L’altro giorno, la funzione shuffle di iTunes mi ha riproposto il brano La collina dall’album Non al denaro, non all’amore né al cielo di Fabrizio De André (e Nicola Piovani e Fernanda Pivano e Giuseppe Bentivoglio e un po’ di Gian Piero Reverberi …). E qui è scattata tutta una catena di serendipità. Ma sarà il caso di andare con ordine.

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Quello che ha messo in moto il filo di pensieri che alla fine conduce a questo post sono i tre versi finali della canzone di De André, quando commemora il suonatore Jones:
Dov’è Jones il suonatore
che fu sorpreso dai suoi novant’anni
e con la vita avrebbe ancora giocato.Lui che offrì la faccia al vento
la gola al vino e mai un pensiero
non al denaro, non all’amore né al cielo.Lui sì sembra di sentirlo
cianciare ancora delle porcate
mangiate in strada nelle ore sbagliatesembra di sentirlo ancora
dire al mercante di liquore
“Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”
I versi incriminati sono gli ultimi 3, e mi sono sembrati degni di rappresentare l’inno ufficiale dei fautori della decrescita felice. Jones è nel disco (forse anche nell’originaria raccolta di poesie, che però ho letto ormai moltissimi anni fa – certamente prima dell’uscita dell’LP di De André) un personaggio positivo. Nel disco chiaramente l’autore (musicista anche lui) ci si immedesima: non è un caso che le parole che danno il titolo all’album («non al denaro, non all’amore né al cielo») siano un programma che rispecchia la filosofia anarchica di De André. Lo stesso si può dire del finale della canzone dedicata al suonatore Jones, che chiude il disco: «ricordi tanti / e nemmeno un rimpianto».
Jones – l’artista e il giullare, ma anche il saggio che ha capito e praticato che la vita si prende cogliendo tutto quello che offre («ricordi tanti») ma senza preoccuparsi delle occasioni mancate («nemmeno un rimpianto») – si contrappone al mercante di liquore (il rappresentante del calcolo economico, per il quale – suppongo – le azioni sono motivate dalla prospettiva di guadagno). Insomma, valore d’uso contro valore di scambio: «Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?»
Devo immaginare che questa sia farina del sacco di Fabrizio De André. La terzina di cui stiamo parlano, infatti, non c’è nella traduzione di Fernanda Pivano:
Dov’è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant’anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all’amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.

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E, naturalmente, non c’è neppure nell’originale di Edgar Lee Masters:
Where is Old Fiddler Jones
Who played with life all his ninety years,
Braving the sleet with bared breast,
Drinking, rioting, thinking neither of wife nor kin,
Nor gold, nor love, nor heaven?
Lo! he babbles of the fish-frys of long ago,
Of the horse-races of long ago at Clary’s Grove,
Of what Abe Lincoln said
One time at Springfield.

