Eur, parco delle cascate

Stamattina all’alba il quartiere romano dell’Eur era bellissimo. [Per i pignoli e gli amanti di Robert Musil, erano le 6:50 del 27 febbraio 2013.] Il cielo era sereno, azzurro intenso, striato di cirri delicatamente tinti di rosa dalle dita di Aurora. Ho iniziato la mia passeggiata mattutina infreddolito ma beato e pieno di ottimismo. Nel cratere lasciato dalla sciagurata distruzione del velodromo olimpico (ne abbiamo parlato qui e qui) ristagnava candida e batuffolosa la nebbia.

Poco più avanti, anche sul laghetto dell’Eur si muovevano pigramente alcuni fiocchi di nebbia. Ho cominciato a percorrere la Passeggiata del Giappone, che fa il periplo del lago e che prende il nome “[dal]l’impianto in massa di Prunus da fiore donati dalla città di Tokyo” [La Passeggiata del Giappone all’Eur]: donati, penso (ma non sono riuscito a trovarne attestazione), in occasione delle Olimpiadi romane del 1960, come ideale staffetta verso le Olimpiadi di Tokyo del 1964. Le bocchette dell’acqua che alimenta il lago fumavano nell’aria gelida, dando al paesaggio un vago sentore newyorchese.

wikimedia.org/wikipedia/commons

Manco del necessario lirismo per descrivere l’incanto della passeggiata e lo stato di grazia in cui mi trovavo stamattina. Per mia fortuna, parole sufficientemente alate non difettano a Francesco Tonini, il blogger che ho già citato poco fa:

Percorrere i vialetti di questa area è molto piacevole, un continuo avvicendarsi di quinte chiuse ed aperte si susseguono tra percorsi sinuosi contornati da specie vegetali sempre diverse, tra sali scendi che permettono di apprezzare visuali diverse dei grattacieli dell’eur, il tutto immersi in un clima rilassato ed isolato dal traffico cittadino.
Il successo della Passeggiata è evidente: centinaia di persone la percorrono ad ogni ora per passeggiare, fare jogging e sostare sulle panchine all’ombra degli alberi con serenità.[La Passeggiata del Giappone all’Eur]

Il percorso, oltrepassato il primo dei 2 ponti sotto via Cristoforo Colombo (se pensate che l’espressione “dormire sotto i ponti” sia una trita metafora, mettetevi nei panni di quel poveretto che, infagottato, ci dorme davvero), arriva alla sezione di passeggiata che si chiama Parco delle cascate.

wikimedia.org/wikipedia

Ecco, la vedete al centro dell’immagine: quella è la passerella realizzata pochi anni fa per consentire il periplo completo del lago (al momento, per la verità, reso di nuovo impraticabile dai lavori per la costruzione del nuovo acquario Mare Nostrum, sulla sponda opposta). Ma lasciamo parlare ancora una volta Francesco Tonini:

