Lipari, l’iPhone e la negromanzia: un ripensamento

A volte basta poco: una notte di riposo, una bella giornata autunnale, la prospettiva di una breve vacanza e il pessimismo si dissipa. Per continuare la metafora da spiaggia: una bella doccia che lava via la sabbia, un cambio di biancheria pulita e l’irritazione scompare.

E se non fosse la scomparsa dei fatti o l’uso di armi di distrazione di massa, come temevo ieri, ma una prima ammissione di sconfitta della corporazione dei professionisti della comunicazione? Un arretramento non tanto verso le notizie, spesso strillate e quasi sempre imprecise (oppure: quasi sempre strillate e spesso imprecise, scegliete voi) di facebook; ma rispetto all’onesto lavoro di siti come meteoweb.eu e al citizen journalism (suppongo, anche se non mi pare si tratti di siti esaltanti) dei siti a loro volta citati dall’articolo di meteoweb: Il notiziario delle Eolie online e Lipari.biz…? Se fosse così sarebbe tutto considerato una buona notizia, perché ci lascerebbe la possibilità di cercare e trovare le informazioni di prima mano, con qualche rischio di affidabilità (ma perché, quelle della “grande stampa”, dove i professionisti sono una minoranza, e quelli seri una minoranza sparuta, sono notizie attendibili?) ma con la possibilità di controllarle attraverso un piccolo lavoro di comparazione e collaborando tra “utenti” per definire insieme la reputazione delle fonti. L’informazione di massa continui a rimpallarsi i commenti dei commenti dei commenti, in un gioco autoreferenziale. E se qualche professionista vuole continuare a fare il giornalista, scelga oculatamente il suo campo.

Arthur C. Clarke

wikipedia.org

Chiara Giaccardi mi dà una soddisfazione ancora maggiore. Non perché abbia cambiato opinione sulla dose di superciliosa fuffa che ci propina nel suo fintamente dotto commento (se fosse dotta davvero, saprebbe che cosa Arthur C. Clarke, il famoso autore di fantascienza padre, tra l’altro, del racconto ispiratore di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, ha scritto nell’ormai lontano 1961):

Any sufficiently advanced technology is indistinguishable from magic. [Profiles of the Future, 1961: una raccolta di saggi, non un romanzo]

E su questo blog abbiamo anche citato (qui)  la frase di Leonardo che capovolge l’affermazione di Clarke:

Questa cosa […] ha del magico, come ogni tecnologia desueta: dateci un altro secolo di microonde, e i nostri nipoti guarderanno con occhi sbarrati la pentola che bolle.

E dunque? Dunque ci pare di vedere una mossa difensiva. Ci pare di vedere un senso in tutto questo attaccare, da parte delle gerarchie cattoliche, Harry Potter e l’iPhone. Il messaggio è: perché seguire le mode del momento, quando noi abbiamo da offrire un modello tried and tested da 2000 anni? Perché agitare la bacchetta magica quando abbiamo l’aspersorio con l’acqua benedetta? perché «azzerare l’intervallo tra desiderio e realizzazione» con l’iPhone quando possiamo offrirvi la vita eterna? Don’t settle for less!

Eppure ,tutta questa attenzione segnala un po’ di nervosismo, se non di paura, di venire scavalcati proprio sul terreno su cui si sentivano più sicuri. E più i sonni di Chiara Giaccardi sono agitati, più i miei sono razionalisticamente appaganti.

E adesso vado a informarmi sul miracolo di San Gennaro, che oggi è il 19 settembre.

Il miracolo di San Gennaro

wikipedia.org

Lipari, l’iPhone e la negromanzia

Oggi devo essere particolarmente confuso, perché non riesco a capire se quello che mi dà tanto fastidio è quella che qualche anno fa Marco Travaglio ha chiamato La scomparsa dei fatti o se sono quelle che Sabina Guzzanti ha chiamato Armi di distrazione di massa.

