Non è una parola scoperta ora. La conosco da anni ed è anzi una delle mie preferite (per motivi che saranno presto ovvi). Ma la facevo derivare da un’etimologia erronea, anche se affascinante, e sono qui a emendarmi.
Ma intanto cominciamo dalla definizione che prendo, come di consueto, dal Vocabolario Treccani:
Aggettivo e sostantivo maschile: di medicamento (cardamomo, cannella, anice) cui si attribuiva la capacità di promuovere l’espulsione di gas presenti nel tratto gastro-intestinale e di calmare i dolori da questi provocati.
Cardamomo / wikimedia.org/wikipedia/commons
Cannella / wikimedia.org/wikipedia/commons
Anice / wikimedia.org/wikipedia/commons
Poiché ho l’età mentale di un bambino di 3 anni, che ha appena conseguito il controllo dei propri sfinteri e, pertanto, è ancora affascinato dalle sue funzioni corporali più “basse”, facevo discendere l’aggettivo italiano carminativo dal sostantivo latino carmen («canto»). I carminativi – mi dicevo –, favorendo l’espulsione di gas intestinali dall’un orifizio o dall’altro del tubo digerente, consentono prestazioni sonore tonitruanti, se non leggiadre. Celebrate da letterati e poeti: forse non dal Bruce Chatwin de La vie dei canti, ma certamente dal nostro padre Dante nel Canto XXI dell’Inferno, laddove il diavolo Barbariccia dà in questo modo il segnale del via alla marcia della sua demoniaca compagnia («ed elli avea del cul fatto trombetta»). Ma le citazioni letterarie sono troppe per poterle citare qui (potete andarvele a leggere alla voce Flatulenza di Wikipedia). Mi limiterò a citare il mio amato conterraneo Teofilo Folengo aka Merlin Cocai che nel suo Baldus disserta in latino maccheronico sulla differenza tra pernacchia e flatulenza, distinguendo poi all’interno di quest’ultima tra peto e scoreggia. Attribuendo peraltro il tutto nientemeno che al filosofo arabo medievale Averroè:
Petezatio fit dupliciter, ait Averois: altera causa bertezandi, altera causa sanitatis; prima ore, secunda et coetera.
Pettus est ventositas tundior coreza. Testatur Averois.
Purtroppo, pare che la mia etimologia sia sbagliata. Gli studiosi concordano nel derivare l’aggettivo dal verbo latino carminare, ma poi si dividono su quale dei due significati del verbo latino sia all’origine del significato dell’aggettivo italiano. Nella prima accezione, carminare deriva sì da carmen, ma inteso come strumento per cardare la lana:
Pettinare, scardassare la lana e il lino; figurato, scherzoso: il misero Martellino era senza pettine carminato (Boccaccio), cioè malmenato, graffiato. Con altro senso figurato, esaminare minutamente: carminandosi la questione (Sacchetti). [Vocabolario Treccani]
I carminativi, cioè, pettinerebbero l’intestino guidando passo passo i gas verso il loro esito naturale.
Nella seconda, di carmen si usa piuttosto l’accezione di «incantesimo», cioè sortilegio atto a sanare un malessere clinico:
Nel linguaggio medico del passato, promuovere l’espulsione dei gas presenti nell’intestino. [Vocabolario Treccani]
Domani e dopodomani (24 e 25 febbraio 2013) si vota. Salvo clamorosi errori dei sondaggisti, una parte consistente dei votanti sceglierà il Movimento 5 stelle (di e con Beppe Grillo: non sono sicuro di saperlo molto bene, ma mi ha aiutato a capire qualche cosa il post di un blogger ben più popolare di me, Leonardo Tondelli: Grillo, il Movimento e i grillini). Le 5 stelle del movimento erano all’origine: Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività, Sviluppo (se uno googla «movimento 5 stelle», il primo risultato linka a www.beppegrillo.it/movimento/ e riporta il seguente breve testo: «Il MoVimento 5 Stelle è un movimento di liberi cittadini per un’Italia a 5 Stelle: Acqua, Ambiente, Trasporti, Connettività, Sviluppo.»). Però se uno va a leggere il programma elettorale (si può scaricare qui) trova un’articolazione i 7 punti («Stato e cittadini, Energia, Informazione, Economia, Trasporti, Salute, Istruzione») che si sovrappongono in minima parte alle 5 stelle, anche a voler fare qualche esercizio di fantasia. Il programma è una lista di circa 125 punti e il cambiamento che promette il Comunicato politico numero cinquantatre sarà (manco a dirlo) epocale: ma io qui non voglio persuadere nessuno. A me non convince, per eccesso di semplificazione. e per una certa tendenza a vedere dappertutto complotti (Nate Silver afferma nel suo The Signal and the Noise che «[a] conspiracy theory might be thought of as the laziest form of signal analysis» e cita il professore di Harvard H. L. “Skip” Gates, secondo cui «[c]onspiracy theories are an irresistible labor-saving device in the face of complexity.»). Questi, insieme al fatto che non mi piacciono le persone che urlano e sfuggono al confronto, sono i motivi per cui io non voterò Movimento 5 stelle. Ma ognuno faccia quello che crede e io cercherò di rispettare la sua opinione.
