Björn Larsson – La vera storia del pirata Long John Silver

Larsson, Björn (1995). La vera storia del pirata Long John Silver (Long John Silver. Trad. it. Katia De Marco). Milano: Iperborea. 2010. ISBN: 9788870912593. Pagine 496. 2,99€

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Nonostante qualche prima superficiale affinità e l’evidente ammirazione dell’autore, non stiamo parlando di fan fiction. Björn Larsson ha un’evidente ammirazione per Long John Silver, ma la sua opera si distacca ben presto dal ruolo (primario, anche più di quello di Jim Hawkins) che Silver ha nel romanzo di Stevenson (qui la mia recensione dell’Isola del tesoro). Long John Silver diventa in questo romanzo un eroe dell’individualismo e l’etica pirata è l’etica capitalistica della libertà d’impresa (altro che capitani coraggiosi: D’Alema ha sbagliato romanzo). Non è un caso se Long John Silver dialoga a lungo con Daniel Defoe, studioso della pirateria e padre di Robinson Crusoe (ci tornerò).

Leggetelo, come aggiunta necessaria al classico di Stevenson.

Di Björn Larsson (da non confondersi con Stieg Larsson, l’autore della trilogia Millennium) ho letto altri romanzi, che però non ho recensito su questo blog. Larsson – che in Italia è pubblicato da Iperborea e ha un séguito di appassionati fedeli – ama in modo particolare il mare (ha vissuto a lungo su una barca): Il cerchio celtico e Il porto dei sogni incrociati, due degli altri suoi romanzi che ho letto, sono di ambientazione marinara, ancorché contemporanea. L’occhio del male, invece, è ambientato a Parigi (città in cui Larsson ha vissuto) ed è una storia di terrorismo islamico quasi profetica (scritta nel 1999).

Anche questa, va da sé, è una storia di ambientazione marinara.

Larsson prende le mosse da un’ambiguità presente nello stesso Stevenson, che fa di Long John Silver il deus ex machina del romanzo, il MacGuffin che, comparendo e scomparendo, scandisce l’evolversi della trama. Nell’Isola del tesoro è un personaggio necessario, ma negativo: eppure lo stesso Stevenson si è ispirato al suo amico William Ernest Henley nell’aspetto fisico, aggiungendo – scrive – gli aspetti negativi della personalità del pirata:

I will now make a confession. It was the sight of your maimed strength and masterfulness that begot John Silver in TREASURE ISLAND. Of course, he is not in any other quality or feature the least like you; but the idea of the maimed man, ruling and dreaded by the sound, was entirely taken from you. [Lettera di Stevenson a Henley, maggio 1883]

In effetti, in questo ritratto che gli fece Rodin, in Henley qualcosa di sulfureo emerge…

Larsson va oltre. Long John Silver non ha dei pirati quello che l’epica della pirateria ci ha sempre raccontato, e che lo stesso Stevenson rappresenta nell’Isola del tesoro. I pirati sono coraggiosi fino all’incoscienza e allo sprezzo del pericolo, mossi dalla brama di oro. Ma poi, una volta conquistato il bottino, lo sperperano la prima volta che scendono a terra, in donne, scorpacciate e alcol (in quest’ordine crescente, direi). L’unico altro pirata che, oltre a Long John Silver, parte dall’isola con una piccola parte del tesoro di Flint, Ben Gunn, sperpera il suo patrimonio in pochi giorni. Long John Silver no. Long John Silver non vive nell’attimo, nell’immediato, nel presente. Long John Silver sa aspettare, paziente, che gli altri facciano le loro mosse. È astemio. E i suoi averi li mette in banca.

Questo già in Stevenson. Larsson parte da qui e fa di Long John Silver un eroe dell’individualismo. Libertario e liberista come un eroe di Ayn Rand. Il Silver di Larsson conserva tutta l’ambiguità morale di quello di Stevenson: cinico, obliquo, ambiguo, disposto a tutto pur di affermare i suoi interessi e le sue pulsioni, sfuggente a ogni senso di responsabilità verso agli altri (evita sempre di diventare capitano, anche di una nave pirata), capace di amare ma poi disposto sempre a tradire. Una canaglia, ma non una simpatica canaglia. Piuttosto una canaglia da ammirare per il suo indomabile vitalismo.