I primi sintomi di irritazione – nulla di grave, una sensazione come quando la sabbia s’infila nelle braghette del costume – si sono manifestati con il nubifragio di Lipari, o meglio con il modo con cui hanno dato la notizia i giornali-radio Rai (i telegiornali non so: di televisione ne guardo poca o punta). Se ho capito bene – ma i condizionali sono d’obbligo – il nubifragio si è abbattuto su Lipari sabato 15 settembre. Io ne ho avuto notizia domenica 16 alle 16:45 quando una mia amica ha condiviso su facebook una notizia (con allegata foto) che recitava:

INCREDIBILE DISASTRO A LIPARI, E’ STATA UNA VERA E PROPRIA ALLUVIONE MA SUI MASS-MEDIA NESSUNO NE PARLA!!! FATE GIRARE QUESTO REPORTAGE CON TUTTE LE FOTO!! LE EOLIE ADESSO HANNO BISOGNO DI AIUTO!!!

Nubifragio a Lipari

meteoweb.eu

In realtà, l’articolo che si citava era già vecchio di un giorno e per la verità non accusava i mass-media di una sorta di congiura del silenzio.

La cosa curiosa (la sabbia nel costume da bagno) è che finalmente il 17 settembre il giornale radio della mezzanotte (RadioRai 1 de): «Ha dato la notizia del nubifragio,» direte voi. No. Ha smentito che si sia intervenuto tardivamente! Lo potete ascoltare qui: il servizio comincia circa a 13’15”. Il servizio è di Ilaria Amenta, già in odor di Pulitzer: non dice quando è stato il nubifragio (più di 36 ore prima) ma che ora splende il sole. Naturalmente intervista un’assessora che con un incredibile accento milanese racconta che il coordinamento è stato ottimo. Si è edificato nel letto del torrente, ammette l’assessore, ma da sempre…

L’altra grande assente dalle notizie di questa settimana è l’articolo con cui Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana, prende le distanze dall’iPhone. Tutti l’hanno commentato, nessuno però citandolo letteralmente. Eppure, se c’è una cosa di cui si dovrebbero essere accorti tutti, è che trovare e linkare qualche cosa su internet è facilissimo. E che quindi consentire al lettore di farsi un’idea di prima mano dovrebbe essere considerato un dovere del commentatore.

Ecco dunque l’articolo di Chiara Giaccardi, professore ordinario di Sociologia e antropologia dei media all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Chiara Giaccardi

vitatrentina.it

Fatevi un’idea da soli. A me sembra ancora più delirante di come ce l’hanno presentato i commentatori. Intervallo (in rosso) qualche commento mio.

Un altro superprodotto, qualcosa su cui riflettere persino con urgenza

Tutti (davvero) pazzi per la tecno-novità

La rete nelle ultime ore è stata inondata di post, tweet, articoli sull’uscita e le meraviglie dell’iPhone 5, presentato al pubblico mercoledì e dal 28 settembre in commercio anche in Italia. A meno di un anno dalla scomparsa del mitico (nel senso usato da Barthes: un vero «mito di oggi») fondatore della Apple, Steve Jobs, e dall’uscita del modello precedente, il 4s, il nuovo “nato” viene presentato come «il più grande evento nella storia dell’iPhone dopo il primo iPhone». Come recita la presentazione ufficiale, «grande, ma con un basso profilo» dato che è «il 18% più sottile e il 20% più leggero dell’iPhone 4S».  Ma qualche millimetro e qualche grammo in meno giustificano il tam tam che sta intasando il Web?

Un momento, l’iPhone 5 non è soltanto più sottile e più leggero del modello precedente, ma anche maggiore potenza e velocità, e una serie di caratteristiche innovative. Che siano molto o poco innovative è questione opinabile. Ma falsare i dati di fatto non mi pare il modo più corretto di svolgere un’argomentazione.