wikimedia.org/wikipedia/commons
Quello su cui voglio attirare oggi la vostra attenzione è la storia della biowashball. Non ne parlo per sputtanare Beppe Grillo: l’hanno già fatto in tanti, proprio su questo argomento. Per di più, Beppe Grillo è contrario alle vaccinazioni obbligatorie: un’opinione ben più irresponsabile e pericolosa, e questa è una cosa che meriterebbe una trattazione a sé (potete farvi un’idea delle sue implicazioni potete andare a leggere la voce di Wikipedia sull’argomento – ma naturalmente potete sempre farvi convincere da Grillo che è tutto un complotto). Il mio problema, come vedrete, sono quelli che prestano fede alle prediche di Grillo, tanto da decidere di votarlo, per portare i suoi candidati al parlamento e, se possibile, al governo.
Allora, Beppe Grillo ha presentato molte volte nei suoi spettacoli-comizio (da un po’ sostituiti dai comizi-spettacolo) questa mirabolante palla che permetterebbe di lavare gli indumenti senza detersivo:
Penso che il video parli da solo. Intanto la pallina, che si chiama biowashball, non ha assolutamente niente di biologico: ma tant’è, bio fa verde, fa naturale, e tanto basta. È anche verde di colore, ma è plastica verde (una poliolefina, variante del diffusissimo ed esecratissimo polipropilene, derivato per sintesi dagli idrocarburi detestati da Grillo e dai suoi). Al suo interno ci sono delle palline di ceramica (naturale, dice Grillo: certo, naturale come l’acciaio e il cemento, cioè ottenuta per trasformazione industriale di materie prime presenti su questo pianeta). Le sue mirabolanti proprietà (che irraggi infrarossi, che frazioni l’idrogeno o le molecole d’acqua – non ho capito bene –, che si ricarichi con l’energia solare, che abbia poteri antibatterici se conservata in frigo) non hanno fondamento scientifico alcuno, non più della credenza che la combustione sia indotta dal flogisto e la peste dai miasmi delle paludi. Lo spiegano bene in tanti, soprattutto Paolo Attivissimo, che vi invito a leggere qui.
Beppe Grillo non soltanto continua a credere che sia possibile che una palletta di volgarissima plastica ripiena di palline di volgarissima ceramica possa detergere alcunché (più dell’acqua, cioè, che come tutti sanno bagna e lava anche da sola), ma se la prende con la consueta virulenza con chi osa mettere in dubbio l’efficacia di biowashball. Naturalmente chi osa farlo non è un essere pensante o almeno dubitante, ma un corrotto a libro paga delle multinazionali del detersivo, o al meglio un utile idiota. E naturalmente è una cospirazione, minimo una congiura del silenzio.
Nella trasmissione Mi manda Rai3 dedicata alla Biowashball mancavano i due milioni di persone che l’hanno usata e apprezzata.
Hanno mobilitato la Rai, la rivista il Salvagente targata Coop (la Coop che ama i detersivi) e alcune persone perché iscritte al Meetup di Beppe Grillo contrarie al prodotto (indovinate perché sono state invitate proprio e solo loro).
Mancava in studio la casalinga di Voghera, quella che sa cos’è il bucato e può fornire un parere professionale sulla Biowashball perché l’ha usata.
Se un prodotto non fa quello che dice e si chiedono soldi in cambio si chiama truffa. La società che la distribuisce in tutto il mondo in milioni di esemplari non ha processi in corso e in nessuno Stato dove è venduta la Biowashball è stato chiesto il ritiro del prodotto. Ho detto più volte che prima di dare un giudizio bisogna informarsi e verificare. Non vi ho detto però che per farlo bisogna guardare la televisione o leggere i giornali finanziati dallo Stato.
Io l’ho provata. La mia famiglia usa Biowashball da due mesi e anche le famiglie di alcuni miei amici. Per noi funziona. Prima di dare un giudizio vi consiglio di usarla, magari in prestito da un conoscente. In Rete ci sono centinaia di testimonianze di utenti italiani soddisfatti.