Ci sono solo due vie, per chi vuole vivere da essere umano con qualche senso finché non muore. Una è mantenere la rotta. L’altra è farsi impiccare. Altre vie non esistono. (pos. 5858)

In questo, Silver è – come Robinson Crusoe – un prototipo di quelle robinsonate che Karl Marx sfotte (e demolisce) nei Grundrisse (Marx, Karl (1857-1858). Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica1857-1858 (trad. it Enzo Grillo). Firenze: La Nuova Italia. 1970]: l’eroe di un’epopea che fa scaturire il capitalismo dal self made man, dall’individuo singolo sciolto da ogni legame sociale. Ma Marx ci ricorda, appunto, che questa è un’illusione e che mai i rapporti sociali sono tanto complessi e sviluppati come nel capitalismo:

Il punto di partenza è costituito naturalmente dagli individui che producono in società – e perciò dalla produzione socialmente determinata degli individui. Il singolo ed isolato cacciatore e pescatore con cui cominciano Smith e Ricardo appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che hanno prodotto le robinsonate del XVIII sec. le quali non esprimono affatto, come presumono gli storici della civiltà, semplicemente una reazione alle eccessive raffinatezze e un ritorno a una malintesa vita naturale. Così come non poggia su un siffatto naturalismo il contrat social di Rousseau, che pone un rapporto e un nesso contrattuale tra soggetti per natura indipendenti. Questa non è che l’apparenza, e precisamente l’apparenza estetica delle piccole e grandi robinsonate. In realtà si tratta piuttosto dell’anticipazione della «società civile» , che si preparava dal XVI secolo e che nel XVIII ha compiuto passi da gigante verso la sua maturità. In questa società della libera concorrenza l’individuo si presenta sciolto da quei vincoli naturali ecc., che nelle epoche storiche precedenti fanno di lui un elemento accessorio di un determinato e circoscritto conglomerato umano. Agli occhi dei profeti del XVIII secolo, sulle cui spalle poggiano ancora interamente Smith e Ricardo, questo individuo del XVIII secolo – che è il prodotto, da un lato, della dissoluzione delle forme sociali feudali, dall’altro, delle nuove forze produttive sviluppatesi a partire dal XVI secolo – è presente come un ideale la cui esistenza sarebbe appartenuta al passato. Non come un risultato storico, ma come il punto di partenza della storia. (Grundrisse, par. 1.1.1)

Questa critica “ideologica” (che non rinnego affatto) non impedisce a La vera storia del pirata Long John Silver di essere un bellissimo romanzo, che si legge con grande piacere.

Peccato per qualche caduta nella traduzione: “suonava attirante” (“attraente” sarebbe andato benissimo), oppure la concorrenza “ammazzante” (forse “spietata”?), che attribuisco più alla fretta e alla scarsa attenzione ai dettagli che all’incompetenza.

Anche altre citazioni sono meritevoli di essere ricordate:

“John”, disse Dunn, “tu mi piaci molto. E anche a Elisa, è chiaro. Ma questo non ha niente a che fare col fatto che ti ho salvato la vita. Lo avrei fatto per chiunque altro.”
“Anche per il governatore Warrender”, lo interruppi.
“Anche per il capitano Wilkinson”, disse Dunn.
Naturalmente pensai di non aver sentito bene.
“È così, ma non c’è bisogno che tu capisca perché. […]” (pos. 1783)

Il navigatore esperto è quello che allarga sempre più il cerchio, che capisce che l’incertezza è l’unica certezza a disposizione. (pos. 3196)

“Certo che il libro sarà veritiero, diamine, con tutti i documenti e le informazioni che ho raccolto! Ma, in realtà, poco importa che lo sia o meno, se non viene creduto. […]” (pos. 4496: l’affermazione è messa in bocca a Daniel Defoe, che se ne intendeva)

[…] tanto poco è quel che basta. (pos. 5645)

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