Il parco avventura e il giudice di Berlino

Molti conoscono l’esclamazione «Ci sarà pure un giudice a Berlino» e sanno che viene utilizzata per invocare la protezione della giustizia a favore di un cittadino sottoposto ai soprusi dei potenti di turno. Pochi conoscono l’origine della frase, a volte attribuita a Bertolt Brecht (ma nelle sue opere non ho avuto modo di trovarla), a volte riferita a una vicenda di cui sarebbe stato protagonista Federico il Grande di Prussia (e qui siamo decisamente un po’ più vicini alla verità).

Prima di raccontare questa storia (anche se non è esattamente uno scoop) vi devo dire perché mi è tornata in mente la frase, durante una delle mie passeggiate all’Eur. Se siete miei lettori abituali, forse ricorderete la mia tirata contro il parco avventura dell’Eur (eurpark.it); se non ve ne ricordare, poco male: il post è qui. A pochi mesi dall’apertura, il parco è sotto sequestro.

eurpark.it/images

All’epoca (ma non è che adesso abbia cambiato idea) mi aveva molto infastidito che un’area verde pubblica, a disposizione di tutti i cittadini, fosse stata concessa da Eur spa – suppongo, e a questo punto anche spero, a titolo oneroso, pur non avendo trovato le carte – a un privato che l’aveva chiusa al pubblico e trasformato in un’iniziativa profit (come si dice adesso per non dire “a fini di lucro”, che suona tanto più volgare, signora mia: vuol mettere come suona più fine profit?).

Perché il sequestro? Primo, perché all’apertura, ad aprile 2013, Eurpark Adventure aveva avuto un’autorizzazione provvisoria all’esercizio limitata a 90 giorni (da tempo trascorsi, come sa calcolare anche un bambino delle elementari) e prorogata temporaneamente una sola volta. Secondo, perché nel frattempo sono state edificate altre strutture non previste nel progetto approvato. Questo è quanto raccontano i giornali. Ad esempio, l’edizione romana de la Repubblica:

LE ULTIME NOTIZIE
EUR, SEQUESTRATO PARCO AVVENTURA: ABUSI EDILIZI E AUTORIZZAZIONE SCADUTA

Sequestrato il parco avventura Eur Park. I sigilli sono stati apposti dal IX gruppo Eur della polizia locale di Roma Capitale. La struttura, che propone divertenti ed emozionanti attrazioni sugli alberi e immerse nella natura, era stato aperto sulla base di un’autorizzazione temporanea della durata di novanta giorni. Al termine era stata chiesta e ottenuta una proroga. Quindi una nuova istanza, questa volta non concessa, e i sigilli. Secondo quanto accertato, infatti sarebbero state anche realizzate altre strutture oltre quelle già esistenti senza alcun permesso a costruire. Il parco si trovava all’interno dell’area verde denominata “Parco Carlo Ciocci” in piazza Pakistan. (omniroma.it)

(05 Dicembre 2013 ore 17:10)

iltempo.it / foto: omniroma

Un altro quotidiano romano, Il Tempo del 6 dicembre scorso, in un breve articolo siglato R. C., aggiunge:

Il parco messo sotto sequestro si trova in un terreno di proprietà di Eur Spa. I vigili urbani hanno scoperto che la società che gestisce la struttura aveva costruito due case in legno con tanto di tetto e climatizzatori, per l’accoglienza e la ristorazione degli avventori, senza avere le necessarie autorizzazioni, mentre era già stato avviato un nuovo sbancamento di terra per realizzare una terza struttura.

Sul suo sito, Eurpark Adventure non fa cenno del sequestro e trasmette una rassicurante immagine di business as usual, augurando a tutti buone feste. La cosa non mi stupisce più di tanto, dal momento che per mesi, ben prima del’apertura, il sito aveva fatto credere che la struttura fosse già funzionante.

eurpark.it/images

Invece, sui cancelli di accesso alla struttura, accanto all’avviso del sequestro che vedete più sopra, è comparsa una lunga nota con cui Eur Park si difende dalle accuse. Ho scattato una foto, ma al momento non mi riesce di caricarla sul blog.

* * *

A questo punto, posso provare a raccontare la storia del giudice a Berlino.

Come ho accennato all’inizio di questo post, c’è molta confusione in proposito. Il quadro più esauriente (a mio giudizio, naturalmente; e non è il giudizio di un esperto) si trova qui. Ne scrive – se ho ben capito come funziona Google gruppi – Tommaso Russo di Trieste, che cita uno scritto di Romano Ricciotti (magistrato in pensione e storico della magistratura) che a sua volta cita un libro ottocentesco di Emilio Broglio, patriota mazziniano attivo nel 1848 nelle 5 giornate di Milano (Emilio Broglio. Il regno di Federico II di Prussia detto il Grande. Roma 1877-1880 – nel 2011 il solo primo volume è stato ristampato dalla British Library).