Dopo questa reazione dei media credo che sia ora di iniziare una battaglia contro i detersivi, uno degli strumenti di distruzione del pianeta, usati spesso senza necessità e quasi sempre in eccesso. Una battaglia difficile perché hanno i media (finanziati dalla loro pubblicità) come alleati.
Loro non molleranno mai (ma gli conviene?), noi neppure.
A me il pezzo che piace di più è quando a sostegno della tesi della bontà del prodotto viene portata l’argomentazione che 2 milioni di persone «l’hanno usata e apprezzata.» Io la chiamo l’argomentazione della mosca: miliardi di mosche l’hanno usata e apprezzata, dunque la merda è buonissima.
Ora, io capisco perfettamente che la biopalla non è al centro del programma elettorale di Grillo. Però, se i sondaggi non sono grossolanamente sbagliati, domani e dopodomani circa un elettore su 5 voterà per Grillo (sì, per Grillo, più che per il Movimento 5 stelle, come ha ben spiegato Leonardo). Cioè, 10 milioni di italiani affideranno il destino di questo sciagurato Paese nelle mani di uno che crede che una specie di sorpresa dell’ovetto Kinder piena di gnocchetti di terracotta come quelli che si mettono nella tortiera per non far gonfiare la pasta-frolla abbia il potere di avere insieme l’ambiente e i corsi d’acqua incontaminati e i panni puliti (perché dobbiamo tenere a mente che in un’economia di mercato, se i detersivi si vendono, non dipende soltanto dal diabolico strapotere delle multinazionali produttrici, ma anche dalla preferenza dei consumatori per i panni puliti e profumati). 10 milioni di italiani presteranno fede alle ricette miracolistiche di uno che pensa e dice che si può avere tutto e il contrario di tutto senza costi. La favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione, domani e dopodomani illuderà 10 milioni di italiani. Che si sommeranno agli altri milioni che crederanno alla restituzione dell’IMU.
Temo di essere un irriducibile illuminista, ma temo che questo sia anche, anzi soprattutto, il frutto della pseudo-cultura oscurantista di questo povero Paese, dove è lecito vantarsi di non sapere nulla di matematica, di fisica, di chimica, di biologia. Dove credere ai miracoli, alle favole, alle teorie strampalate, all’ultima miracolistica dieta o pseudo-filosofia new age ti rende una persona bella e interessante.
10 milioni di credenti creduloni.
Intanto, il 20 e 21 febbraio, si svolgeva a Roma l’Undicesima conferenza nazionale di statistica, organizzata dal Sistema statistico nazionale e dall’Istat. Quasi 2.500 persone si sono confrontate per due giorni su come conoscere e misurare i fenomeni nuovi nell’economia, nella società e nella vita quotidiana; su come darsi degli obiettivi concreti e su come misurare i progressi verso il loro raggiungimento; su come i decisori politici possono fare le loro scelte sulla base di evidenze verificabili e come i cittadini possono valutarne quantitativamente l’operato; su come sottoporre a controllo preventivo e verifica successiva le diagnosi e le terapie proposte dalle parti politiche. 2.500 persone che, con una buona dose di ottimismo, possiamo ipotizzare convinte di questo programma: un programma di riforma, di riforma di metodo, prima che di merito.
2.500 persone contro 10 milioni. Consentitemi un po’ di pessimismo.
apofàtico agg. [dal gr. ἀποϕατικός «negativo», der. di ἀπόϕημι «negare», ἀπόϕασις «negazione»] (pl. m. –ci). – Nella logica aristotelica, di giudizio che nega l’appartenenza di un predicato a un soggetto. Teologia apofatica, quella che procede alla conoscenza di Dio per via di negazioni, dicendo ciò che Dio non è.
catafàtico agg. [dal gr. καταϕατικός «affermativo», der. di κατάϕημι «affermare»] (pl. m. –ci), non comune. [eh già, perché invece apofatico è sulla bocca di tutti – nota mia] – Termine usato quasi esclusivamente nella locuzione teologia catafatica, teologia che svolge il discorso su Dio attribuendo a lui, in sommo grado, tutti i valori; si contrappone come metodo alla teologia apofatica o negativa (con la quale però storicamente a volte si integra).
Curiosamente, su questi aspetti teologici l’Enciclopedia Treccani online si perde in una curiosa circolarità. Infatti:
Catafatica, teologia Teologia che attribuisce in sommo grado a Dio, come causa prima di tutto il creato, le qualità positive che connotano le creature. Si contrappone (ma storicamente a volte si integra) alla teologia apofatica o negativa.