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Prima conclusione: lo scambio di battute – e la contrapposizione di visioni della vita – tra il suonatore Jones e il mercante di liquore sono un’invenzione di De André. Anche alla luce delle altre cose che De André ha detto scritto e cantato, è un messaggio non secondario lanciato a noi ascoltatori. Premiamoci, dunque, prima di andare avanti, ascoltando il brano:
Per quanto suggestiva, la terzina di De André dice una cosa falsa. Riflettete un momento, amici fautori della decrescita felice: non di solo pane vive l’uomo e non di solo liquore vive il mercante di liquori! Quand’anche per la maggior parte del tempo il mercante di liquore se ne stesse stravaccato per terra in uno stato stuporoso a consumare i propri alcolici, avrà pur avuto bisogno di cambiarsi gli indumenti di tanto in tanto. O magari gli sarà venuta la voglia di sentire Jones suonare, il flauto o il violino che fosse. In quel momento, avrebbe valutato la musica o la biancheria pulita “qualcosa di migliore” dei suoi liquori e sarebbe stato indotto a privarsene in cambio dei beni o dei servizi di cui aveva bisogno.
D’altro canto, anche Jones per offrire «la gola al vino» – a meno di rubarlo, il liquore – avrebbe dovuto offrire al mercante un po’ della sua musica, o più semplicemente qualche moneta.
Ecco che il valore d’uso e il valore di scambio – per usare la terminologia classica che abbiamo utilizzato prima – non sono rappresentativi di due visioni del mondo contrapposte, ma sono complementari: facce della stessa medaglia, momenti dello stesso processo.
Vi prego anche di notare una cosa, amici fautori della decrescita felice: in queste circostanze, questo scambio non è un gioco a somma nulla: il mercante valuta l’ascolto di un po’ di buona musica più del tenersi stretto il suo liquore, e Jones valuta il piacere di bagnarsi la gola più della fatica di suonare una giga. Tutti e due ci guadagnano, ognuno dal suo punto di vista. E ci guadagnano dal punto di vista della soddisfazione di un bisogno nell’atto del consumo (valore d’uso), prima del “calcolo economico” (valore di scambio).
Se le due parti dello scambio reputano di avere ognuna conseguito un guadagno, posso attribuire allo scambio un valore positivo. E quando sommo tutti i valori positivi di tutti gli scambi intervenuti in una determinata comunità o società in un determinato periodo di tempo, ho a disposizione una quantità che mi misura nel complesso (o nell’aggregato, come dicono gli economisti per complicare le cose semplici) quanto in quel periodo quella società è stata capace di soddisfare bisogni attraverso gli scambi. Questo, al fondo di tutto, semplificando e saltando un bel po’ di passaggi, è il famigerato PIL. E se, confrontando due periodi della stessa durata nella medesima società trovo che il periodo più recente presenta un PIL più elevato di quello meno recente, posso dire che c’è stata crescita (economica).
Come tutto questo abbia a che fare con la divisione del lavoro, con il famoso (e famigerato) discorso di Robert Kennedy e con la finitezza delle risorse planetarie ve lo racconterò in una prossima puntata, ve lo prometto.
* * *
Ma prima di chiudere lasciate che vi metta una pulce nell’orecchio, amici fautori della decrescita felice. La parola crescita ha un suo contrario in italiano; anzi ne ha più di uno: calo in primo luogo, ma anche arretramento, regresso, diminuzione, recessione. Non lo dico io, lo dice il Vocabolario Treccani dei sinonimi e dei contrari:
crescita /’kreʃita/ s. f. [der. di crescere]. – 1. a. [il diventare più grande, per processo naturale e progressivo: avere una c. normale, stentata] ≈ sviluppo. b.[l’aumentare in estensione o in lunghezza: la c. dei capelli, di un tronco] ≈ accrescimento, allungamento, (non com.) crescenza, ingrandimento, sviluppo. ↔ accorciamento, rimpiccolimento. c. (estens.) [il divenire adulto] ≈ maturazione. 2.a. [il diventare maggiore in relazione a determinate qualità o condizioni, anche fig.:c. di peso; c. in lunghezza; la c. dell’inflazione] ≈ aumento, sviluppo. ↔ calo, diminuzione. b. (fig.) [il progredire di una società, un paese e sim.: la c. democratica, culturale di una nazione] ≈ avanzamento, progresso, sviluppo. ↔ arretramento, regresso. c. (econ.) [aumento del reddito nazionale in un dato periodo di tempo: c. zero; calcolare il tasso di c. di un paese] ≈ avanzamento, sviluppo. ↔ recessione. 3. [il fatto di occuparsi di un bambino trasmettendogli valori culturali e morali considerati importanti ai fini educativi: occuparsi personalmente della c. dei propri figli] ≈ educazione.
E allora perché a voi hanno insegnato a dire decrescita?
Sospetto che sia perché arretramento, regresso, diminuzione, recessione sono termini connotati negativamente, mentre decrescita e i suoi equivalenti stranieri (degrowth in inglese, décroissance in francese, decrecimiento in spagnolo) – parole inventate lì per lì – suonano neutre.
È un vecchio trucco: cambiare il modo di parlare per cambiare il modo di pensare. È un vecchio trucco dei regimi totalitari, che vogliono manipolare il pensiero critico. È la neolingua (Newspeak) di 1984 di George Orwell.
APPENDIX
The Principles of NewspeakNewspeak was the official language of Oceania and had been devised to meet the ideological needs of Ingsoc, or English Socialism. […]
The purpose of Newspeak was not only to provide a medium of expression for the world-view and mental habits proper to the devotees of Ingsoc, but to make all other modes of thought impossible. It was intended that when Newspeak had been adopted once and for all and Oldspeak forgotten, a heretical thought – that is, a thought diverging from the principles of Ingsoc – should be literally unthinkable, at least so far as thought is dependent on words.
In campana, amici fautori della decrescita felice, prima che sia troppo tardi: pensate criticamente e non date mai niente di acquisito una volta per tutte.
giovedì, 14 novembre 2013 alle 1:33
Non per difendere i fautori della decrescita, ma ti devo correggere sul francese décroissance, che è una parola che esiste non solo sui dizionari contemporanei [1], ma anche sul Littré [2] che è il dizionario di riferimento per la lingua dell’Ottocento [2].
Un altro esempio odioso di parola che sembra una forzatura del newspeak post-moderno è problematica, al posto di problema; o problematic, come sostantivo in inglese. A quanto pare è mutuata dal francese problematique che a sua volta l’ha presa maltraducendo problematische Urteile.
[1] http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/advanced.exe?8;s=1637762235;
[2] http://littre.reverso.net/dictionnaire-francais/definition/decroissance
venerdì, 15 novembre 2013 alle 12:13
Devo dire in verita’ che non ho compreso appieno l’accostamento della canzone al tema della decrescita, e questo e’ certamente un problema mio. Ma scrivo qui per rimarcare come spesso le stesse parole dicono cose diverse a persone diverse. Amo molto la canzone citata, ed ho sempre interpretato l’ultimo verso come “Secondo te che vendi liquori, qual’e’ il migliore che hai (visto che lo compri per te’)” detto da Jones per sfruttare la conoscenza del mercante ad avere un “consiglio sull’acquisto” 🙂
Come chiunque legga una cosa in un certo modo, non avevo mai pensato ad una possibile interpretazione diversa della frase, e ringrazio l’autore per avermi dato una diversa chiave di lettura, che mi lascia qualche perplessita’ ma che e’ comunque sicuramente plausible e molto suggestiva.
FG
venerdì, 11 settembre 2020 alle 14:45
Carissimo, premetto che non mi riconosco nella decrescita felice nè in movimenti o partiti vari… ho letto con attenzione il tuo scritto…interessante! Ma ora ti racconto una storia: un uomo camminava in un bosco quando la sua attenzione fu attratta da un fiore che non aveva mai visto. Lo colse..tornó a casa, iniziò a studiarlo…lo esaminó con la lente di ingrandimento ma non gli bastò…si procuró un potente microscopio, ma voleva sapere di più di quel fiore…ne sezionó petali e gambo, scoprì persino la sua conformazione cellulare…fino ai limiti del conoscibile! Eppure, a mio avviso, non colse nulla. Non comprese il fiore. Perché lui si era fermato a raccogliere qualcosa che aveva parlato al cuore….non alla sua mente! Questo per dirti che a “sezionare De Andrè “ e a mettere i testi sotto il microscopio si rischia di perdere ciò che li rende potenti e che li fa parlare ai cuori. Ma questa è una mia, personale, convinzione. Buon lavoro.