Pur essendo, lo confesso, una utilizzatrice entusiasta degli “aggeggi” Apple (senza però inseguire l’ultimo modello), e apprezzando la sintesi riuscitissima tra forma e funzione che Jobs ha saputo realizzare, come studiosa non posso non osservare, con uno sguardo critico, una serie di fenomeni che questo “caso” mediatico fa emergere con particolare evidenza. Il primo è l’autoreferenzialità, oserei dire il provincialismo del sistema dei media. Il villaggio globale multipiattaforma è diventato una gigantesca stanza degli echi, che fa rimbalzare, amplificandoli, messaggi già costruiti con la piena consapevolezza di questi meccanismi: casi che diventano quindi miracoli annunciati, profezie che si autoavverano.

Ho osservato questa dinamica su Twitter: i micro blogger italiani, molti legati alla stampa, riprendono gli studiosi stranieri, che riprendono i grandi quotidiani, che rilanciano i comunicati pubblicitari dell’azienda. Qualcuno, lamentandosi dell’eccessivo spazio occupato dai commenti a questo lancio, contribuisce ad aumentare il volume della comunicazione sul caso. Un circuito che vale anche per gli altri generi di notizie: ormai la stampa e la tv guardano sempre più massicciamente alla rete come fonte di contenuti e soprattutto di “novità”, nella frenetica rincorsa ad arrivare primi a dire qualcosa che non sia già stato detto. L’effetto è quello di rinforzo, di legittimazione reciproca. Sempre meno di pluralismo. Casi come questo dimostrano che la moltiplicazione dei canali e delle piattaforme non necessariamente diversifica i punti di vista. E, spesso, i giornalisti – con tutto il rispetto per chi svolge con impegno e coscienza questa importantissima professione – rischiano di trasformarsi in uomini di marketing al servizio – gratuito – delle aziende.

Meglio, certamente, il pluralismo e l’indipendenza dalle opinioni dominanti e dalle gerarchie per cui è famosa, da secoli, santa romana chiesa …

Una seconda considerazione è più antropologica: dispositivi come il nuovo iPhone sembrano realizzare il sogno prometeico di un controllo della realtà attraverso la tecnologia. E, in un mondo il cui il “pensiero” dominante tende a rifiutare la religione in nome della ragione, paradossalmente riaccendono la fiducia nella magia: come la bacchetta magica (un tipico dispositivo touch, estensione del braccio umano) era in grado di produrre immediatamente apparizioni, trasformazioni, eliminazioni, così lo smartphone, protesi ubiqua e sempre attiva, sempre più leggera, maneggevole (anzi, user friendly) e quasi trasparente ci consente, secondo la definizione di magia formulata dal celebre antropologo Marcel Mauss, di «azzerare l’intervallo tra desiderio e realizzazione»: le cose che desideriamo succedono immediatamente, basta un tocco (e la app giusta).

Meraviglioso capovolgimento. La tecnologia è magia, ci dice Chiara che parla dall’interno, dall’organo ufficiale di stampa, del più rigoroso e autoconcluso sistema di credenze magiche e irrazionali del pianeta. O c’è una magia buona (quella dei miracoli di Padre Pio) e una magia cattiva (quella di Harry Potter o delle previsioni del tempo online)?

Forse, su questa nostalgia del magico occorrerebbe una riflessione. Poi ci sono le dinamiche sociali: il mimetismo, lo spostamento del desiderio su oggetti sempre nuovi, la rincorsa degli status symbol, il bisogno di sentirsi al passo con un tempo che corre sempre più veloce…  Pare, secondo alcune recenti ricerche svolte negli Usa, che la rincorsa all’ultimo modello, e la supremazia simbolica della “mela morsicata” stiano producendo nuove forme di disuguaglianza e una sorta di «razzismo tecnologico», che discrimina i not have: chi non possiede l’iPhone e deve ripiegare su dispositivi più economici, e chi non può permettersi il modello più aggiornato soffre di una sorta di «inferiorità sociale».

La supercazzola …

Le stesse tecnologie che hanno reso il mondo più orizzontale rischiano dunque di produrre nuove tensioni, se il discorso dell’innovazione viene affrontato solo in termini di entusiasmo tecnologico. E infine, anche ci sarebbe tanto ancora da dire, non si può negare un “effetto distrazione”. Proprio stamattina ho letto un tweet che mi ha fatto riflettere. Era in inglese, lo traduco così: «Più impressionante caratteristica dell’iPhone 5: capacità di eliminare dalla tua mente ogni fatto spiacevole che accade fuori». Anche di questo, forse, bisogna essere consapevoli.

