12 maggio – Gabriel Fauré

Nato questo giorno nel 1845, a Pamiers, Ariège.

La sua opera più famosa è il Requiem in re minore, opera 48, che era anche la colonna sonora di un bellissimo film di Paul Vecchiali (Corpo a cuore: riporto sotto la recensione di Giovanni Grazzini, comparsa sul Corriere della sera all’epoca).

Ma guardando su Imdb, scopro che è stato utilizzato in molte colonne sonore, da Broken flowers a La sottile linea rossa.

Nonostante il tema funereo, è una musica sensualissima, ai limiti del disfacimento…

Né “corpo a corpo” né “cuore a cuore”, ma “corpo a cuore”. Fin dal titolo il film si annuncia una contaminazione: verbale, ma anche di affetti e linguaggi. Dunque un gioco espressivo, che – diciamolo subito – sta in rischioso equilibrio sulla corda dello spettacolo, popolare e coltissimo, grazie al talento d’un regista d’origine corsa, Paul Vecchiali, fatto conoscere dalla Biennale cinema del ’74 ai cinéphiles e che nello scorso settembre, ancora a Venezia, ci dette il deludente C’est la vie. Corpo a cuore è ora, per la grande platea, la prima occasione d’incontro con Vecchiali. Il nostro consiglio è di non mancare all’appuntamento. Il film è infatti molto diverso dalla produzione corrente: non lo diremmo stupendo, come taluno vorrebbe, ma attraente e talvolta ammirevole. Spesso bizzarro, sempre gradevole all’occhio. E a suo modo molto romantico, se è questo che il pubblico vuole, perché tutto d’amore e di morte. E tutto passione, con musica bella e dolci paesaggi.
C’è, al centro, Pierrot, un trentenne che fa il meccanico in un’officina della periferia parigina. Gran rubacuori, ma anche appassionatissimo di musica classica, s’invaghisce d’una sconosciuta sui cinquanta vista al concerto. Com’è sua abitudine, la vuole subito, la vuole tutta. La donna, rivelatasi la proprietaria d’una farmacia, gli dice subito di no: non precisa nemmeno se si chiama Jeanne o Michèle. E Pierrot si dispera: piange come un bambino, scazzotta un amico che lo sfotte, lascia il lavoro, poi si piazza notte e giorno davanti alla farmacia, s’inginocchia e supplica quell’anima di ghiaccio fra la curiosità dei passanti. È un assedio in piena regola, che sembra dar frutto quando la donna gli dichiara di essere affetta da un male incurabile e di aver deciso di trascorrere con lui i tre mesi di vita che le restano. Fuga dei due in Provenza, e trionfo d’amore fra i campi. Richiamato Pierrot a Parigi per una festa d’amici, l’incanto si rompe. A lui che si offre di sposarla, Jeanne-Michèle dichiara d’averlo ingannato. Di non essere affatto condannata, ma di aver voluto provare cos’è un grande amore, e d’esserne sazia. Pierrot stupisce, ferito nell’orgoglio, e torna a disperarsi quando la donna gli rivela d’essersi avvelenata, e lo scongiura d’aiutarla, e gli muore tra le braccia. Né noi né Pierrot sapremo mai il perché di quel gesto, ma serberemo di lei un’immagine sorridente, come fosse ancor viva, mescolata alla folla. Giacché nessuno muore, finché il cuore ne serba memoria…
L’originalità del film è, si è detto, nella sua natura di cocktail. Nel rifarsi ai modelli del realismo francese degli anni Trenta (dichiarati nella dedica al regista Jean Gremillon) ma nel calarli in una struttura duttilmente più moderna, nel mischiare echi farseschi a tocchi lirici, notazioni sociologiche a timbri da bozzetto populista e a scorci erotici. E nell’esprimere così quell’intreccio fra ragioni dell’anima e ragioni della carne che tocca il suo vertice misterioso nella follia della passione, cui conviene un unico commento, quello della musica. Dedicato anche al compositore Gabriel Faure, il film trova appunto nel suo “requiem Opus 48” e nella sua pavana il filo che lega situazioni e figure a un universo d’irrealtà, proprio del melodramma cui Vecchiali ambisce. I risultati sono più convincenti nella prima metà, perché poi la matassa s’ingarbuglia e il racconto un po’ sbanda, ma il film serba quasi ovunque un fervore visivo inconsueto. Per dire i segreti del cuore umano, e lasciarli indecifrati, Vecchiali costruisce una trama fittissima di personaggi, moltiplica le prospettive, passa dal tragico al comico. con una scioltezza rara. Il segreto di Corpo a cuore sta nel connubio fra l’irragionevolezza della sua materia e l’indisciplina della sua forma. Siamo, ripetiamo, sul filo del rasoio, in una tastiera di finzioni e rifrazioni, sui più vari registri, che un cinema vivacissimo e corposo rende molto piacevole.
I protagonisti hanno trovato nel vanitoso Nicolas Silberg (esordiente nel cinema dopo aver fatto teatro e Tv) e soprattutto in Hélène Surgère due attori di ottima scuola, ma non è trascurabile nemmeno l’apporto dei molti altri, fra cui Madeleine Robinson che fa la madre di Pierrot, ai quali sono spesso affidati compiti da comprimari, sia come abitanti del vicolo dove parte dell’azione è ambientata sia come dati di riscontro d’una condizione umanissima, dunque percorsa di presagi funesti e di vene grottesche. [Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 10 ottobre 1980]

