Chiara Andolina: un Nobel subito!

La ricercatrice che vedete nella foto qui sotto è Chiara Andolina, un’italiana che lavora in un centro-studi sulla malaria in Thailandia. Sta nutrendo le zanzare oggetto delle sue ricerche.

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Il suo spirito di sacrificio e il suo amore per la ricerca mi sembrano difficili da battere, no?

Traduco per voi la storia originariamente scritta da Ed Yong e pubblicata su Mosaic (The Mosquito breeder | Mosaic).

La cosa peggiore del nutrire centinaia di zanzare con il tuo sangue non è il prurito – se lo fai abbastanza volte il corpo si abitua e non lo senti più. Non è neppure il dolore, anche se le zanzare devono pur sempre lacerare la pelle per raggiungere i vasi sanguigni. È che se la prendono comoda.

«Ti camminano su e giù sul braccio senza pungerti. Sei lì immobile e pensi: ‘Forza! non ho mica tutto il giorno’» dice Chiara Andolina.

Chiara lavora al Shoklo Malaria Research Unit, un laboratorio di fama mondiale al confine tra Thailandia e Myanmar. Dirige la sezione in cui le zanzare sono generate, allevate, infettate con il plasmodio della malaria e sezionate [eh sì, mi spiace, un altro crudele esempio di ricerca sugli animali].

Ci sono pochi centri di questo tipo in Thailandia, perché la zanzara del Sud-est asiatico è un animale delicato. In Africa, la malaria è trasmessa dall’Anopheles gambiae – un animale robusto e di bocca buona, che può digiunare per giorni, affrontare condizioni ambientali difficili e nutrirsi del sangue di molti animali.

La loro cugina asiatica, l’Anopheles dirus, è molto diversa. «Ci soffi sopra e loro sembrano pensare: ‘no, oggi non mi accoppio, sono un po’ turbata’». E poi si nutre esclusivamente di sangue umano: ecco perché Chiara deve nutrirle con il suo.

Come si vede nella foto, ogni quattro giorni infila il braccio nella gabbia attraverso la zanzariera e resta ferma per mezzora. «Sono viziate,» commenta.

Chiara ieri ha nutrito 600 zanzare ma a guardarle il braccio non lo diresti: a forza di farlo è diventata resistente agli allergeni presenti nella saliva delle zanzare (sono loro a causare il prurito e il gonfiore). Ma il suo capo, François Nosten, che ha dovuto sostituirla due settimane fa, ha il braccio ancora coperto di ponfi.

Le gabbie contengono due tipi di zanzare strettamente imparentate: Anopheles dirus B e C. Ma le due colonie devono essere tenute separate: se entrassero in contatto, l’errore sarebbe irreparabile. Sono identiche, anche al microscopio. La differenza è genetica. Trasmettono due parassiti diversi: l’Anopheles dirus B trasmette solo il Plasmodium falciparum, la principale causa della malaria da queste parti; l’Anopheles dirus C trasmette solo il  P. vivax. Chiara Andolina lo ha dimostrato sperimentalmente alcuni anni fa.

Solo le femmine pungono e usano le proteine del sangue umano per l’involucro delle uova. Ma devono essere fecondate da un maschio. Peccato che siano schizzinose sul sesso oltre che sul cibo.

Chiara deve costringerle. Si fa così: prima decapiti un maschio e anestetizzi la femmina. Poi inserisci i genitali del maschio nel corpo della femmina addormentata. Se lo fai bene, i due insetti (OK, un insetto e mezzo) si incastrano e lo sperma feconda le uova. Chiara ormai lo fa a mano e senza usare il microscopio.

Le uova galleggiano sull’acqua come zattere. Dopo due giorni si schiudono e diventano larve, che stanno a pelo d’acqua, respirando dal didietro e catturando con i peli che hanno sulla bocca particelle di cibo in sospensione.

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Le larve sono molto delicate. Ci vogliono due settimane perché diventino zanzare adulte, pronte per essere infettate e per le sperimentazioni. Chiara Andolina preleva il sangue dai malati di malaria e lo mette in un contenitore coperto da una membrana. Le zanzare – parecchie dozzine in un altro contenitore – bucano la membrana e succhiano il sangue.

Adesso sono infette. A questo punto la sicurezza è essenziale. La legge prescrive che almeno quattro porte sigillate si frappongano tra le zanzare e il mondo esterno. Chiara conta le sue zanzare tutti i giorni. Se ne mancasse anche una soltanto – ma non è successo mai – non potrebbe lasciare il laboratorio prima di averla trovata e uccisa.

«Non faccio questo lavoro per amore delle zanzare. Lo faccio per fornire parassiti alla ricerca, a due laboratori a Parigi e Singapore dove si sperimentano nuove medicine.» In particolare, si vuol scoprire se la primachina, efficace nel trattare le forme intraepatiche, sia in grado di interrompere il ciclo della trasmissione della malaria, impedendo l’infezione nelle zanzare stesse. Chiara Andolina vuole scoprire se le zanzare che si nutrono del sangue di pazienti trattati con primachina a basse dosi abbiano minori probabilità di essere infettate dal plasmodio.

A dosi elevate, la primachina può provocare effetti collaterali gravi. Ma se fosse in grado di interrompere il ciclo di trasmissione anche a basse dosi potrebbe essere alla base di una campagna per la completa eliminazione della malaria dal Sud-est asiatico, attraverso un trattamento di massa della popolazione.