Durante le mie passeggiate mattutine, mi capita di soffermarmi a leggere le indicazioni della toponomastica. Per esempio: Via del Tibet, Acrocoro dell’Asia Centrale.
Secondo il Vocabolario Treccani:
acrocòro (meno corretto acròcoro) s. m. [comp. di acro– e del gr. χῶρος«regione»]. – Insieme assai esteso di rilievi costituiti sia da forme a struttura tabulare (per es., l’altopiano etiopico), sia da catene di corrugamento di altezza in genere notevole (per es., il Pamir e il Tibet).

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Intanto, io ho sempre detto acròcoro e non acrocòro, e dunque mi sono sempre sbagliato (non che mi sia capitato di pronunciare questa parola molto di frequente, per fortuna).
Quanto all’etimologia, direi che l’esercizio è abbastanza facile e intuitivo: la parola è un composto di due termini greci che ricorrono anche in altre parole di uso non certo comune, ma abbastanza diffuse in ambito colto: ὰχρον (elevato) come in acròpoli, la città alta, cioè la parte alta (in genere fortificata e sede del potere politico e religioso) della città; e χῶρος (regione) come in corografia, “la descrizione di fatti o di fenomeni geografici, limitatamente a una determinata regione” (Wikipedia).
A questo punto mi è venuto il dubbio se acròcoro e altopiano fossero sinonimi. Non esattamente.
Partiamo anche qui dal Vocabolario Treccani:
altopiano (o altipiano) s. m. [comp. di alto e pian0] (pl. altopiani o altipiani). – Forma di rilievo caratterizzato, nella sua parte più alta, da larghi ripiani, più o meno ondulati, delimitati da solchi vallivi. Il termine è usato talvolta impropriamente per indicare i pianalti dei terrazzi alluvionali o i pianalti sui pendii montuosi.
Dannazione! E che cosa sono adesso i pianalti?
pianalto s. m. [comp. di piano e alto]. – In geografia fisica, tratto residuo di una pianura pedemontana formatasi per deposizione di materiale fluvioglaciale, sul quale, nei periodi che seguirono le due prime fasi glaciali, divagarono a lungo le correnti fluviali incidendovi dei solchi. (Vocabolario Treccani)
I pianalti allora li possiamo lasciar perdere, perché la loro definizione è sufficientemente chiara. Ma la relazione tra altopiano e acrocoro mi sembra più confusa di prima: l’altopiano è una forma di rilievo, più o meno ondulata (e dunque non pianeggiante) e delimitata da valli; l’acrocoro è un rilievo assai esteso, costituito o da tabulati o da catene di corrugamento. E a questo punto io non capisco più se la differenza è puramente quantitativa (gli acrocori sono più estesi degli altopiani) o anche qualitativa.
La voce acrocoro di Wikipedia sembra sposare la seconda opzione:
Si distinguono due tipi di acrocoro:
- acrocoro di altopiano, avente una struttura piana senza catene montuose all’interno. Un esempio di questo tipo è l’altopiano etiopico;
- acrocoro da corrugamento, al cui interno si trovano catene montuose di corrugamento anche di altezza notevole. Esempi di questo tipo sono l’altopiano del Pamir, del Tibet, dell’Armenia e l’altopiano di Asiago in Italia.
Peccato che, sempre su Wikipedia, la voce altopiano racconti una storia diversa:
La parola altopiano indica […] un territorio pianeggiante, ma posto ad un’altitudine di almeno 500 m sopra il livello del mare, circondato da zone ad altitudine inferiore e spesso delimitato da creste di montagne.
[…]
In base al meccanismo di formazione si possono distinguere diversi tipi di altopiani:
- piattaforme (o altipiani vulcanici), formate da imponenti emissioni di lava dai crateri vulcanici;
- altopiani intramontani, che sono piccoli plateau posti ad elevate altitudini e circondati da montagne (come ad esempio l’altopiano del Tibet);
- altopiani tettonici (o tavolati tettonici) formatisi in seguito allo spostamento della crosta terrestre;
- altopiani residuali, che si formarono in seguito all’erosione di antichi rilievi.
Senza speranze, vero? A parte la considerazione che definire il Tibet un piccolo plateau mi sembra ridicolo, in ogni caso la regione è definita un altopiano intramontano, che forse è la stessa cosa di un acrocoro da corrugamento e forse no. Resta comunque la contraddizione logica: se l’altopiano è un tipo di acrocoro, l’acrocoro non può essere un tipo di altopiano.
Forse è meglio buttarla in politica.
Nei primi mesi del 1996 i radicali intrapresero una campagna di sensibilizzazione per la liberazione del Tibet dall’occupazione cinese, in vista di una manifestazione a Bruxelles (10 marzo 1996). In questo contesto, fecero istanza (prot. n. 139 del 27 gennaio 1997) al Comune di Roma affinché intitolasse una via al Tibet. Questa la risposta dell’Assessore competente, Avv. Prof. Piero Sandulli (prot. n. 772 del 9 aprile 1997):
Con la presente Le comunico che, nell’onomastica cittadina, il Tibet è già stato ricordato con deliberazione di G.M. n. 4630 del 27.7.1960, in una via del Quartiere XXXII Europa con i seguenti limiti:
Via del Tibet: da Via del Caucaso a via degli Urali.
Per questo motivo la Commissione Consultiva Toponomastica, nella riunione del 26.2.1997, non ha ritenuto opportuno prendere in considerazione la Sua istanza del 21.1.1997 prot. n. 139.
Il riferimento è proprio alla via su cui mi sono soffermato all’inizio.
La risposta è esemplare, per chi voglia studiare ammirato le sottigliezze della burocrazia. È una risposta negativa, ma non nel merito della questione politica posta dalla richiesta radicale (nessuno osava, e tanto meno osa oggi, schierarsi apertamente a favore della libertà del Tibet per non provocare reazioni cinesi!) ma si nasconde dietro il dito della pre-esistenza della strada riferita al Tibet “espressione geografica” (per riprendere l’espressione di Klemens von Metternich riferita all’Italia).

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I radicali fanno buon viso a cattivo gioco e rispondono, il 15 aprile 1997, in questo modo:
Toponomastica.
A Roma c’e’ Via Tibet, in una collocazione che ne dimostra palesemente il suo essere considerato, il Tibet, una mera espressione geografica. [noi sappiamo che non è soltanto una questione di collocazione, ma che c’è proprio scritto «acrocoro dell’Asia centrale»].
Non serve, a questo punto, rispetto alla inizaitiva toponomastica del Partito, che una battaglia volta alla trasformazione semantica della esistente Via Tibet romana.
Un po’ quel che accadde con la Via dei Prigionieri Politici a Praga…
A Praga accadde infatti, nel vastissimo modificare targhe toponomastiche, che ha spazzato via i lungofiume Engels e la denominazione del ponte Gottwald, accadde a Praga che una via centralissima non cambiasse di nome, ma cambiasse di significato.
Esiste, molto vicino a Piazza Venceslao la Via dei Prigionieri politici.
Quella via si chiama tutt’ora così. Ma è dedicata ad altri, altre persone; ricorda altri individui che hanno conosciuto il carcere e altro per ragioni politiche.
La Via dei Prigionieri Politici a Praga non ha cambiato denominazione né targa; ha cambiato il contenuto semantico, ma quella targa non è stata rimossa.
Occorre fare lo stesso per la Via Tibet a Roma. Se ne cambi il contenuto semantico.
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