In realtà sono 2 gli episodi che vedono Federico il Grande alle prese con un mugnaio.

Il primo di questi accadde durante la costruzione del palazzo di Sans Souci nei pressi di Potsdam, dunque nel 1746: un mugnaio aveva il suo mulino in un luogo che interrompeva la veduta che gli architetti del re trovavano desiderabile. Funzionari posseduti da eccesso di zelo provarono con le buone (acquistandolo) e con le cattive (minacciando l’esproprio) a impossessarsi del mulino al fine di abbatterlo. Ma il mugnaio si rifiutò e pronunciò (pare) la famosa frase «Ci sarà pure un giudice a Berlino». Il ricorso al giudice non fu poi necessario perché Federico il Grande, venuto a conoscenza dell’episodio, intervenne personalmente per lasciare il mugnaio al suo posto.

Broglio – se non ho visto male – non racconta l’episodio nel primo volume della sua opera, quando narra della genesi e della costruzione del palazzo di Sans Souci nei, ma solo per inciso quando racconta l’altra vicenda, nel secondo volume (che non ho e non posso consultare e che cito dunque da Russo –> Ricciotti –> Broglio):

«Ci sono de’ Giudici a Berlino», aveva risposto trent’anni prima, a chi lo minacciava d’espropriazione, il mugnaio di Potsdam, che non volle mai vendere il suo mulino a vento sul poggio di Sans-Souci; e Federico Re lo rispettò, lui e il suo mulino, senza bisogno di giudici.

Del secondo episodio è protagonista un altro mugnaio, che si ritenne condannato ingiustamente e ricorse fino al re (vertice del sistema giudiziario in una monarchia assoluta, ancorché illuminata). Cito, riassumendo, Broglio (via Russo / Ricciotti; la grafia, che sostituisce la ú alla ü, è quella ottocentesca di Broglio):

Il mulino del Gambero – Krebsmúhle – era d’un conte di Schmettau, maggiore nell’esercito, ma non della famiglia inclita in guerra; affittato da parecchie generazioni agli Arnold, mugnai. Nel ’70, un barone von Gersdorf volle farsi, più in su del mulino, una peschiera, e deviò parte dell’acqua; il mugnaio, impedito così dal macinare per una gran parte dell’anno, non ebbe più modo di pagare il fitto regolarmente; il conte di Schmettau, dopo aver pazientato parecchio, da ultimo lo citò dinanzi al giudice feudale, Schlecker, che lo condannò a pagare; e perché pagare non poteva, quando non macinava, finì col fargli vendere all’asta nel ’78 il mulino.
Comprato da un esattore, Kuppisch, fu poi rivenduto da costui allo stesso barone von Gersdorf, ch’ebbe così l’aria d’aver meditata e compita la spogliazione. Portata la causa in appello, dinanzi alla Regierung di Cústrin, la sentenza venne trovata giusta, e quindi confermata.

Nei vari gradi di giudizio il mugnaio era sempre stato condannato, finché il re – dopo l’ennesima richiesta del mugnaio – convoca a corte il Gran Cancelliere Fúrst  e 3 cancellieri di grado inferiore e si rende protagonista di una (documentata) scenata storica:

Il Re interrogò i Consiglieri, senza darsi per inteso della presenza del Gran Cancelliere:
«Un povero villano, può egli pagare il fitto, se gli portate via il carro, l’aratro, e tutti gli strumenti di lavoro?»
«No, Maestà.»
«È giusto portar via il mulino a un povero mugnaio che non può pagare il fitto, perché gli s’è levata l’acqua e quindi non può macinare?»
«No, Maestà.»
«Un nobile vuol farsi una peschiera e devìa l’acqua dal mulino; il mugnaio Arnold è ridotto a non poter macinare che quindici giorni in primavera e quindici in autunno; come può egli pagare lo stesso fitto di prima? Eppure la Corte di Cústrin gli fa vendere il suo mulino, perché un altro nobile intaschi l’intero fitto, e il Tribunale di Berlino…»
[…]

«È una sentenza ingiusta, continua il re accendendosi vie più; è contraria alle mie intenzioni di padre del popolo; e voi l’avete pronunziata in mio nome. In mio nome! Quando mai ho io oppresso il povero in favore del ricco? Quando mai ho fatto prevalere la vana forma legale all’intrinseca moralità della cosa? E voi siete de’ giudici? E voi dispensate la giustizia in nome di Dio e del Re?…»
E più che il dolor potendo l’ira, batteva la sentenza colla mano gottosa, e ripeteva:
«Il mio nome crudelmente abusato! – meinen Namen cruel missbraucht»

«Ma io darò un esempio memorabile – ein nachidrúckliches Exempel – l’ultimo contadino, che dico? un mendicante, è anch’egli un essere umano come il Re, tutti eguali dinanzi alla legge e alla giustizia; un tribunale ingiusto è più pernicioso d’una banda di ladri; contro questi potete difendervi, non così contro quello. Uscite. signori!»

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