Per permettere la connessione integrale del periplo del lago dell’Eur composto dalla Passeggiata del Giappone, tra 2006 e 2007 Eur SPA ha realizzato due progetti di Franco Zagari, quello della terrazza galleggiante Cythera e quello della passerella Hashi. Entrambe le opere sono contraddistinte da composizioni di materiali che ne tracciano la presenza nella contemporaneità, acciaio, vetro e legno.
La passerella è posizionata esattamente in corrispondenza dell’asse di caduta dell’acqua e promette uno spettacolo unico nei momenti di funzionamento della cascata. Per la descrizione dell’opera ci affidiamo nuovamente alle sognanti parole di Franco Zagari:
“HASHI” è una nuova passerella pedonale posta sulla cascata centrale del Lago dell’Eur. Il nome significa “ponte” in giapponese, nel suo doppio senso di passaggio e limite. La dedica è alla Passeggiata del Giappone, vi era infatti – dopo il passaggio a Ovest reso possibile da Cythera – ancora una discontinuità del percorso in corrispondenza della cascata centrale, aggirabile solo con un lungo sentiero che obbligava ad entrare in profondità nel giardino, in una zona per il momento non aperta al pubblico se non per avvenimenti eccezionali. Quattro nuovi cancelli colorati introducono al Giardino delle Cascate, in previsione della ricostituzione della recinzione originaria di rose rampicanti lungo i due rami del viale Cristoforo Colombo. La passerella connette direttamente le due rive della cascata centrale, scendendo e risalendo con pendenze progressive molto comode (dal centro verso le estremità dallo 0,0 al 4,0%), in modo di avere un impatto visivo contenuto. In questo modo si raggiunge la quota minima del calpestio al centro della passerella, appena fuori dal pelo dell’acqua. Per dare un riscontro armonico alla geometria voluta da De Vico, un elegante disegno a forma di diapason, si è adottato un profilo in curva anche in pianta, accorgimento che permette anche di rispettare meglio la visibilità del filo della cataratta. La doppia curvatura, in pianta e sezione longitudinale, conferisce alla passerella una particolare eleganza, con un continuo cambiamento di prospettiva nell’incedere di chi passa. La struttura portante, tutta in acciaio inox, ha un’anima centrale con mensole a sbalzo che sostengono il piano di calpestio. Il pavimento è in doghe di legno esotico pregiato, sui due lati, e in vetro serigrafato in corrispondenza del passaggio sull’acqua. Le balaustre sono in rete inox per la parte che corre sulla cataratta, garantendo il massimo della trasparenza (la stessa soluzione della terrazza galleggiante), mentre i raccordi in corrispondenza delle rive sono in lamiera traforata per adattarsi meglio alla conformazione del suolo e favorire attraverso i fori la crescita della vegetazione delle ripe. Hashi, pur essendo in fondo solo una breve passerella, ha una notevole qualità tecnologica, che ha permesso di ottenere una particolare leggerezza e trasparenza.
Ho trovato sufficientemente interessante percorrere la passerella, che sembra progettata per essere ben inserita nel contesto, anche se per il momento ci sono segni inequivocabili che indicano ancora un po’ di tempo per il completamento dei lavori. Sono sicuro che non appena l’opera sarà totalmente assorbita dalla vegetazione e dall’acqua della cascata, la Passeggiata del Giappone troverà in questo punto un luogo indimenticabile. [Hashi, la passerella di completamento della Passeggiata del Giappone]

paesaggiocritico.com / foto di Francesco Tonini

Malimor…, come si dice a Roma. Luogo indimenticabile di sicuro. E non certo per responsabilità di Francesco Tonini, il cui parere estetico condivido e che comunque sul posto, a giudicare dalla data dei suoi post, c’è andato alla fine di maggio di quasi 3 anni fa. Per responsabilità di quella mente eccelsa, di quel visionario professionista che tutto il mondo ci invidia, Franco Zagari.

Perché ce l’ho con lui? – mi precipito a dirlo prima che scatti la denuncia nei miei confronti. Ce l’ho con lui perché io oggi ci sono rovinosamente caduto, sulla sua passerella. E non soltanto per mia imperizia e imprudenza (una modica quantità gliela posso concedere, che non si nega a nessuno, come il concorso di colpa che appioppano al povero pedone travolto sulle strisce pedonali mentre attraversava con il semaforo verde), ma perché il suo progetto di passerella è demenziale. E per di più – come potete ben vedere qui sotto – ride, ride, come quell’infame di Franti.

ilsole24ore.com

Ci sono rovinosamente caduto perché oggi la passerella, nella sua parte vitrea, ancorché serigrafata, era una perfetta lastra di invisibile ghiaccio. E io ci sono scivolato, nonostante mi sia reso conto per un interminabile istante del guaio in cui mi stavo cacciando e abbia tentato in extremis di aggrapparmi alle inutili «balaustre in rete inox». Ora io posso capire che le giornate di gelo di Roma (25-30 all’anno secondo i dati climatologici) possano sembrare poche al professor Zagari; oppure il prof. Zagari si immagina che i giardinieri dell’Eur verifichino ogni mattina le condizioni della passerella e collochino, zelanti come addetti alle pulizie dei bagni dell’autogrill o dell’aeroporto, apposita segnaletica di pericolo, oppure chiudano per precauzione i «quattro nuovi cancelli colorati» che dànno accesso al Giardino delle cascate.

safeatwork.ch

Ma oltre ai giorni di gelo – grosso modo 30 su 365 – il prof. Zagari si è interrogato sulle altre circostanze in cui la passerella «in doghe di legno esotico pregiato […] e in vetro serigrafato» avrebbe potuto essere bagnata, e dunque scivolosa? Praticamente sempre, caro professore: anche senza esami di meteorologia o di fisica dei fluidi, ma con un modicum di capacità di ragionamento e di osservazione si sarebbe potuto (e dovuto) giungere alla conclusione che un ponticello vicino a un lago e in prossimità dei 10 getti d’acqua della monumentale fontana (guardate, vi prego, la 2ª foto di questo post) sarebbe stato perennemente bagnato, soprattutto se si è avuta la lungimiranza di far raggiungere «la quota minima del calpestio al centro della passerella, appena fuori dal pelo dell’acqua».

