Sillabario dei tempi tristi

Diamanti, Ilvo (2009). Sillabario dei tempi tristi. Milano: Feltrinelli. 2009.

Ci sono cascato un’altra volta. Ho comprato il libro di un collaboratore di un giornale (quotidiano o settimanale non importa) e ho preso la consueta fregatura: il libro non è altro che la raccolta degli articoli già pubblicati. Non importa che io non li avessi letti, in questo o in altri casi (in particolare, come ho già raccontato, non compro più repubblica da quando, il 30 giugno 1992 Sebastiano Vassalli vi pubblicò l’articolo “Don Milani, che mascalzone”). Il punto è che il quotidiano e il periodico sono mezzi diversi dal libro, e che l’articolo è un genere letterario diverso dal capitolo.

Ci sono cascato perché Ilvo Diamanti è bravo e mi piace. Ma nemmeno lui può sfuggire alla regola. Il suo libro si legge, ma alla fine ti lascia con un sapore vagamente di cenere in bocca. In questo caso, in particolare, apprezzi le intuizioni, in genere molto acute, di Diamanti; ma vorresti che poi ci fosse un approfondimento, che invece non c’è perché non poteva esserci nell’articolo originale; nel libro, invece, avrebbe potuto esserci: ma Diamanti non ha scritto un (nuovo) libro, ha soltanto pubblicato una raccolta.

Aggiungo soltanto – gliel’hanno detto in molti e Diamanti mette le mani avanti nella Premessa – che sì, anch’io trovo irritante e brutto lo stile sincopato della sua scrittura “giornalistica”. E anche sinceramente manieristico in senso deteriore.

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