Apofatico Nella logica aristotelica, riferito a ciò che separa una cosa da un’altra, che nega l’appartenenza di un predicato a un soggetto. La teologia apofatica (in opposizione alla catafatica) è quella che procede alla conoscenza di Dio per via di negazioni, dicendo ciò che Dio non è. [è quello che aveva già detto nel Vocabolario e non mi sembra ci faccia fare molti passi in avanti – nota mia]
Per fortuna su questa teologia apofatica ci viene in soccorso Wikipedia:
La teologia affermativa, positiva o catafatica, detta anche catafatismo (dal greco antico katàphasis, che significa “affermazione”), è un metodo teologico che sostiene la conoscibilità di Dio attraverso la ragione e il contatto con la realtà. Il Creato, visto come opera di Dio, diventa lo strumento attraverso cui è possibile individuare gli attributi del Creatore. Questa teoria, nota pure come via positionis o affirmationis, ha per contraltare l’apofatismo già nel Peri hermêneias (De Interpretatione) della Logica (Organon) di Aristotele e si è poi sviluppata eminentemente nel contesto della Scolastica medievale.
La teologia negativa è un tipo di riflessione religiosa e filosofica che si propone di indagare Dio secondo una prospettiva puramente logico-formale, prescindendo totalmente da contenuti sostanziali.
Dio viene studiato cioè come il limite estremo su cui il pensiero logico si attesta e oltre il quale non può andare, dovendo da lì in poi cedere il passo alla fede e a un sapere rivelato. Secondo l’argomento ontologico utilizzato da vari filosofi, infatti, la logica riuscirebbe al massimo ad affermare che Dio non può non essere; per il resto, non ci può dire cosa è Dio, ma ci dice cosa Egli non è. Il metodo negativo, altrimenti noto come via negationis, consiste in definitiva nello studiare e nel definire una realtà a partire unicamente dal suo contrario. Di qui la valorizzazione del limite, dell’errore che pur opponendosi alla verità, permette in qualche modo di circoscriverla. La ragione umana mira così ad avvicinarsi all’Assoluto proprio grazie alla consapevolezza di essere fallibile e limitata. Diventare coscienti di un limite, infatti, è già un modo di trascenderlo e di superarlo. [questo è soltanto l’inizio della voce, che poi percorre la la storia della via negationis da Plotino a Heidegger]
L’apofatismo (dal greco ἀπό φημι che significa letteralmente lontano dal dire, non dire) è un metodo teologico secondo il quale Dio è del tutto inconoscibile attraverso la razionalità, perché trascende la realtà fisica e le capacità cognitive umane.
In quest’ottica, l’approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l’adorazione del mistero, e prescinde cioè da qualsivoglia processo di speculazione o indagine razionale dell’essere divino.
Questa teoria è l’esatto contrario del catafatismo della teologia affermativa, la quale prevede la conoscibilità di Dio attraverso l’uso della ragione e dell’intelletto.
La teologia negativa, tuttavia, che si serve di un tale metodo apofatico, ammette in parte la possibilità di un esercizio discorsivo e razionale per avvicinarsi a Dio, non dicendo cosa Egli è, ma dicendo cosa Egli non è. Essa culmina comunque nel silenzio.
Prima di culminare anche noi nel silenzio, due citazioni.
La mia posizione filosofica generale si chiama apofatismo. Sostengo che l’esercizio strenuo della razionalità in merito agli interrogativi ultimi sulla vita non approda a idee chiare e distinte ma all’irrappresentabile. Anche la singolarità iniziale del Big Bang, preceduta dal puro nulla, è irrappresentabile, come tutte le soluzioni che abbiamo sull’origine dell’universo. L’apofatismo è la nube della non conoscenza, ma non per sfiducia nella ragione.
La seconda è una nota e bellissima poesia di Eugenio Montale, che propongo di eleggere a inno dell’apofatismo.
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
virna-ogniricciouncapriccio.blogspot.com
Apofatici di tutto il mondo, uniamoci. Ma nel silenzio.
Secondo amazon.com (che me lo ha scritto nella sua newsletter mp3) oggi ricorrerebbe anche l’anniversario (il 45º in questo caso) della pubblicazione di questa bellissima canzone. Uso il condizionale perché Wikipedia si limita a dire che fu pubblicata nel gennaio del 1968.
Otis Redding l’aveva iniziata a scrivere a Sausalito in California nel giugno del 1967, mentre era (per l’appunto) su una barca ormeggiata. L’ha registrata il 6-7 dicembre 1967, pochi giorni prima dell’incidente aereo del 10 dicembre, nei pressi del Lago Monona, nei pressi di Madison nel Wisconsin, che ne causò la morte.
È una canzone bellissima e ogni scusa per ascoltarla è buona.