Se è per questo che lo comprate, una canna o una bottiglia di grappa costano meno …

Chiara Giaccardi

Bubbole, Pil e gas esilarante

Di regola metto la sveglia alle 6:00 e la prima cosa che faccio è ascoltare il giornale radio Rai di RadioUno. Anche quando non c’è un servizio di Oscar Bartoli, in genere non devo aspettare molto prima di sentire la prima boiata del giorno. È una bella comodità, perché così uno si toglie il pensiero. È una cosa fatta, e anche se nel resto della giornata uno ne dovrà sentire altre, di boiate, non sarà mai uno shock come la prima. Un po’ come il primo caffè o la prima sigaretta (quando fumavo) o il letterario primo sorso di birra.

La boiata di stamattina è stata questa notizia, ripresa da un “lancio” dell’Ansa:

Maltempo: imprese, pil -1% dopo 3 giorni distacchi gas

Consorzio Gas Intensive, oggi colpite tra le 300 e 400 aziende

07 febbraio, 16:58

ROMA  – Se i distacchi decisi dal comitato emergenza gas dovessero andare avanti per oltre 3 giorni, l’impatto sul pil sarebbe del -1%. E’ la stima di Gas Intensive, consorzio di 8 associazioni di categoria di Confindustria dei settori ad alto consumo di gas. Oggi, secondo il presidente Paolo Culicchi, le interruzioni hanno colpito 300-400 aziende.

Distacchi gas

ansa.it

Non occorre essere economisti o esperti di energia per capire che, messa così, è una sciocchezza.

Il Pil (italiano) è la ricchezza prodotta in Italia nel corso di un anno. Non ci serve conoscerne il valore assoluto per smontare il calcolo di Paolo Culicchi. Fatto 100 il valore del Pil annuale, ogni giorno in media se ne produce un trecentosessantacinquesimo, cioè lo 0,27%, e ogni 3 giorni lo 0,82%. Cioè in ogni caso meno dell’1% di cui parla Culicchi.

Anche se si contassero soltanto i giorni lavorativi, come fa Mario Deaglio in un articolo pubblicato su La Stampa, Il Generale Inverno pesa sul Pil – ma la cosa mi pare discutibile, dal momento che molte imprese dell’industria e dei servizi operano ormai a ciclo continuo e nei giorni festivi – un duecentoventesimo di Pil equivale allo 0,45%, e ogni 3 giorni se ne andrebbe l’1,36% di tutto il Pil italiano, se in quei 3 giorni nessun soggetto economico producesse alcunché.

Potrebbe bastare questo a far vedere che la stima di Culicchi (o del suo ufficio studi) è assurda, sbagliata di molti ordini di grandezza.

Ma vale la pena di continuare a ragionare, per dare un po’ d’aria ai neuroni (sono nella sala d’aspetto di una stazione; pardon, in un Freccia Club).

Lo stesso Culicchi ci dice che ieri sono state colpite dalla sospensione della fornitura di gas naturale 3-400 imprese. In Italia ci sono quasi 4,4 milioni di imprese. Quindi stiamo parlando, nella peggiore delle ipotesi, di un’impresa ogni 11.000, cioè di meno dello 0,01% delle imprese italiane. Supponiamo che si tratti di imprese “tipiche”, cioè rappresentative dei valori medi nazionali: un loro fermo di 3 giorni rappresenterebbe tra lo 0,00007 e lo 0,00012% del Pil (a seconda che si consideri un anno di 365 giorni di calendario o di 220 giorni lavorativi).

Naturalmente, l’ipotesi che le imprese italiane siano tutte uguali per dimensione e produttività non è realistica. Ma anche se le 3-400 imprese colpite dalla sospensione della fornitura di gas fossero per massimo della jella le più grandi ed efficienti del Paese, saremmo astralmente lontani dalle valutazioni di Culicchi.