Adults in the Room, 2019, di Costa-Gavras, con Christos Loulis, Alexandros Bourdoumis, Ulrich Tukur e altri.

Film brutto ma interessante.
Il film di Costa-Gavras – di cui quelli della mia generazione ricorderanno di certo Z, l’orgia del potere, del 1969, sull’assassinio del deputato socialista greco Gregoris Lambrakis – è una ricostruzione dei negoziati tra i partner europei e il nuovo governo greco tra gennaio e luglio 2015, cioè tra la vittoria di Syriza alle elezioni e le dimissioni del ministro dell’economia Varoufakis.
Il film è basato (esplicitamente: nei titoli di coda si fa riferimento al libro dai Yanis Varoufakis e all’adattamento di Costa-Gavras) sul libro di memorie di Varoufakis, in larga parte basato sulle registrazioni che lui stesso ha fatto (di nascosto, suppongo) durante i suoi incontri con i ministri, i burocrati e i banchieri. Abbastanza scontato, quindi, che il ministro greco ne esca come l’eroe di una battaglia nobile e sfortunata, come quasi certamente è stata. Meno scontato che i deuteragonisti siano rappresentati per lo più come incompetenti macchiette e come doppiogiochisti e traditori.
Non ho dubbi che la maggior parte dei burocrati europei siano palloni gonfiati arroganti e incompetenti, quasi sempre meno preparati in economia di Varoufakis, tronfi delle competenze amministrative apprese in scuole come l’ENA e ciecamente fiduciosi nell’arte bizantina del negoziato a oltranza e delle piccole varianti terminologiche. Per questo, la scena più godibile del film è quella in cui Varoufakis chiarisce che i ministri, in quanto responsabili politici, interloquiscono con i loro pari, mentre i funzionari operano sempre e comunque in sede tecnica, anche quando lo fanno per incarico della troika. Dopo di che li sbatte fuori dalla sua stanza, con il dito puntato. Con la mia, pur limitata, frequentazione delle riunioni tecniche al Consiglio europeo mi sento di solidarizzare pienamente con la reazione infastidita di Varoufakis.
Non penso però valga lo stesso per i ministri e per figure come Mario Draghi e Christine Lagarde. Per quest’ultima, per la verità, Varoufakis manifesta una certa simpatia: è lei che, a un certo punto, sbotta che nella riunione dell’Eurogruppo, dal momento che tutti si comportano in modo puerile, sarebbe bene ci fosse anche qualche adulto… Ma Draghi è trattato come un testardo difensore del MoU (Memorandum of Understanding), da adottare così com’è senza se e senza ma: si può dissentire da singole opinioni di Draghi, e anche dalla sua posizione in materia di politica economica (ma io mi permetto di dubitarne, conoscendolo come allievo di Federico Caffè, non certo in odore di ortodossia acritica), ma non si possono mettere in dubbio né la sua competenza e comprensione della teoria economica, né il suo ruolo decisivo nella tenuta dell’euro in tutto il corso della crisi dei debiti sovrani.
Quanto ai ministri, penso si debba riconoscere che ognuno di loro faceva gli interessi del proprio paese. Magari sbagliando, o in maniera distorta, o accecato dall’ideologia dominante dell’austerità. Ma negli interessi del proprio paese. Questo è un punto importante, e un’occasione mancata del film. A mio parere, il problema principale del funzionamento delle istituzioni europee è quello della prevalenza del “metodo intergovernativo” (in cui il potere decisionale è degli Stati membri) rispetto a quello “comunitario” (in cui le istituzioni comunitarie prevalgono su quelle nazionali). La stessa legittimazione che veniva a Varoufakis dall’essere ministro di un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare democraticamente eletta dai cittadini greci veniva a tutti gli altri ministri europei dell’Eurogruppo, nessuno escluso, e per i medesimi motivi. Che a me piacciano di più le politiche proposte da Syriza rispetto a quelle sostenute dalla Große Koalition tedesca si pone su un altro piano, e non può essere utilizzato per delegittimare i rappresentanti politici dei paesi membri.
Per delegittimare o per ridicolizzare. Il trattamento riservato nel film a Wolfgang Schäuble è vergognoso. A parte i dubbi sulla sua competenza (è un economista, anche se possiamo non essere d’accordo con la corrente di pensiero cui appartiene), lo si rappresenta come un cattivo da operetta, o da film. La sua carrozzella, e le sue teatrali entrate e uscite di scena, ricordano esplicitamente il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick e Peter Sellers.

È appena il caso di ricordare, a chi non lo sapesse, che Schäuble è costretto alla sedia a rotelle dal 1990, quando un attentatore gli sparò tre colpi di pistola durante una manifestazione politica. È dunque una vittima del suo impegno e ha tutto il mio rispetto.
Da un altra punto di vista, però, che la storia sia raccontata dalla prospettiva di Varoufakis è un bene, non un male. La storia, si sa, la scrivono i vincitori (frase attribuita a Napoleone, o a Churchill, o addirittura a Erodoto, e che quindi è probabilmente di qualcun altro). E infatti, la vulgata sugli eventi del 2015 è che Varoufakis fosse un esibizionista pazzo ed egocentrico, che Tsipras se ne sia accorto in tempo ancorché tardivamente e che firmando il MoU abbia salvato la Grecia e l’intera Eurozona. Si parlava prima dell’Eurogruppo e degli interessi dei singoli Stati membri. Alcuni di questi, tra cui l’Italia – è bene ricordarlo – erano più a rischio di altri. L’uscita della Grecia dall’euro, si temeva, avrebbe scatenato una reazione a catena. I primi a esserne travolti sarebbero stati i paesi con le economie più deboli e indebitate, tra cui certamente la nostra. Ma si temeva anche, con qualche fondamento, che il contagio potesse mettere a repentaglio l’intera architettura dell’euro, con una conseguente grave crisi economica estesa all’intero continente. La tragedia greca sarebbe potuta diventare una tragedia europea. Ma quante probabilità aveva questo scenario? Ho una mia opinione (in quel luglio 2015 ha avuto molta paura ), ma mancano gli elementi per una valutazione documentata (altra citazione spuria: la storia non si fa con i se e con i ma). Quello che qui conta è che ogni tassello – compreso questo – ci avvicina alla conoscenza (se non alla verità).
Sotto il profilo formale, il film è soprattutto una docufiction (ho controllato, il termine è sdoganato dal Lessico del XII secolo Treccani): onesto artigianato, insomma, con l’obiettivo di ricostruire avvenimenti effettivamente accaduti con il ricorso ad attori professionisti. Ci sono due eccezioni, in cui Costa-Gavras prova a fare del cinema, con risultati a mio parere disastrosi. La prima: mentre è al ristorante con gli amici Varoufakis viene assediato da una piccola folla silenziosa di giovani, che gradualmente si ingrossa. Poi, in silenzio, ad uno ad uno voltano le spalle e se ne vanno. Tipica scena dell’assedio degli zombie, con un effetto involontariamente comico travolgente.
Nell’ultima scena, la firma del MoU da parte di Tsipras è rappresentata da un balletto felliniano accompagnato da una musica popolare greca. Anche qui, effetto comico piuttosto penoso. Insomma, dite pure che sono un formalista, ma questa mescolanza di generi un po’ posticcia per me è un peccato mortale. Un film brutto, senza appello.
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