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Giorgiana Masi – 12 maggio 1977

Quest’anno compirebbe 50 anni, Giorgiana Masi. Forse sarebbe una signora di mezza età, borghesemente sposata e madre di figli all’università. Forse sarebbe rimasta fedele alle sue idee di allora (era simpatizzante radicale e femminista) e avrebbe seguito una sua strada meno convenzionale: chissà, un compagno, magari i figli lo stesso, magari scelte diverse.

Invece, la sua vita fu stroncata a diciannove anni una sera di maggio, e non sappiamo da chi. È diventata un simbolo, immagino controvoglia (a me, se dicessero “vuoi essere un simbolo, da morto, o continuare a vivere tra i tuoi errori e i tuoi periodi no”, la scelta non si porrebbe neppure: la seconda che hai detto!). Un simbolo per pochi, per di più. Per la maggioranza un ingombrante incidente, da rimuovere con fastidio.

Io c’ero, in quella giornata da incubo. Non dall’inizio alla manifestazione a piazza Navona, che fu dispersa subito. Non c’era nulla di organizzato, e nella sostanza non feci che scappare. Sparavano. Chi? Non si sa. Qualcuno nel movimento, non avrei molti dubbi: quelli che sparavano c’erano e qualche giorno dopo ci fu l’omicidio dell’agente Custrà e la famosa foto dell’autonomo di Milano.

Sparò certamente anche la polizia, e soprattutto c’erano degli agenti provocatori infiltrati. Lotta continua quotidiano pubblicò un’inchiesta documentatissima. Nella foto qua sotto uno degli agenti provocatori è chiaramente al fianco di poliziotti in divisa. Guardate anche il video di RaiDue alla fine del post.

Era una giornata di sole e il pomeriggio faceva veramente caldo. Era quasi sera quando fu colpita Giorgiana. Io ero con un amico sul ponte dell’isola Tiberina, a poche decine di metri da ponte Garibaldi. Mi buttai a terra quando sentii i colpi, dietro la spalletta di pietra. Non vidi niente, per la paura e la mia forte miopia (non portavo ancora le lenti a contatto). Come al solito, girarono voci disparate e la notizia di quello che era successo si chiarì a sera.

Si chiarì. Parola grossa. Riporto qui due punti di vista interessanti.

Il primo è tratto da: Balestrini, Nanni e Primo Moroni (1997). L’ orda d’oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale. Milano: Feltrinelli. 1997.

Il mese di maggio è il piú nero per il movimento. […]
Il 12 maggio il movimento tenta una manifestazione pacifica di celebrazione della vittoria del referendum sul divorzio del ’74. La manifestazione è organizzata dal Partito radicale. A piazza Navona la polizia interviene subito picchiando alcuni suoi deputati parlamentari; poi si scatenano le cariche contro tutti i gruppi che transitano nei pressi della piazza. La manifestazione non era organizzata, non c’erano servizi d’ordine né strumenti per difendersi.
Molti di questi gruppi retrocedono verso Campo dei Fiori dove vengono erette delle barricate e disselciato il fondo stradale per procurarsi dei sassi. La polizia getta in campo le sue squadre speciali: agenti in borghese travestiti da “estremisti” sparano ad altezza d’uomo.
Gli scontri proseguono per ore, a sera tarda su Ponte Garibaldi muore, uccisa dalla polizia con un colpo alla schiena mentre fuggiva, Giorgiana Masi, vent’anni, simpatizzante del Partito radicale.

