Arlecchino compare nella Commedia dell’arte già nella seconda metà del XVI secolo e assume le caratteristiche attuali (il servo ignorante e astuto, sempre affamato, con il caratteristico costume a losanghe colorate) nel XVIII.

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Per noi è ormai una maschera carnevalesca buffa e rassicurante, ma Arlecchino nasconde un’origine diabolica come testimonia – oltre al nome – il ghigno nero.
Il nome, dicevamo: Arlecchino (Arlequin in francese e Harlequin in inglese) è la deformazione del tedesco Hölle König (“re dell’inferno”), poi Helleking, poi Harlequin. Nelle credenze pagane dell’antica Europa (poi assimilate alla stregoneria dall’egemonia cristiana: leggetevi la bella Storia notturna di Carlo Ginzburg), nel periodo invernale, quando predominavano le tenebre, le divinità infernali guidavano un corteo di morti, la Caccia selvaggia o Armata furiosa. Secondo Orderico Vitale, che ne parla nella sua Historia Ecclesiastica, questo corteo era noto anche come familia Herlechini, guidato da un demone gigante (Arlecchino, appunto).
Anche Dante nell’Inferno (XXI, 118-123) annovera Arlecchino tra i diavoli:
Tra’ ti avante, Alichino, e Calcabrina,
cominciò elli a dire, “e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina
Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo,
Cirïatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo.
In tedesco il re dell’inferno (Hölle König) si trasforma in re degli elfi (Erlkönig) e, come tale, ci regala questo bellissimo (e agghiacciante)Lied di Schubert (su testo di Goethe).
Ve lo propongo in 3 versioni, ma prima il testo, che vi farà capire meglio la bellezza dell’invenzione di Schubert.
Wer reitet so spät durch Nacht und Wind?
Es ist der Vater mit seinem Kind;
Er hat den Knaben wohl in dem Arm,
Er faßt ihn sicher, er hält ihn warm.
Mein Sohn, was birgst du so bang dein Gesicht? –
Siehst Vater, du den Erlkönig nicht?
Den Erlenkönig mit Kron und Schweif? –
Mein Sohn, es ist ein Nebelstreif. –
»Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele spiel ich mit dir;
Manch bunte Blumen sind an dem Strand,
Meine Mutter hat manch gülden Gewand.«
Mein Vater, mein Vater, und hörest du nicht,
Was Erlenkönig mir leise verspricht? –
Sei ruhig, bleibe ruhig, mein Kind;
In dürren Blättern säuselt der Wind. –
»Willst, feiner Knabe, du mit mir gehn?
Meine Töchter sollen dich warten schön;
Meine Töchter führen den nächtlichen Reihn
Und wiegen und tanzen und singen dich ein.«
Mein Vater, mein Vater, und siehst du nicht dort
Erlkönigs Töchter am düstern Ort? –
Mein Sohn, mein Sohn, ich seh es genau:
Es scheinen die alten Weiden so grau. –
»Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt;
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt.«
Mein Vater, mein Vater, jetzt faßt er mich an!
Erlkönig hat mir ein Leids getan! –
Dem Vater grauset’s, er reitet geschwind,
Er hält in den Armen das ächzende Kind,
Erreicht den Hof mit Mühe und Not;
In seinen Armen das Kind war tot.
Traduzione
Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.
“Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?”
“Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?”
“Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.”
“Caro bambino, su, vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro”.
“Padre mio, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?”
“Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.”
“Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna”.
“Padre mio, padre mio, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?”
“Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo;
i vecchi salci hanno un chiarore grigio.”
“Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza”.
“Padre mio, padre mio, mi afferra in questo istante!
Il re degli Elfi mi ha fatto del male!”
Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo,
nelle sue braccia il bambino era morto.
Dietrich Fischer-Dieskau, l’interpretazione di riferimento (con Gerald Moore al pianoforte):
Una versione orchestrata (da Hector Berlioz) con Anne Sofie von Otter (brava e bella) e Claudio Abbado che dirige la Chamber Orchestra of Europe:
Una spettacolare interpretazione della trascrizione di Liszt per pianoforte solo (vi assicuro che è anche tremendamente difficile) eseguita dal vivo da Sviatoslav Richter l’8 dicembre 1949 a Mosca:
lunedì, 17 ottobre 2011 alle 23:38
Grande Richter e geniale la trascrizione, ma le parole del Lied sono troppo belle per non essere cantate e ascoltate una