Ma non basta, la passerella è in pendenza [«scendendo e risalendo con pendenze progressive molto comode (dal centro verso le estremità dallo 0,0 al 4,0%)»] e se non bastasse è in curva [«si è adottato un profilo in curva anche in pianta, accorgimento che permette anche di rispettare meglio la visibilità del filo della cataratta»].

Dunque il prof. Zagari è un sadico? Il suo ghigno è davvero quello infame di Franti? Non lo penso davvero, e non è certo questo il mio punto. La mia convinzione, in questo caso e in molti altri, è che il progettista abbia privilegiato i valori formali ed estetici [«La doppia curvatura, in pianta e sezione longitudinale, conferisce alla passerella una particolare eleganza, con un continuo cambiamento di prospettiva nell’incedere di chi passa»], trascurando del tutto, e colpevolmente, quelli pratici e funzionali.

Avrei potuto farmi molto male (ho rischiato di battere anche la nuca, oltre alla regione sacro-coccigea), e invece sono qui a ragionarne e a riderne con voi. Proprio una gran botta di culo!

francozagari.it

Le ferie e la produttività

Oggi è il mio ultimo giorno di ferie, o meglio di queste intermittenti ferie agostane. Lunedì, almeno nelle pubbliche amministrazioni, inizia ufficiosamente la famosa “ripresa autunnale”, quella cosa nell’attesa della quale avevamo rimandato un sacco di cose a luglio. Sono le gioie della procrastinazione, strutturata o meno che sia.

Structured Procrastination

cafepress.com

Forse, allora, vale la pena di riprendere una polemica estiva e far un salomonico esercizio di par condicio.

Andiamo in ordine cronologico.

Gianfranco Polillo

ansa.it

Il 19 giugno 2012, alle 8:41 di un mattino che si avviava a diventare una delle prime giornate torride di questa torrida estate (peraltro iniziata sotto il profilo meteorologico ma non astronomico) – sì, sto parodiando l’incipit de L’uomo senza qualità di Robert Musil – il sotto-segretario all’Economia Gianfranco Polillo aggiunge un altro quarto d’ora alla suo ormai lungo minutaggio di celebrità warholiana. Chi mi segue sa che mi piace risalire alle fonti e, dunque, ecco il lancio dell’ANSA.

Polillo: ‘Sette giorni ferie in meno per alzare Pil’

Sottosegretario: ‘Lavorare una settimana in più per aumentare produttività’

19 giugno, 08:41

(di Francesco Carbone)