Cossiga, che era ministro dell’interno all’epoca dei fatti, è intervenuto più volte sulla vicenda. Ad esempio, a Report nel 2003:

D – Senta ci dica qualche segreto che non ha mai detto a nessuno.

FRANCESCO COSSIGA: I segreti che io mantengo, so ma in parte io me ne sono dimenticati.

D – Che è il modo migliore per mantenere un segreto, quello di dimenticare…

FRANCESCO COSSIGA: Sì, esatto, io me ne sono quasi dimenticato del tutto; altri segreti che io mantengo, ma non segreti di Stato, per esempio, non l’ho mai detto alle autorità giudiziarie e non lo dirò mai, i dubbi che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono sulla morte di Giorgiana Masi: se avessi preso per buono ciò che mi avevano detto sarebbe stata una cosa tragica.

IMMAGINI REPERTORIO SERVIZIO TG3
“17 gran brutto numero, 17 anni fa moriva Giorgiana Masi, e l’età di Giorgiana Masi rese ancora più crudele quell’assassinio; ultimo anno di liceo disegnava da professionista e sfilava in corteo accanto agli operai, per il Vietnam, per Valpreda e anche, perché no, per i referendum: Giorgiana scappava, c’erano le cariche della polizia e la polizia in borghese, qualcuno vestito da manifestante un proiettile l’ha colpita alle spalle. Cossiga disse che si sarebbe dimesso se avesse avuto le prove che la polizia aveva sparato. Ecco le immagini, cambiano i tempi, è arrivato il colore, e l’assassino di Giorgiana è ancora a piede libero, e anche i genitori di Giorgiana sono morti, di crepacuore”.

FRANCESCO COSSIGA: Ecco io quello credo che non lo dirò mai se mi dovessero chiamare davanti all’autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto dolorosa.

D – Perché sono implicati i servizi?

COSSIGA: No, se no non sarebbe una cosa dolorosa.

IN STUDIO MILENA GABANELLI
Poiché sarebbe doloroso dire chi ha ucciso Giorgiana Masi, l’uomo che più ha invocato la pacificazione nazionale, Cossiga, dice non parlerò neanche davanti alla magistratura. Deduciamo che la morte di una ragazzina innocente non sia stato un incidente, ma ben altro. Forse un ordine per imporre poi le leggi speciali? […]

E ancora, sul Corriere della sera del 25 gennaio 2007:

(Aldo Cazzullo) In piazza c’erano gli agenti in borghese con la pistola, vero?
(Cossiga) «Vero. Ma contro la mia volontà. Chiesi notizie al questore di Roma, che negò. Ma quando i giornalisti dell’Espresso mi mostrarono foto inequivocabili, andai alla Camera a chiedere scusa, e destituii il questore».

[…]

(Aldo Cazzullo) Il 12 maggio fu uccisa Giorgiana Masi.
(Cossiga) «Avevo supplicato in ginocchio Pannella di rinunciare alla manifestazione in piazza Navona. Gli ricordai che io stesso avevo mandato la polizia a impedire un comizio democristiano a Genova. Gli dissi che i radicali non erano in grado di difendere la piazza e chiunque si sarebbe potuto infiltrare. Tutto inutile ».

(Aldo Cazzullo) Chi fu a sparare?
(Cossiga) «La verità la sapevamo in quattro: il procuratore di Roma, il capo della mobile, un maggiore dei carabinieri e io. Ora siamo in cinque: l’ho detta a un deputato di Rifondazione che continuava a rompermi le scatole. Non la dirò in pubblico per non aggiungere dolore a dolore».

(Aldo Cazzullo) Fuoco amico?
(Cossiga) «Questo lo dice lei. Il capo della mobile mi confidò di aver messo in frigo una bottiglia di champagne, da bere quando sarebbe emersa la verità, pensando a tutto quanto ci hanno detto».

Io penso che Cossiga sia una persona inqualificabile, umanamente prima che politicamente. Se sa, parli. E ci convinca, con delle prove, che la sua versione è corroborata dai fatti. Se non sa, taccia, e non cerchi per l’ennesima volta di gettare del fango su una vittima.