Onfray, Michel (2008). Politiche della felicità (trad. Gregorio De Paola). Firenze: Ponte alle Grazie. 2012. ISBN: 9788862202855. Pagine 320. 23,00 €

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Un altro libro che avrei potuto fare a meno di leggere.
Naturalmente, ho una lunga serie di scuse, da fare invidia a quelle giustamente celebrate di John Belushi nei Blues Brothers:
[Jake] No, I didn’t. Honest… I ran out of gas. I… I had a flat tire. I didn’t have enough money for cab fare. My tux didn’t come back from the cleaners. An old friend came in from out of town. Someone stole my car. There was an earthquake. A terrible flood. Locusts! IT WASN’T MY FAULT, I SWEAR TO GOD!
Ecco il mio elenco:
- È un regalo di natale (2012), di quelli che ti dicono di farti da solo perché non hanno il tempo o la possibilità di farlo per te e, se provi a evitarlo, ti dicono che i bambini noteranno che tu sotto l’albero non hai niente.
- Il luogo del delitto è una libreria che amo da decenni (Milano Libri in via Verdi a Milano) e rispetto alla quale ho l’ingenua credenza che non possa rifilarmi fregature senza almeno un cenno di avvertimento, persino la mattina della vigilia.
- La copertina è sobria e accattivante, con il faccione di Bakunin su sfondo color “finto cartoncino invecchiato”.
- La casa editrice è passabilmente seria.
- Un’amica francese di mia moglie, una volta che avevo notato libri di questo Onfray a casa sua, me ne aveva parlato con entusiasmo.
- Il titolo (Politiche della felicità) mi aveva fatto pensare che, pur essendo la quinta parte di una (contro-) storia della filosofia, parlasse di temi di cui mi occupo (anche) professionalmente. In realtà è la traduzione libera e un pochino furbesca del titolo francese (L’Eudemonisme social). È vero che si potrebbe sostenere che è quasi la stessa cosa, ma l’eudemonismo non vende una copia, la felicità sì (e io sono il tedoforo dei polli).
- Non avevo visto nessuna foto dell’autore, che ha la faccia quintessenziale dell’intellettuale bo-bo francese e che mi avrebbe reso mooolto diffidente verso le suoe opere.
- Le cavallette!

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Il libro – l’avrete intuito, perspicaci come siete – vale ben poco. Almeno secondo me. Se al liceo o all’università avevate studiato un po’ di filosofia, le cose che racconta Onfray e che valeva la pena di sapere le sapete già. Le altre, quelle che Onfray racconta e che voi non sapevate, in genere non valeva la pena di saperle.
Non tutti la pensano come me. Sulla pagina di Amazon del libro (qui) c’è il commento di un lettore, Marco Viviani, che la pensa in modo diametralmente opposto al mio:
Cercavo un riassunto non banalizzante del pensiero utopistico dell’800. Credo di averlo trovato, nonostante sia solamente a metà del libro.
* * *
Poche citazioni, un po’ perché il libro è quello che è, un po’ perché l’ho letto su carta e copiare stanca:
Sulla libertà [di John Stuart Mill, 1859] afferma che l’epoca soffre di mali pericolosi: tirannide della maggioranza, dittatura dell’opinione, unidimensionalità prodotta dall’economia, potere considerevole del giornalismo, potenza dell’opinione pubblica, sviluppo dei mezzi di trasporto. [p. 138]
[…] Robert Owen lascia idee forti nel mondo socialista e comunista: il liberalismo causa l’impoverimento e non la prosperità di tutti; la miseria che esso genera dipende dalla cattiva ripartizione sociale che può essere soppressa da un diverso modello di distribuzione, la delinquenza è un prodotto della società e non degli individui; la religione rappresenta un fattore di conservazione sociale; l’uomo nuovo è possibile mediante un uso appropriato della ragione e grazie a una pedagogia libertaria; la politica è inseparabile dall’etica; il bene supremo di una comunità non coincide con l’aumento della ricchezza nazionale, ma della felicità dei cittadini; i disagi fisici e psichici degli individui e delle comunità derivano dalla logica cristiana che colpevolizza e dalla teoria liberale che emargina. [p. 180]
Il personaggio [Bakunin] ha l’eleganza dei suoi eccessi, se non l’eccesso delle sue eleganze. [p. 236: soltanto un intellettuale francese poteva scrivere una frase così]
Grandezza di ciò che chiamerò una politica dei piccoli passi la quale implica, secondo il principio di Gulliver, che una moltitudine di piccoli lacci possa durevolmente impastoiare un gigante. [p. 272]
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