Riassumo da Wikipedia:
La cimosa (o cimossa) è il bordo non tagliato di una pezza di tessuto, il lato destro e sinistro quando esce dal telaio. Si viene a creare sui bordi laterali di un ordito quando la navetta, dopo aver posto il filo di trama nel passo, ritorna sull’altro lato. La distanza tra una cimossa e l’altra si chiama altezza e corrisponde alla larghezza effettiva della pezza di tessuto.
La cimosa può essere molto differente dal tessuto:
L’armatura della cimosa può essere diversa da quella del tessuto, sempre per motivi di resistenza: su un tessuto operato sovente è a tela. In alcuni casi è anche di colore differente, e se il tessuto viene stampato viene lasciata bianca.
I fili d’ordito nei pressi del bordo esterno vengono raddoppiati per lo spazio di pochi centimetri per rendere la cimossa più resistente.
Quando risulta bucherellata da minuscoli fori, significa che è stato usato un tempiale per mantenere costante la larghezza del tessuto.
Quando riporta scritte, sigle, marchi di fabbrica o altri segni convenzionali viene chiamata cimosa parlante; i segni possono essere tessuti o stampati con colore contrastante.
Per tutti questi motivi la cimosa non può essere utilizzata in un lavoro di sartoria ma deve essere nascosta o tagliata.
Questo ci porta al secondo significato di cimosa:
“striscia di panno arrotolata per cancellare le scritte di gesso sulla lavagna [De Mauro online]
A me risulta che questo secondo uso del termine “cimosa” sia diffuso soltanto in Toscana. Quando andavo a scuola io, a Milano, chiamavamo l’oggetto “cancellino” (o più spesso “scancellino”). Mi risulta che al Sud lo chiamino “cassino”. Quello che abbiamo in mente tutti, peraltro, è di feltro e non di cimosa!

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