Ho trovato questo bell’articolo di David Spiegelhalter, pubblicato il 21 marzo 2012 sul blog Understanding Uncertainty di cui ho già parlato in un’altra occasione. L’ho trovato così bello che mi cimento per voi nella sua traduzione (con qualche minima libertà).

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Secondo un articolo pubblicato di recente (Pan et al. “Red Meat Consumption and Mortality. Results From 2 Prospective Cohort Studies“. Archives of Internal Medicine. Published online March 12, 2012. doi:10.1001/archinternmed.2011.2287) un maggiore consumo di carni rosse è associato con maggiori rischi di mortalità totale, per malattie cardiovascolari e per cancro. La notizia è stata meravigliosamente ripresa dai giornali: ad esempio, il Daily Express ha scritto che ‘se la gente riducesse l’ammontare di carne rossa che consuma – bistecche e hamburger, per capirsi – a meno di mezza porzione al giorno, il 10% di tutti i decessi potrebbe essere evitato‘.
- dailyexpress.co.uk
Caspita, sarebbe bellissimo trovare qualche cosa che riduce del 10% tutti i decessi. Purtroppo, non è questo che dice l’articolo scientifico. Le conclusioni principali sono che una porzione aggiuntiva di carne rossa al giorno, dove una porzione sono 85 g – un pezzo di carne delle dimensioni di un mazzo di carte, meno di un hamburger standard (il quarter pounder pesa 113,4 g) – è associata con un hazard ratio («rapporto di rischio») di 1,13, cioè con un rischio di morte aumentato del 13%. Ma che cosa vuol dire questo? Sicuramente il nostro rischio di morte è già del 100% e un rischio del 113% non sembra avere molto senso, no? Per capire veramente che cosa significa un hazard ratio di 1,13 dobbiamo fare qualche calcolo.
Prendiamo 2 amici, Carlo e Nando: tutti e 2 hanno 40 anni, lo stesso peso, lo stesso consumo di alcol, lo stesso tempo dedicato allo stare in forma fisica, la stessa storia medica familiare … ma non necessariamente lo stesso reddito, lo stesso grado di istruzione e lo stesso standard di vita. Carlo il carnivoro pranza nei giorni feriali, dal lunedì al venerdì, con un hamburger (diciamo un quarter pounder). Nando il normale non mangia mai carne a pranzo nei giorni feriali, ma per il resto dei pasti segue una dieta simile a quella di Carlo. Non ci stiamo occupando minimamente di Vincenzo il vegetariano, che la carne non la mangia mai.
Ognuno dei 2 fronteggia ogni anno un rischio di morire: il termine tecnico è hazard. Perciò un hazard ratio di 1,13 significa che, per 2 persone come Carlo e Nando, che sono simili salvo che per il maggior consumo di carne rossa, quello che ha il fattore di rischio (Carlo) ha ogni anno un rischio di morire più elevato del 13%, per tutto il periodo di osservazione (circa 20 anni).
Ma questo non significa che vivrà il 13% meno di Nando, anche se questo è il modo in cui molti hanno interpretato la cifra. E allora come influenza la durata della loro vita? Per saperlo dobbiamo ricorrere alle Interim Life Tables pubblicate dall’Office of National Statistics (in Italia le pubblica l’Istat e noi le chiamiamo Tavole di mortalità): potete trovarle qui, ma per avere dati comparabili con quelli inglesi dovete selezionare nel menu a sinistra l’ultimo anno pubblicato, il 2008).

