianca cioè riflette molta più luce invisibile, come accade per quella visibile). Per questo la nera, esposta al sole, diventa parecchio più calda. Nel suo esperimento, la nera raggiunge i 55 °C, la bianca si ferma a 44 °C. Non so voi, ma io magliette bianche tutta la vita, anche se ingrassano.
Un momento – dice un mio amico un po’ alternativo – la millenaria cultura beduina non può avere preso una cantonata.
Una possibilità (teorica) è che la maglietta bianca rifletta la radiazione termica del nostro corpo più di quella nera, come accade per la radiazione infrarossa solare. Intendiamoci, che gli indumenti riflettano verso il nostro corpo il calore che irradiamo è scontato: è per questo che ci vestiamo per tenerci al caldo, soprattutto d’inverno quando la temperatura esterna è più bassa. Il punto, però, è di capire se una maglietta bianca rifletta il calore corporeo apprezzabilmente di più di una maglietta nera. Hett Allain ha condotto un ingegnoso esperimento per sottoporre a test questa ipotesi, e la risposta è negativa: benché nello spettro della luce visibile i colori delle due magliette siano quanto di più diverso sia possibile percepire, nella gamma infrarossa hanno la medesima (scarsa) capacità di riflettere la radiazione termica del nostro corpo. È – per intenderci – il contrario di quanto accade con quelle coperte di alluminio che si usano per cercare di salvare gli assiderati: benché sottilissime, quelle hanno un’enorme capacità di riflettere il calore del corpo di quegli sventurati.
Resta un’altra possibilità per rendere alla civiltà beduina il merito che le spetta: l’effetto camino. In un indumento portato lasco, si crea una corrente d’aria dal basso verso l’alto che porta il calore lontano dal corpo, cioè fuori dall’intercapedine che si crea tra pelle e indumento. In questo modo, quella differenza di oltre 10 °C rilevata all’esterno potrebbe essere annullata all’interno. Ma perché questo funzioni è necessario portare tuniche ampie, e magari a più strati. Non so voi, ma le magliette che porto io sono, se non attillate, troppo aderenti per rendere possibile questo effetto.
Infine, l’articolo di Nature sottolinea un altro aspetto. Il bianco riflette più del nero la radiazione infrarossa (cioè quella con banda di frequenza dello spettro elettromagnetico inferiore a quella della luce visibile) ma assorbe più del nero quella ultravioletta (cioè quella con banda di frequenza dello spettro elettromagnetico superiore a quella della luce visibile). E sappiamo tutti, ormai, che gli ultravioletti fanno male alla pelle.
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