Fatwa

Il 14 febbraio 1989 – sono passati 20 anni – l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, leader spirituale dell’Iran, pronunciò per radio una fatwa con cui richiedeva la condanna a morte di Salman Rushdie, colpevole di aver scritto un libro blasfemo (I versetti satanici), e pose una taglia sulla sua testa.

Una fatwa (arabo: فتوى, fatwā, plurale فتاوى, fatāwa) è la risposta fornita a un qadi, giudice musulmano, da un giurisperito (faqīh) su un quesito presentatogli per sapere se una data fattispecie sia regolamentata dalla Sharī‘a e quali siano le modalità per applicarne il disposto. In questo caso il faqīh viene detto Muftī.

I tribunali sciaraitici – oggi non più operanti, salvo lì dove sia stata reintrodotta la legislazione coranica – agivano in base alla sharī‘a. Vale a dire in base a ciò che è contemplato dal Corano e dalla Sunna. La non sempre facile percorribilità delle due fonti costringeva spesso il giudice (che non era mai un dotto, ‘ālim, pl. ‘ulamā’) a ricorrere alla consulenza di un muftī, esponendogli il quesito applicando le garanzie della più assoluta astrattezza.

Questi rispondeva indicando quale fosse a suo parere la linea da perseguire, in campo civile o penale. Essendo la fatwā un’opinione personale, per quanto autorevole, non ne discende automaticamente che il responso debba essere applicato, salvo che il muftī non appartenga alla medesima scuola giuridica del giudice che gli abbia sottoposto ufficialmente il quesito.

Da qui la possibilità che i responsi siano diversi e, talvolta, contrapposti o contraddittori fra loro.

Fin qui Wikipedia. In Iran, per l’appunto, la legislazione coranica era stata reintrodotta, e si trovarono molti volonterosi pronti ad applicare la condanna a morte. Rushdie vive da anni nella clandestinità e sotto scorta. Furono bruciate pubblicamente molte copie del libro, più d’una libreria subì attentati dinamitardi, si attentò alla vita dei traduttori del libro (anche di Ettore Capriolo, quello italiano; Higarashi, quello giapponese, fu ucciso). Il 3 agosto 1989 fallì un attentato allo stesso Rushdie (l’attentatore morì nel tentativo).

Il 24 settembre 1998, come condizione per la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Iran, il primo ministro iraniano Mohammad Khatami dichiarò pubblicamente che il suo governo “non avrebbe sostenuto in alcun modo operazioni volte all’assassinio di Rushdie”. Tuttavia, ancora nel 2005 l’Ayatollah Ali Khamenei, in un messaggio ai pellegrini alla Mecca, ha confermato la condanna a morte; sulla stessa linea sono tuttora i Guardiani della rivoluzione. Sotto il profilo giuridico, si sostiene che una fatwa può essere ritirata solo da chi l’ha formulata, e Khomeini è morto.

Ogni anno, Salman Rushdie riceve una sorta di valentina, che gli ricorda che deve morire…