La strage di Piazza Fontana. Un evento che ha segnato la mia generazione (ho già parlato in questo blog dei miei ricordi personali). Avevo 17 anni. Non sono così ingenuo da pensare che un solo evento può segnare lo spartiacque di una vita, di una generazione, della storia di un Paese. Ma più passa il tempo e più sono convinto che quel freddo pomeriggio di dicembre segnò una svolta. Non lo comprendemmo subito, e forse allora non lo capì nessuno: ma con Piazza Fontana si chiuse un capitolo. Quello dell’idea di democrazia progressiva, quello di una trasformazione graduale ma inarrestabile che avrebbe dato più voce e più potere ai lavoratori, sul luogo di lavoro, nella società, nella politica. Quella che, con sfumature diverse, aveva segnato i progetti di Kennedy, di Chruščёv, del Concilio Vaticano II, delle lotte operaie dell’autunno caldo, del 1968. Continuammo a crederci e a lottare, negli anni seguenti. Ma eravamo stati irrimediabilmente sconfitti. Quello che chiamavamo riflusso fu una sconfitta storica. E ne paghiamo ancora il prezzo. Hanno vinto. E non vedo nessuna luce, nessun arcobaleno all’orizzonte.
Su YouTube una persona (che non conosco ma ringrazio) ha pubblicato la storica puntata di La notte della Repubblica di Sergio Zavoli su Piazza Fontana. Ve la ripropongo.
mercoledì, 12 dicembre 2007 alle 10:36
Come nessun arcobaleno? Dopo i verdi arcobaleno…adesso c’è addirittura tutta una sinistra arcobaleno….Mala tempora currunt Boris
mercoledì, 12 dicembre 2007 alle 10:47
Vedo che hai colto la sottile allusione, Jacopo!
mercoledì, 12 dicembre 2007 alle 11:26
Io di Piazza Fontana ho sentito i racconti. Visto le immagini in TV. Non c’ero. Ci sarebbero voluti anni prima che ci fossi. Sarei arrivata quando una parte di voi, pensando che c’era ormai ben poco da fare con gli strumenti della democrazia, aveva preso le armi. Piazza Fontana è un punto di svolta anche per questo.
Crolla l’idea di una generazione preparata “a un futuro che ha già in mano e a una rivolta senza armi”.
Tu dici che allora non lo capì nessuno. Penso che non sia così. Penso che in molti lo capirono, ma non lo vollero riconoscere. E alcuni, negandolo, passarono alla clandestinità. Se l’avessero riconosciuto forse la Storia sarebbe un’altra.
I miei ricordi diretti cominciano dagli anni cupi del terrorismo. Il resto sono storie raccontate da chi c’era. La mia di generazione ha vissuto l’infanzia sull’onda della vostra disillusione sfociata in violenza.
Eppure non ho mai pensato che avessero vinto. Almeno non irrimediabilmente. Se l’avessi pensato non avrei mai potuto essere giovane, “incazzarmi con la coscienza offesa”, andare alle manifestazioni, partecipare (buon, vecchio Gaber). Hanno vinto allora, ma un rimedio c’è, ci deve essere. Altrimenti perchè impegnarsi? Perchè continuare a lottare quotidianamente? Perchè, semplicemente, stare ancora qui a riflettere su un fatto avvenuto 1969?
giovedì, 13 dicembre 2007 alle 11:50
Sono molti i libri che hanno analizzato la storia di questi anni e molte analisi concordano sul fatto che c’è stato un disegno preciso volto ad arrestare “il cambiamento”. Ne cito soltanto uno che ho cominciato a leggere – Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, TANGO CONNECTION. L’oro nazifascista, l’America Latina e la guerra al comunismo in Italia. 1943-1947. Bompiani – perché da l’idea delle forze che sono state schierate e utilizzate per arrestare “il cambiamento”. Non si può negare che in questo modo hanno ottenuto quello che volevano, “politicamente” parlando. Ma non si può neanche dire che hanno vinto: non sono riusciti a fermare i cambiamenti che avvenivano nelle nostre vite, soprattutto in quelle degli operai, dei loro figli, delle loro figlie: “Son della razza mia la prima che ha studiato” non credo serva aggiungere altro se crediamo che la cultura aiuta a essere più liberi. Chi partiva da un gradino culturale più alto – e lo capisco – non può sapere la differenza che c’era tra prima e dopo. Io, davvero, son della razza mia la prima che ha studiato e i miei parenti dicevano apertamente a mio padre – operaio – che un giorno si sarebbe pentito di avermi fatto studiare perché poi io – colta – mi sarei vergognata di lui – ignorante – e, ingrata, avrei preso le distanze. Non è stato così, ovviamente, ma quella era la convinzione diffusa PRIMA.
giovedì, 3 gennaio 2008 alle 16:24
[…] i servizi italiani riuscivano a fare di meglio (o di peggio). Ma il mondo della ricerca applicata funzionava e […]
domenica, 1 aprile 2012 alle 21:10
[…] sono tornato sopra pochi mesi dopo, proprio il 12 dicembre, parlando più del momento storico che della mia personale […]
venerdì, 12 dicembre 2014 alle 17:14
[…] blog: recensendo Nelle mani giuste di De Cataldo nel giugno del 2007, esattamente 7 anni fa nel 38° anniversario della strage, alla fine di gennaio del 2009 recensendo un libro di Adriano Sofri (La notte che Pinelli) e […]
giovedì, 12 dicembre 2019 alle 17:42
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