Gli italiani vivono al di sopra delle proprie possibilità e fanno troppe ferie. Dovrebbero lavorare almeno una settimana in più per essere più produttivi e ridare fiato al Pil. Il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, lancia una proposta-provocazione che però non trova grandi sostenitori anzi scatena un coro di polemiche. Contrari sono: Cgil, Cisl, Ugl, Confesercenti. Ma anche Pd, Idv, Pdci. Se si attuasse la proposta – sostiene Polillo – si avrebbe un effetto benefico: un punto di Pil in più. Niente male in tempi di recessione quando davanti al Pil c’è sempre il segno meno. C’è però anche un problema di ‘stile di vita’: secondo Polillo infatti “stiamo vivendo sopra le nostre possibilità: per sostenere i nostri consumi interni abbiamo bisogno di prestiti esteri che sono stati pari a 50 miliardi di euro l’anno”. Quindi? “Questo gap lo possiamo chiudere – spiega – o riducendo ulteriormente la domanda interna, inaccettabile per il Paese, oppure aumentando il potenziale produttivo”. Così si potrebbe appunto lavorare di più: “per aumentare la produttività del Paese – spiega – lo choc può avvenire dall’aumento dell’input di lavoro, senza variazioni di costo; lavoriamo mediamente 9 mesi l’anno e credo che ormai questo tempo sia troppo breve”. Quindi secondo Polillo, “se noi rinunciassimo ad una settimana di vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto”. Cioé circa 14-15 miliardi. E la proposta non sarebbe neanche troppo ‘invisa’ – secondo Polillo – alle parti sociali: per quanto riguarda i sindacati “è una fase di riflessione, ma devo dire che non sono contrari a questa ipotesi, almeno la parte più avveduta del sindacato che sta riflettendo per conto suo su questo all’interno di tutte le sigle”. E in Cgil: “ci sono settori illuminati e riformisti che ci stanno ragionando”. Ma dalla stessa Cgil il segretario confederale, Fabrizio Solari, parla di “un’uscita confusa, estemporanea e non particolarmente geniale e alla quale manca un naturale complemento: perché non chiedere ai 500 mila lavoratori in cassa di rinunciare ad una settimana di indennità? Per questa via anche le casse dello Stato ne trarrebbero un beneficio. Fuor d’ironia il problema della scarsa produttività italiana è il frutto della sua stessa specializzazione produttiva nonché degli scarsi investimenti. Queste le priorità da affrontare per produrre una crescita del Pil. Di certo la difficoltà del momento impongono a tutti, specie ai membri del governo, di non andare a cercare farfalle sotto l’arco di Tito”. Anche il Segretario Confederale Cisl, Luigi Sbarra, non sembra entusiasta: “se il sottosegretario Polillo vuole lavorare una settimana in più all’anno, cominciasse lui a dare l’esempio”. E dall’Ugl, Giovanni Centrella, protesta: “con questa bufala il governo sembra proprio aver toccato il fondo”. L’idea viene bocciata dal senatore dell’Idv Elio Lannutti che parte all’attacco sul fatto che mediamente gli italiani lavorino 9 mesi l’anno: “probabilmente Polillo si riferisce a se stesso e ai suoi burocrati non certamente a quelli che neanche si possono permettere di andare in ferie”. Infine Confesercenti e Pd:la proposta danneggerebbe il turismo, proprio l’unico settore trainante per uscire dalla crisi. E il Pdci: “nemmeno la finanza creativa di Tremonti sarebbe arrivata a tanto”.

Al di là delle posizioni motivate politicamente o sindacalmente, la proposta di Polillo suscitò anche immediati pareri negativi tra gli economisti e fu oggetto di satira. Per i primi, leggiamo Dario Di Vico sul Corriere della sera:

Se le aziende non hanno mercato tagliare le ferie diventa inutile

Il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo è il re Mida della polemica take away. Ogni tasto che tocca fa esplodere una piccola rissa mediatica che lo ripaga della fatica di essere al governo in compagnia di colleghi di cui spesso non condivide il modo di operare. È successo anche ieri: Polillo ha proposto agli italiani di rinunciare a sette giorni in ferie perché così «avremmo un impatto immediato sul Pil di circa un punto». I sindacati, il Pd e l’Italia dei valori sono immediatamente insorti colpiti dal segno punitivo che la proposta avrebbe nei confronti dei lavoratori. Qualcuno sull’abbrivio ha chiesto persino le dimissioni di Polillo ma il caldo è un grande alibi per tutti. La verità è che in questa fase della Grande Crisi non basta modificare le condizioni dell’offerta (ovvero decidere di lavorare di più) per creare sviluppo. Magari! Il problema sta tutto nella domanda che purtroppo non c’ è e tutto ciò rende purtroppo inutile qualsiasi patto tra i produttori, anche quello taglia-ferie. Se infatti gli operai accettassero di lavorare una settimana in più a reddito invariato le loro aziende non venderebbero automaticamente di più, spalmerebbero solo su più giorni i programmi produttivi necessari a soddisfare un mercato che più pigro di così non potrebbe essere. Non dimentichiamo che oggi la capacità produttiva è utilizzata all’incirca al 70% e la produzione industriale è calata di almeno un quarto. Se proprio volessimo però interpretare lo spirito migliorista della sortita di Polillo dovremmo vincolare la settimana lavorativa sottratta (alle ferie) alla decisione da parte delle aziende di pagare di più i loro operai. In questo caso un pur limitato aumento dei salari potrebbe sostenere i consumi e ridare un po’ d’ ossigeno a quella domanda depressa di cui parlavamo. Ma è evidente che in questo caso a insorgere sarebbero le aziende. Quelle che non hanno bisogno di produrre di più considererebbero lunare l’applicazione salariale del Polillo pensiero, mentre quelle che hanno mercato preferirebbero comunque utilizzare lo strumento dello straordinario piuttosto che negoziare una settimana in più. E del resto già avviene così nelle aziende. Con la piena responsabilizzazione del sindacato.