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La figura mostra una parte delle tavole riferite ai maschi e al periodo 2008-2010 per Inghilterra e Galles. La colonna lx [perdonatemi, ma non so come si inseriscono i deponenti nell’editor di wordpress] mostra, su 100.000 nati maschi, quanti ci aspettiamo sopravvivano fino all’x-esimo compleanno (lo potete leggere nelle diverse righe). La colonna qx ci dice la quota di maschi che raggiungono l’età x che ci aspettiamo muoiano prima di aver raggiunto il loro (x+1)-esimo compleanno – questo è l’hazard (l’Istat lo chiama ‘probabilità di morte’). Ne consegue che dx è il numero di maschi che ci aspettiamo muoiano durante il loro x-esimo anno, dove dx = qx · lx: per esempio, su 100.000 nati-vivi maschi, ci aspettiamo che 503 muoiano durante il loro primo anno, ma soltanto 33 tra il primo e il secondo compleanno. La colonna intestata ex mostra la speranza di vita di qualcuno che abbia raggiunto il suo x-esimo compleanno – Spiegelhalter fa vedere come si calcola, ma io ve lo risparmio perché so che soltanto a farvi vedere il simbolo Σ mi abbandonereste e io invece voglio che seguiate il ragionamento principale fino alla fine. L’importante è sapere che dx ed ex sono legati da una precisa relazione matematica.
Se consultiamo le tavole originali dell’ONS, vediamo che un maschio di 40 anni può aspettarsi di viverne altri 40 (i numeri sono grosso modo gli stessi se consultiamo le tavole italiane dell’Istat). Attenzione, questo non vuol dire quanto a lungo ciascuno vivrà – può essere di più, può essere di meno, 40 anni è una media. [Per di più, è basata sull’hazard qx corrente – ma in effetti ci si può aspettare che le cose migliorino via via che invecchia (ad esempio, per i progressi della medicina). Tavole che prendono in considerazione possibili variazioni degli hazard si possono calcolare e si chiamano di coorte (invece che di periodo). L’ONS le pubblica qui. Secondo queste tavole, un uomo di 40 anni può aspettarsi di viverne altri 46.]
Bene. Usiamo per semplicità i valori di periodo. Poiché abbiamo detto che Nando il normale mangia una quantità media di carne rossa, gli assegneremo i valori dell’uomo medio. Possiamo vedere l’effetto di un hazard ratio di 1,13 moltiplicando per questo valore tutta la colonna qx e ricalcolando prima dx e poi il valore dell’aspettativa di vita a 40 anni: il nuovo valore, che possiamo associare a Carlo il carnivoro, è di 39 invece di 40. Quindi, secondo i risultati dell’articolo, il consumo extra di carne rossa è associato a – anche se non necessariamente causa di – la perdita di un anno di aspettativa di vita.
Un anno su 40, cioè circa una settimana all’anno, o ½ ora al giorno. Vale a dire, che un’abitudine inveterata a mangiare per tutta la vita un hamburger a pranzo è associata alla perdita di ½ ora al giorno, molto di più del tempo che ci si mette a mangiare un hamburger. E – come abbiamo detto nel post Microlives – ½ ora di aspettativa di vita è anche associato a 2 sigarette, a 2 pinte di birra ed essere sovrappeso di 5 kg.

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Naturalmente, questo non significa che Carlo perderà esattamente quel tempo di vita. Anzi, non possiamo nemmeno contare sul fatto che Carlo muoia prima di Nando. Anzi è stato provato (Spiegelhalter ne parla qui) che se ipotizziamo che se un hazard ratio pari ad h è mantenuto costante per tutta le loro vite, la probabilità (per l’esattezza, gli odds) che Carlo muoia prima di Nando è esattamente pari ad h. E poiché gli odds sono definiti come p/(1-p), dove p è la probabilità che Carlo muoia prima di Nando, avremo:
p = h / (1 + h) = 1,13 / 2,13 = 0,53
Cioè c’è il 53% di probabilità che Carlo muoia prima di Nando, invece del 50%. Non poi un granché.
Un’altra cosa. Non possiamo neppure dire che la carne rossa è la causa diretta della perdita di speranza di vita: cioè, che se Carlo smettesse di ingozzarsi di hamburger, la sua speranza di vita aumenterebbe. Forse c’è un altro fattore, nascosto, che causa sia l’appetito per la carne rossa di Carlo, sia la sua diminuita speranza di vita.
Ad esempio, il reddito. Negli Stati Uniti, le persone a basso reddito sono associate sia a un maggior consumo di carne rossa, sia a una speranza di vita ridotta. Ma l’articolo di cui abbiamo parlato fino adesso, come abbiamo accennato all’inizio, non ha tenuto conto delle differenze di reddito …
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Per quello che mi riguarda, recupererò quella mezz’ora dormendo un po’ meno la notte …
venerdì, 4 luglio 2014 alle 10:50
[…] of risk dell’Università di Cambridge e di cui abbiamo già parlato in questo blog, qui e […]