Per i secondi, Massimo Gramellini su La Stampa:

Il sottosegretario Quaresima

Lo scrivo a voce bassa e raccomandando il massimo riserbo – non vorremo svelare i piani segreti del governo a qualche potenza straniera? – ma il sottosegretario all’Economia con delega alle chiacchiere Polillo ha appena avuto un’idea geniale per far impennare il Pil. Rinunciare a una settimana di ferie. Non lui, gli italiani tutti. Poiché i lavoratori dipendenti godono di tre mesi di vacanze l’anno, ha ragionato il grand’uomo (temo li abbia confusi con i parlamentari), basterebbe offrire alla Patria una settimana di tintarella e l’economia nazionale ripartirebbe a razzo verso il cielo stellato.
Non intendo guastare i sogni di Polillo ricordando che è inutile produrre di più se poi non c’è nessuno a cui vendere e che oggi il problema non è rappresentato da quelli che fanno le ferie, ma da quelli che non le fanno perché hanno perso il lavoro. Mi limito a prendere spunto dall’ultima uscita «tecnica» per invocare dai rispettabili membri del governo un cambio: se non di marcia, almeno di umore. Sarà vero che arriviamo da un carnevale di vent’anni (anche se la maggioranza di noi nemmeno stava sui carri e applaudiva o fischiava la sfilata dal bordo della strada). Ma non mi sembra una buona ragione per sprofondarci in questa quaresima senza pasque, quasi dovessimo espiare una colpa collettiva. Chi lavora, in Italia, lavora tantissimo. Semmai lavora male, a causa della corruzione e della burocrazia, figlie naturali della cattiva politica. Invece di farlo sentire un verme, gli andrebbe restituita una speranza, mandando in ferie non pagate gli ottusocrati e in carcere i ladri.

Ma perché riprendo oggi questa polemica ormai stantia? Perché nel frattempo, negli Stati Uniti, che notoriamente di ferie ne fanno meno di noi, un economista del lavoro di primo piano propone l’esatto opposto: 3 settimane di ferie obbligatorie.

L’autore della proposta è Robert Reich che, sul suo blog, si presenta così:

ROBERT B. REICH, Chancellor’s Professor of Public Policy at the University of California at Berkeley, was Secretary of Labor in the Clinton administration. Time Magazine named him one of the ten most effective cabinet secretaries of the last century. He has written thirteen books, including the best sellers “Aftershock” and “The Work of Nations.” His latest, “Beyond Outrage,” is now out in paperback. He is also a founding editor of the American Prospect magazine and chairman of Common Cause.

E ora leggiamo la sua proposta, pubblicata su Salon il 10 agosto 2012:

Back from three weeks off grid, much of it hiking in Alaska and Australia.
When I left the U.S. economy was in a stall, Greece was on the brink of defaulting, the eurozone couldn’t get its act together, the Fed couldn’t decide on another round of quantitative easing, congressional Democrats and Republicans were in gridlock, much of the nation was broiling, and neither Obama nor Romney had put forward a bold proposal for boosting the economy, slowing climate change, or much of anything else.
What a difference three weeks makes.
Here’s a bold proposal I offer free of charge to Obama or Romney: Every American should get a mandatory minimum of three weeks paid vacation a year.
Most Americans only get two weeks off right now. But many don’t even take the full two weeks out of fear of losing their jobs. One in four gets no paid vacation at all, not even holidays. Overall, Americans have less vacation time than workers in any other advanced economy.
This is absurd. A mandatory three weeks off would be good for everyone — including employers.
Studies show workers who take time off are more productive after their batteries are recharged. They have higher morale, and are less likely to mentally check out on the job.
This means more output per worker — enough to compensate employers for the cost of hiring additional workers to cover for everyone’s three weeks’ vacation time.
It’s also a win for the economy, because these additional workers would bring down the level of unemployment and put more money into more people’s pockets. This extra purchasing power would boost the economy overall.
More and longer vacations would also improve our health. A study by Wisconsin’s Marshfield Clinic shows women who take regular vacations experience less tension and depression year round. Studies also show that men who take regular vacations have less likelihood of heart disease and fewer heart attacks.
Better health is not just good for us as individuals. It also translates into more productive workers, fewer sick days, less absenteeism. And lower healthcare costs.
In other words, a three-week minimum vacation is a win-win-win — good for workers, good for employers, and good for the economy.
And I guarantee it would also be a winner among voters. Obama, Romney — either of you listening?